- 18 - Untrue lies
Flavia e Gianluca uscirono dal Peluche Ubriaco e, senza dire una parola, percorsero l'isolato abbondante che li separava dal posteggio. Sotto i vestiti leggeri che indossavano, l'umidità dell'aria non era tanto fastidiosa con la freschezza del crepuscolo.
Montarono in automobile e Gianluca avviò il motore, diretto a Villa Borghese. Non si erano scambiati neanche uno sguardo.
«Come ci riesci?» ruppe il silenzio Gianluca.
Da quando erano entrati nell'auto, Flavia stava resistendo alla tentazione di accendere la radio. Aveva appena ceduto e avrebbe allungato la mano a premere l'interruttore se Gianluca non avesse parlato proprio in quel momento. Avrebbe voluto voltarsi a guardarlo per capire di cosa stesse parlando ma, più o meno, credeva di sapere di cosa si trattasse.
Gianluca comprese il suo silenzio e ripeté la domanda in modo più esplicito. «Come fai a nasconderlo a tutti?»
«È facile...» mentì Flavia, sorridendo per prima della propria frottola. «Basta dire sempre la verità come se stessi mentendo. Così, quando racconti una bugia, nessuno nota la differenza.»
Gianluca colse l'ironia e dissipò la tensione del volto scoprendo qualche dente. «Non mi sembra facile per nulla» dissentì, «soprattutto per te.»
«Ah sì? E perché?»
«Perché tu sei tra le persone più sincere che io conosca.»
Flavia strinse le labbra e sospirò. Si sentiva scomoda con quel complimento.
Era vero che aveva un amore disperato per la verità. Disperato proprio perché si trovava costretta a vivere un'identità di finzione, e ciò era già al limite di quanto riuscisse a tollerare. Era proprio questa gigantesca bugia che le impediva di essere davvero sincera. O sincero.
Aveva recitato la vita di Claudia per quasi cinque anni. Aveva, di nuovo, finito il liceo, ce l'aveva fatta, e quasi non le sembrava vero di avere, tutto sommato, conservato la salute mentale.
Si era fatta un gruppo di amici come mai prima aveva potuto. Mancava poco, meno di un anno e mezzo, al giorno che le aveva stravolto la vita e che, con tutta probabilità, credeva, sperava, e temeva, gliel'avrebbe di nuovo stravolta.
«Figurati» tentò di negare. «Ti sei già scordato i miei apprezzamenti sulla birra di Peppe.»
«De gustibus... non era una bugia vera. Non hai detto una sola volta "mi piace", "non mi piace". Ci ho fatto caso.»
«Ah!» brontolò Flavia. «Sei incredibile, hai un'ossessione! Nemmeno Michela si accorge di queste cose.»
L'altro non si preoccupò di ribattere e Flavia, con le braccia incrociate al petto, sentì di nuovo l'impulso di accendere la radio. Allungò la mano e premette l'interruttore. Gianluca guidava con calma, lo sguardo fisso sulla strada.
«Sei sempre stata innamorata di lei, vero?»
Flavia rimase disarmata nell'affrontare quella domanda. Il suono della radio e del traffico improvvisamente non fu più in grado di coprire il silenzio tra loro due.
Una scossa le arroventò il viso, le si bloccarono le palpebre e le mancò il fiato, strangolato in una gola che le parve strizzasse verso i suoi occhi lacrime impossibili da tirare fuori.
Avrebbe voluto dire, per lo meno a sé stessa, che non era vero, che era innamorata alla follia di un'altra, che nonostante la propria e la sua morte era sempre stata Claudia l'amore della sua vita. Ma si accorse che non era più così.
In quasi cinque anni, i suoi sentimenti si erano rimescolati, sfocati, confusi. Non aveva smesso di amare Claudia, ma non poteva negare a sé stessa che i sentimenti che provava per Michela andavano molto oltre l'amicizia. Perché era stata lì al suo fianco, tutto il tempo, con un affetto e una devozione incondizionati.
Le aveva regalato un'amicizia, una complicità e un sostegno che non sentiva di meritare. Anzi, visto che aveva strappato per sé la vita di Claudia, la vera amica di Michela, Flavia credeva di essere la persona meno meritevole del suo affetto.
Michela era una ragazza adorabile e Flavia le doveva una gratitudine che era costretta a non esprimere. Chi al suo posto sarebbe riuscito a mantenere il cuore indifferente?
Cercò di sibilare un "sì" senza trovare l'alito per farlo. Strinse i denti e tentò di deglutire la strozzatura che aveva in gola.
Gianluca interpretò il silenzio dell'amica senza sospettare il tumulto che aveva provocato nel suo animo.
«Sono sicuro che non te ne ha parlato, ma è quasi certo che stiamo per rompere» le confidò.
«È così che deve andare, suppongo» rammentò Flavia, «ma... perché?»
«Sono più di tre anni che stiamo insieme...»
«Non mi dire che non c'è più passione... per la miseria, non avete ancora diciannove anni!»
«E invece in parte è vero... non è più come prima.»
«E vi sta bene così? Tanti saluti e grazie?»
«A me no... ancora non mando giù l'idea. Per questo Michela mi sta dando ancora un po' di tempo. Ma so che ha ragione lei, in fondo.»
«Ha ragione su cosa? Non riesco a immaginare cosa puoi avere fatto per farla incavolare...»
«Ma no!» sorrise Gianluca. «Non è incavolata... fosse così, sarebbe anche più facile accettare le cose. Dice che tra noi non è più come prima, ed è vero. Ha detto che siamo troppo giovani per non andare avanti a fare altre esperienze, che abbiamo tutto da vivere e sperimentare.»
«È vero, ha ragione...» notò Flavia.
«Già.»
«Tutto bene allora, buoni amici come sempre.»
«Eh sì, anche di più che buoni amici.»
«Vi invidio... appena diciannove anni e pensate già a fare "altra" esperienza.»
«Dall'alto dei tuoi vent'anni, noi dobbiamo sembrarti dei ragazzini precoci» la prese in giro Gianluca. «Chissà, penso che adesso puoi avere campo libero con lei.»
«Mi ci sono illusa, ho sognato che un giorno avremmo potuto essere più intime. Ma sapevo che non sarebbe successo» si confessò Flavia. «Conosciamo entrambi Michela, lo sappiamo tutti e due che non potrebbe mai interessarsi a una ragazza, interessarsi a...» Flavia esitò, le riusciva difficile in quel momento definire bene la propria identità, «qualcuno come me.»
«Lo so. Anch'io ho sempre saputo che una come te non si sarebbe mai interessata a un ragazzo, uno come me. Se non l'avessi accettato, non mi sarei mai innamorato di Michi.»
«Mi dispiace per come mi sono comportata i primi anni di liceo. Avrei dovuto trattarti diversamente. Non mi rendevo conto di illuderti.»
«No... è vero che ha fatto male, ma ho capito che certe cose non hanno nessun senso... l'unica consolazione che ti rimane è sognarle.»
Flavia sospirò. Strinse i pugni sulle gambe scoperte dai pantaloncini, lottando contro una stanchezza che covava da cinque anni. «Alle volte, la realtà è talmente sbagliata che i sogni sono quanto di più sensato ci sia nella vita.»
Flavia invidiò Gianluca pur rendendosi conto che non ne aveva il diritto. Era anch'egli tra quelli cui aveva incasinato la vita.
Gianluca sorrise. «Mi hai fatto male con quel calcio, prima» disse.
«Mi dispiace, sul serio, non volevo.»
«Ah... me lo sono cercato, stavo per combinarti un casino» riconobbe Gianluca che, approfittando di un semaforo, alzò il volume della radio.
L'intervista che veniva trasmessa catturò facilmente l'attenzione dei due.
«Ah, c'è quel rockettaro di Charly Urso...» apostrofò Gianluca.
«"Quel rockettaro"? Ma hai mai ascoltato la sua musica? È geniale!» affermò Flavia.
Il conduttore del programma sembrava cercare il coraggio per affondare le sue stoccate di gossip.
«...queste tre donne non si sono mai conosciute, è assodato che non possono essersi messe d'accordo, non le pare?»
«Non dico che si siano messe d'accordo» puntualizzò il musicista, «dico solo che non possono farmi certe richieste.»
«Ma se lei è il padre dei nascituri, allora hanno tutto il diritto di esigere che lei si assuma le sue responsabilità...»
«Non ritengo di avere responsabilità, sapevano sin da quando ci siamo incontrati che io non avrei fatto da padre ai loro figli...»
«Gliel'avrà detto esplicitamente...» insinuò sarcastico l'intervistatore.
«Non ce n'è stato bisogno» rise Charly Urso.
«Che vuol dire?»
«Era evidente il mio rifiuto per la paternità, ho sempre voluto il preservativo negli incontri occasionali.»
«E allora come si spiega le gravidanze?»
Charly Urso rise di nuovo fragorosamente ai microfoni.
«Non è a me che devi chiederlo, non sono io a essere rimasto incinto...»
Flavia si lasciò andare a una risata di simpatia. «Sta bene a quelle tre furbe. Charly è stato già troppo disponibile e quelle cercano solo di approfittarsi di lui.»
«Ma come fai a difenderlo? Si sta comportando da carogna!» esclamò Gianluca con stupore e indignazione.
Flavia fece spallucce. «Quelle si sono complicate la vita da sole. Dovevano stare più attente.»
«Facile per te criticarle! A te gli uomini non interessano...» rilevò Gianluca.
«Che vuoi dire? Cosa c'entra?»
«A loro probabilmente sarà sembrato di avere trovato il principe azzurro e gli avranno concesso di tutto. Con e senza preservativo.»
Flavia sollevò le mani infervorata. «Non posso credere che tu sia così maschilista!»
«Io? Ma se sei tu che stai difendendo quel porco sciovinista!»
«Che una donna senta la voglia o la necessità di stare con un uomo non vuol dire che sia una subnormale impossibilitata a usare il cervello a causa degli ormoni!»
«Come fai a prendere le parti di quello lì... proprio non ti capisco.»
Erano arrivati e Gianluca aveva fermato l'automobile all'entrata del Reflections. Flavia si rese conto che su quel tema, in quel momento, non aveva modo di ragionare con lui.
Scosse la testa e aprì la portiera, voltandosi con un sorriso prima di scendere dall'auto.
«Mi capiresti, se avessi più stima per noi donne.»
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