- 2 - Se questa è una donna
Flavio si svegliò ancora al buio. Tuttavia, la luce ambrata della notte di Roma filtrava dalla finestra quel tanto da rendere la stanza riconoscibile. I suoi primi pensieri quella mattina erano stati Claudia in camera da letto con Franco, il lago gelato che lo inghiottiva, la morte e l'inspiegabile resurrezione.
Forse la morte funzionava così, valutò in una fugace riflessione, forse poteva tirarci fuori una teoria congruente su vita, morte e autocoscienza. Ma prima aveva altri grattacapi da gestire. Doveva tirare avanti e, per il momento, arrangiarsi a vivere nel corpo di Claudia.
Balzò giù dal letto sfruttando l'agilità del suo nuovo corpo e accese la luce. Aprì l'anta dell'armadio e si osservò con attenzione. Claudia era carina, in pigiama, anche con i capelli arruffati e con gli occhi un po' gonfi di chi si è appena svegliata.
Si rimise in fretta i vestiti della sera prima e, scalzo, cominciò a esercitarsi nel camminare. Non aveva mai imparato a ballare né a nuotare, ma adesso, in un modo o nell'altro, doveva imparare a camminare come una ragazza. E doveva riuscirci in fretta. Determinato ad assumere l'andatura femminile, attaccò a riprogrammare per intero il proprio modo di muoversi.
Si ritrovò a far fronte a tutti gli automatismi motori di cui non si era mai curato. Tra sconforto e irritazione scoprì che erano tanti. Per tutta la vita li aveva lasciati insediarsi nei suoi gesti e solo ora, dopo la morte, si accorgeva che ne era posseduto. Come una schiera di demoni gli impedivano di agire secondo la sua volontà.
Intraprese l'esorcismo, ripetendo con cura rituale movimenti ossessivi, dal modo di sollevare il ginocchio, a quello di appoggiare il tallone, a quello di spingere il suolo con la punta del piede... e poi l'anca: si perse nelle miriadi di minuscole rotazioni di cui tenere conto, dall'inclinazione del bacino all'angolo formato con il femore.
Si rese conto che dirigere consapevolmente ogni movimento del proprio corpo era facile come far fermare Claudia ai semafori. Nei tentativi di muovere i primi passi faticava a mantenere persino l'equilibrio, nonostante si stesse concentrando solo sulla parte inferiore del corpo. Sentendosi un neonato che impara a camminare, ripeté i gesti ancora e ancora.
Impiegò più di un'ora per riuscire a riprodurre un'andatura appena ammissibile. Non poteva ancora sperare di camminare con disinvoltura a velocità normale, tanto meno per una distanza che superasse di molto la larghezza della camera da letto di Claudia, ma era esausto di quelle prove e aveva anche altro di cui occuparsi prima di poter uscire.
Trovò rapidamente l'astuccio in cui Claudia teneva i cosmetici e lo svuotò sul pavimento. Per dover essere gestiti da una ragazza di quindici anni, erano più elementi di quanti aveva immaginato... ombretti, smalti, correttori, detergenti, fondotinta, lucidalabbra. Lesse le etichette e provò sul dorso della mano quel che non aveva alcuna indicazione. Era un puzzle di cui poteva trovare una soluzione almeno passabile, ne era convinto.
Isolò e mise in ordine quel che gli serviva: prima la lozione detergente, fondotinta e relativo pennello largo, matita nera per gli occhi, rimmel, ombretti e rossetto leggero. Portò tutto in bagno e si mise difronte allo specchio illuminato.
Con una buona luce e senza tutto il vapore della sera prima, osservò di nuovo il proprio viso da vicino.
Gli occhi nocciola screziato brillavano di un riflesso simile al miele, vivi e distesi come li si poteva avere a quindici anni. Claudia era riuscita a mantenere quello sguardo anche sei anni dopo, ricordò Flavio. Le sopracciglia naturalmente ben delineate avevano avuto poco bisogno delle pinzette. Notò come fossero più scure dei capelli, schiariti in una tonalità più vicina al biondo che al castano.
Flavio legò i capelli mossi, distendendone i ricci fin dietro la testa e riuscendo a raccoglierli in una coda di pochi centimetri. Era la cosa migliore per quel primo giorno: non gli rimaneva tempo per imparare come pettinarli.
La bocca, piccola e non molto carnosa, formava un broncio perenne in cui il labbro superiore sporgeva appena su quello inferiore, per ripiegarsi con fierezza all'insù. L'occhio gli cadde quindi sul neo vicino alla narice destra.
L'imperfezione più attraente su cui Flavio avesse mai posato lo sguardo.
Non poteva evitare di ammirare quell'immagine, nonostante i lati del naso fossero irritati come quelli di chi ha pianto a lungo, nonostante l'ombra sotto agli occhi le desse un'aria stanca. Il volto di Claudia riusciva a incantarlo sempre e comunque. Ma non era da lei presentarsi così. Flavio, senza esperienza in merito di cosmetici, si sentiva smarrito, ma volle tentare comunque. Non aveva altra scelta, da quel momento in poi rischiare e tentare sarebbe stata una necessità frequente e inevitabile.
Rischiare e tentare, non era così che aveva vissuto. Ma proprio per questo gli era capitato di morire senza il tempo di assaggiare un po' di vita. Rischiare e tentare, gli sembrava un atteggiamento saggio, adesso.
Prese la lozione detergente e la passò scrupolosamente sul viso con un dischetto di cotone. Poi si versò un po' di fondotinta sul dorso della mano e vi unse con precauzione il pennello. Quindi, con una certa dose di timore e riluttanza, cominciò a spargerlo sulle parti lucide del viso, intorno al naso, sulla fronte, le zone arrossate. Pennellò per bene finché il velo uniforme di trucco divenne invisibile.
Con quella che gli parve l'accortezza di un chirurgo, si diede da fare con l'ombretto. Lo stese leggero augurandosi di imitare la tonalità che tanto spesso aveva visto sulle palpebre di Claudia, prendendosi una pausa di riposo tra un occhio e l'altro. Rifinì gli occhi accennandone il contorno interno con la matita nera e quindi marcò le ciglia con il rimmel. Fu più facile mettere il rossetto: aveva visto le ragazze ritoccarlo così tante volte...
Esaminò il risultato e si sentì fiero per essersela cavata meglio di quanto aveva immaginato. Avrebbe detto di essersi divertito, se ammetterlo non avesse costituito un attentato alla sua mascolinità. Tuttavia mancava qualcosa. L'ombra sotto agli occhi non era nascosta dal fondotinta, così come il leggero rossore ai lati del naso e agli angoli della bocca. "Correttore", ricordò tra gli articoli che aveva vuotato dall'astuccio.
Tornò in camera da letto e ritrovò i due flaconcini di crema. Titubò tra l'appetitosa tinta verdognola del primo e l'invitante colorazione giallastra del secondo. Si disse che se anche una ragazza di quindici anni sapeva gestire quelle vernici da viso, i principi per usarle non potevano essere poi tanto difficili da intuire. Azzardò che la teoria cromatica di base fosse valida anche nell'universo femminile e sperò che il giallo avrebbe nascosto il viola delle occhiaie mentre il verde avrebbe corretto i rossori delle irritazioni. Con la sensazione di star maneggiando sostante chimiche letali, stese le creme in minuscole quantità alla volta, terrorizzato dall'idea di rovinare quanto già faticosamente dipinto.
Quando ebbe finito si contemplò un'ultima volta allo specchio. Il trucco quasi invisibile le dava l'aspetto naturale e radioso che aveva sempre ammirato in Claudia. La sua amica era riflessa lì, nello specchio, in tutta la sua bellezza.
Per quanto quell'immagine fosse piacevole, Flavio non poté sfuggire alla frustrazione. Dentro lo specchio vedeva un viso che non aveva né i suoi lineamenti, né la sua età né, soprattutto, il suo genere.
Tuttavia rimase meravigliato di ciò in cui era appena riuscito. Dopo la tensione e la fatica delle prime operazioni cui l'aveva costretto la sua nuova identità, riconobbe che il risultato era straordinario, per essere la prima volta che si cimentava col trucco. Con la cosmesi gli era andata decisamente meglio che con gli esercizi di portamento. Ma non si sarebbe arreso nemmeno con quelli.
Dopo aver indossato lo scomodissimo intimo femminile, si pose il problema dell'abbigliamento. Non era riuscito a liberarsi dall'andatura del maschiaccio, quindi per quel giorno avrebbe cercato di dissimulare con una tuta da ginnastica. Nulla di strano, se non fosse che non aveva mai visto Claudia in tuta da ginnastica. Ma Claudia era considerata eccentrica dai suoi stessi amici, ed era pur sempre una ragazza di quindici anni... probabilmente nessuno avrebbe prestato attenzione alla cosa.
Fuori il sole cominciava a illuminare le facciate degli edifici. Flavio guardò l'orologio ed ebbe un sussulto: erano le sette e mezza passate. "È passata l'ora in cui io uscivo per andare a scuola", ricordò. Si sbrigò, sperando di riuscire comunque a incontrare l'altro sé stesso.
Si infilò l'orologio da polso, prese il cellulare in carica sul comodino, si mise lo zaino di Claudia in spalla e si affrettò a uscire. Arrivato alla porta di casa, Fabrizio lo trattenne.
«Claudia, esci presto, oggi?» gli chiese imburrando una fetta di pane tostato.
«Ciao... papà. Scusami, faccio tardi a scuola!»
«Ma che dici, sono le sette e mezza, fai colazione...» disse invitandola a sedersi.
«Scusami devo andare, buona giornata!» tagliò corto Flavio prima di scappare.
Era un bene che avesse messo tuta e scarpe da ginnastica, pensò. Con troppa fretta per aspettare l'ascensore, corse giù per le scale convinto che incontrare sé stesso avrebbe potuto chiarirgli molte cose.
Forse nel corpo dell'altro sé stesso c'era Claudia ed era spaventata da morire, molto più di quanto fosse toccato a lui. O forse si stava divertendo da morire, e per lei la cosa non era altro che una circostanza curiosa. O forse era semplicemente morta da morire e in quel corpo c'era solo il Flavio quindicenne che da poco era brillantemente riuscito a saltare il secondo liceo. O forse non c'era nessun Flavio quindicenne. Ma se c'era, allora incontrarlo gli avrebbe probabilmente permesso di capire come stavano le cose.
Dopo aver disceso i quattro piani che lo separavano dalla strada, giù per scale i cui gradini gli sembravano giganti, corse alla fermata dell'autobus, sorprendendosi della propria agilità e della propria resistenza. Evidentemente, a quindici anni, Claudia era in condizioni fisiche migliori di quanto egli stesso non fosse mai stato.
La linea che aveva usato quotidianamente negli anni di scuola aveva corse frequenti e non dovette attendere molto prima che passasse un autobus. Salì sul mezzo sforzandosi di farsi strada tra persone stranamente più alte di lui e cercò senza molte illusioni tra i passeggeri, sperando di riconoscere il proprio volto. Ma l'altro sé stesso non era lì. Il giovane Flavio era di certo già passato.
Anzi, se l'orario era quello che ricordava, sarebbe arrivato alla prima ora di lezione di Claudia appena in tempo. Tuttavia qualche anomalia con l'orario doveva esserci, altrimenti il padre di lei non si sarebbe stupito nel vederla uscire tanto presto. I posti a sedere erano occupati e non gli rimase che aggrapparsi a un sostegno per viaggiare in piedi mentre l'autobus si infilava per Villa Borghese.
All'ora di punta la calca era normale, ricordò. Erano passati più di tre anni dall'ultima volta che aveva fatto quel tragitto, ed ebbe netta la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, il che, rifletté, per quanto ne sapeva era vero. Non poté evitare di sentirsi immerso in una realtà che faceva parte dei suoi ricordi. Era tornato ai tempi passati della scuola. Allucinante.
Al momento di salire sull'autobus si era dimenticato di avere l'aspetto di una ragazza ma, inesorabilmente, lo sguardo della gente glielo rammentò con segnali che non smettevano di sorprenderlo. Per la prima volta, stava percependo distintamente ammirazione e invidia nelle occhiate delle donne. Quanto agli sguardi maschili, variavano dal troppo eloquente, al malcelato, allo sfuggente.
Il messaggio comune non era "quella lì non si muove come una ragazza", che temeva, piuttosto "non ci sono dubbi che quella sia una ragazza", il che gli regalò in parte un senso di disagio e in parte un senso di gratificazione. Sorrise, soddisfatto di sé.
A un tratto un ragazzo, che faceva lo spaccone con i propri amici, ricambiò quel sorriso, fissandolo. Preso alla sprovvista, Flavio pietrificò il proprio viso. Immediatamente, lo spaccone guardò altrove. "Interessante", pensò Flavio. Cose simili non gli erano mai riuscite. Cominciava a realizzare di avere l'opportunità di imparare parecchie cose.
In venti minuti l'autobus arrivò alla sua fermata. Era la sua fermata ai tempi del liceo, non quella di Claudia. Claudia normalmente sarebbe scesa alla fermata successiva, ma visto che rischiava di fare tardi per la prima ora di lezione, scese comunque per fare il resto di strada sulle agili gambe della sua amica anziché su quell'autobus rallentato dal traffico.
Infischiandosene del portamento femminile, si incamminò di buon passo al Liceo Linguistico Statale Montecristo, la scuola frequentata da Claudia. Sul suono della campanella, entrò nell'edificio senza sapere dove andare. Non ci era mai entrato prima.
«Scusi!» si rivolse con concitazione a un bidello all'entrata. «Dove si trova la prima A?»
L'uomo, calvo e dai baffi scuri che sembravano scopettoni in miniatura, la guardò con indolenza.
«Sei nuova?» chiese mentre si grattava un baffone.
«Io... sì! Cioè, no... insomma, per la miseria, non vede che è tardi?» sbottò Flavio vinto dall'impazienza.
«Secondo piano a destra...» rispose sbigottito l'inserviente.
«Grazie!» gli urlò Flavio mentre si fiondava su per i gradini.
Salì di corsa le due rampe di scale e, con un po' di fiatone, prese a percorrere il corridoio indicato dal bidello voltando lo sguardo alle porte. Quelle delle aule erano già tutte chiuse.
"2B... 3A... bagni... 1C... 1A!"
Non perse tempo nel bussare, si avventò immediatamente sulla maniglia ed entrò. Guardò l'insegnante e si rallegrò di notare che stava per iniziare l'appello.
«Buongiorno... scusatemi!» disse distendendo un sorriso di sollievo.
Tra disagio e insicurezza, Flavio si avvicinò ai banchi, scrutando i visi puntati su di sé. Vicino ai primi posti, riconobbe Gianluca, il ragazzo che aveva conosciuto a Valdaora. Un amico di Claudia, un suo ex compagno di scuola, era la classe giusta!
«Ciao, Gianluca!» lo salutò andando a prendere posto in un banco vuoto vicino a lui.
«Curti!» chiamò la professoressa, seccata, «Conosci questa ragazza? Che ci fa qua?»
Gianluca distolse lo sguardo perplesso dal volto di Claudia per rispondere all'insegnante. «Non l'ho mai vista!» dichiarò disorientato.
Flavio si bloccò all'istante. Definitivamente, non era la classe giusta.
«Ma ti sembra il modo di entrare in una classe?» lo strigliò l'insegnante. «Cosa vuoi da Gianluca Curti?»
Flavio si sentì troppo fuori dal mondo per provare imbarazzo o timidezza. Che colpa aveva di trovarsi a vivere la vita passata di una studentessa delle superiori? Avrebbe voluto dire a quella professoressa quanto i suoi occhiali allungati e il suo caschetto fossero fuori moda, avrebbe voluto dirle che non era il caso di sprecare quella sua voce da gallina in rimbrotti inconcludenti, che nella vita c'erano cose ben più interessanti per cui infervorarsi.
«Mi scusi, ho sbagliato classe. Arrivederci» disse invece.
Imboccò la porta tirandosi dietro i ghigni della classe e un ultimo sfogo della professoressa che gli dava della ragazzina maleducata. Quella donna non aveva idea di quello che diceva, pensò. Flavio non era certo una ragazzina.
Se da una parte sapeva di non essere né ragazzina né maleducata, dall'altra si sentiva irritato per avere preso una cantonata tanto clamorosa. Non avrebbe dovuto dare per scontate le poche cose che sapeva della vita di Claudia.
Fuori dall'aula frugò nello zaino e trovò rapidamente il libretto di giustificazioni. Lo lesse mentre scendeva le scale, senza darsi tempo per mandare giù le proporzioni del proprio sbaglio. "Classe 1B", indicava il libretto, ma non era la B al posto della A a dargli sui nervi.
«Be', che è quella faccia? Che ti è successo?» gli chiese il bidello coi baffi a scopettone in fondo alle scale.
«Ho sbagliato scuola...» gli rispose prima di uscire avvolto dalla mestizia.
Una volta di nuovo in strada rimise il libretto di giustificazioni nello zaino.
«Ho sbagliato persino il dannato quartiere!» esclamò mentre si incamminava di nuovo alla fermata dell'autobus.
Non era da lui sbagliare cose simili. Non era abituato a commettere sbagli, non nella vita ordinata e controllata che aveva avuto prima di morire annegato. Annegare nell'acqua gelata può disordinare un po' le idee, tuttavia non è una scusa che renda più facile accettare di aver sbagliato così.
Il padre di Claudia gli aveva pur dato un buon indizio prima che uscisse di casa. Era troppo presto per uscire. Il Liceo Scientifico Statale Ipazia, la scuola di Claudia, era infatti a cinque minuti di cammino a piedi da casa sua in Via Flaminia.
Flavio entrò nella scuola giusta, questa volta in irrimediabile ritardo di oltre quaranta minuti e, in attesa della seconda ora, si mise a gironzolare per familiarizzare con il suo nuovo istituto di studi.
Aveva circa dieci minuti prima di ritornare al suo primo anno di liceo... per la seconda volta in quel giorno. L'altro sé stesso, quello che aveva davvero quindici anni e un'attrezzatura maschile nuova di pacca, doveva essere anch'egli a scuola, a frequentare il terzo anno di liceo, e chissà se era in grado di aiutarlo a tornare al proprio corpo, alla propria vita, nel proprio tempo. Naturalmente, con i polmoni pieni d'acqua sarebbe stato un ritorno piuttosto breve. Ma doveva pur esserci un modo per recuperare il proprio corpo.
Accidenti, c'era stato un modo per viaggiare nel tempo e appropriarsi del corpo di una ragazza... ridiventare sé stesso non poteva essere poi così impensabile. Rifletti! Rifletti! Flavio si sforzò nervosamente di concentrarsi, ma sentiva la mente terribilmente annebbiata.
Era come se nel cervello gli mancassero dei pezzi che prima era abituato ad usare in continuazione... o forse no. Forse non gli mancava qualcosa, piuttosto c'era qualcosa in più. Un utero. Certo! Adesso aveva anche un utero.
Si trovava un po' nel ruolo della sacculina carcini che cerca di prendere possesso del corpo ospitante. Se il suo cervello era ancora tutto intero – e l'Assemblea Interdimensionale si era ben assicurata che così fosse – allora i rumori che ne disturbavano il pensiero dovevano venire dalla fonte del cosiddetto "intuito femminile", quell'organo in grado di interpretare ed elaborare le emozioni in modo così sofisticato ed efficiente che le stesse donne rinunciano a capire razionalmente quel che cerca di dire loro.
Eppure si fidano ciecamente delle sue direttive e questo per il semplice fatto che tali indicazioni sono dannatamente buone. Così buone che, in tema di empatia e rapporti personali, costituiscono un vantaggio al limite dello sleale su tutto il genere maschile. Visto poi che il vantaggio in questione viene per lo più ignorato o quantomeno sottovalutato, il limite dello sleale risulta abbondantemente superato.
Flavio pensò che avere un cervello ausiliare, dedicato a ciò che gli era sempre riuscito difficile, gli avrebbe fatto un gran comodo in altre situazioni... ma ora era solo un'interferenza per il reparto al piano superiore che, invano, stava spremendosi per trovare una spiegazione logica a una catastrofe personale.
Dall'assurdità inenarrabile.
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