- 14 - Orgoglio (e pregiudizio) di genere
Lunedì mattina Flavia non rimase a letto a riposare. Il giorno prima aveva proposto a Gianluca di incontrarla all'assemblea scolastica e l'invito, naturalmente, era stato accolto con uno straordinario trasporto.
Mentre giravano dentro e fuori dalla scuola, godendosi la mattinata tra assemblea e i locali vicino al liceo, Flavia monopolizzò la conversazione.
«Ti rendi conto?» disse a denti stretti, dopo avergli raccontato quanto le era capitato. «E poi domenica non ho fatto altro che ripensarci!»
«L'hai detto a Michela?» chiese Gianluca. Era seduto su un gradino del cortile all'interno dell'edificio scolastico e ascoltava paziente Flavia che gli passava avanti e indietro come uno squalo a digiuno.
«Sei matto? Non se lo perdonerebbe, poverina.»
«Poverina lei? E tu? Stai bene?»
«Certo che no!» tuonò Flavia alzando la voce.
«È normale che tu sia ancora spaventata...»
«Vorrei poterli prendere a cazzotti, quei maiali!»
Gianluca strabuzzò gli occhi. «Come?»
«Se me li ritrovassi davanti... ah!»
Flavia agitò i pugni passando a pochi millimetri dal naso di Gianluca che, per precauzione, schivò all'indietro inarcando la schiena.
«Dai, calmati. Scordateli» tentò di tranquillizzarla alzandosi in piedi. Le sorrise e le poggiò le mani sulle spalle. «Se c'è qualcosa che posso fare...»
Flavia si rilassò sentendo la presenza dell'amico. Si rese conto che se avesse avuto vicino qualcuno come lui la sua vita precedente sarebbe stata migliore. C'era stato Aziz negli ultimi tempi, ma non era la stessa cosa di un compagno di banco che vedeva tutti i giorni.
«Mi sentirei più tranquilla se potessi accompagnarmi sabato sera. Magari facendo a cambio con Michela, non voglio farvelo pesare.»
«Tranquilla, non è un peso.»
Flavia guardò Gianluca negli occhi con una gratitudine profonda, che le sarebbe piaciuto poter esprimere da uomo a uomo. O, per lo meno, da spilungone a ragazzino di quindici anni.
«Sono contenta di averti conosciuto» gli confessò. «Sei un ragazzo speciale, sul serio.»
Gianluca strinse l'abbraccio in cui l'aveva presa e, prima che Flavia potesse prevedere cosa stesse accadendo, avvicinò il suo volto a quello di lei e prese a baciarla sulle labbra.
«Brutto deficiente!» ragliò Flavia dandogli un poderoso spintone per allontanarselo di dosso.
«Cosa? Che c'è che non va?» starnazzò Gianluca. Era in preda al disorientamento mentre una sensazione di panico iniziava a drenargli il sangue dal viso. «Perché? Ci siamo divertiti, stiamo bene insieme, siamo da soli, tranquilli... perché no?»
«Perché... perché...» balbettò Flavia senza sapere come uscirne. «Perché a me piacciono le donne, scemo!»
Gianluca spalancò gli occhi, e guardò la faccia altrettanto sconvolta di Flavia, che si pulì la bocca con il dorso della mano.
«Oddio...» disse. «Mi dispiace, mi sembrava che... non immaginavo proprio...»
«Perché proprio io?» si sfogò esasperata. «Questa scuola è piena di macchinette da estrogeno, per la miseria!»
«Mi dispiace, non avevo idea! Come potevo immaginare? Non mi sarebbe mai venuto in testa...»
«Lascia stare, non ci voglio nemmeno pensare a cosa avevi in testa» disse arricciando il naso.
Dall'espressione sconsolata di Gianluca, Flavia riuscì a intuire che stesse avendo un assaggio di quanto il pasticcio in cui si stava avventurando fosse lontano dalla sua capacità di comprensione. «Ho rovinato la nostra amicizia, vero?»
Flavia ridacchiò vedendolo ridotto così. In realtà se lo sarebbe dovuto aspettare: Gianluca non aveva fatto altro che arrischiarsi a fare quello che lei stessa, quando era Flavio, avrebbe voluto avere il coraggio di fare con Claudia. Si accorse che forse il povero Gianluca stava vivendo sulla propria pelle lo stesso incubo che a suo tempo l'aveva frenato con la ragazza di cui ora occupava il corpo.
«Non dire assurdità, quelle sono menate da fotoromanzo, è tutto a posto» gli sorrise addolcendo lo sguardo e dandogli una pacca sulla spalla. Una pacca un tantino energica per venire da una ragazzina.
Sì, una raganzzina: l'aggressione le aveva fatto sperimentare l'immensa frustrazione dovuta all'impotenza di essere fisicamente più debole dei suoi aggressori. Molto, molto più debole.
Neanche da maschio adulto era mai stato un Sansone, ma trenta e passa centimetri d'altezza in meno e la muscolatura alleggerita dalla penuria di testosterone si facevano sentire con un peso insostenibile.
Soprattutto sul suo orgoglio.
Doveva portarsi appresso Michela e Gianluca perché le tenessero la mano e le impedissero di farsi la bua. Non faceva per lei, che da orfano era cresciuto abituato all'indipendenza. Sbrigarsela da sé era qualcosa di cui non riusciva a fare a meno.
C'era stato un motivo se Claudia era diventata esperta di arti marziali e aveva imparato a difendersi meglio di quanto non avesse mai saputo fare Flavio.
Se da donna era penalizzata dalla debolezza fisica, da uomo si era sentito non meno penalizzato dalla limitata forza mentale. Per avere risultati, come ragazza aveva dovuto metterci sicuramente più impegno nelle cose, e si era convinta che una maggiore motivazione, una maggiore forza di volontà, fossero virtù di necessità per gran parte delle donne.
Da ragazzo aveva dovuto arrangiarsi a fare le cose secondo ragione e non secondo impeto volitivo, aveva dovuto cavarsela senza un "intuito femminile" che stava scoprendo e sviluppando poco a poco. Purtroppo il più grande handicap nella sua vita di uomo era stata la sua profonda inettitudine sociale ed emotiva, e adesso come Flavia aveva scoperto una capacità di empatia e socializzazione sorprendenti.
Tirò le somme. Sebbene da donna si fosse accorta di avere una soglia del dolore fisico molto più elevata, e un utero che forgiava dei neuroni specchio capaci di poteri quasi extrasensoriali, doveva impegnarsi per sviluppare forza muscolare e non trascurare di allenare il proprio raziocino perché potesse domare i poteri del suo utero, tanto vigorosi quanto ribelli, e con i quali si trovava costretta a muovere i primi passi.
Era la sua mente l'unico strumento che aveva a disposizione per rinforzare le proprie debolezze di uomo in corpo di donna. Disciplina e forza, ecco cosa doveva coltivare. Dato che scuola e libri non richiedevano più il suo tempo, pensò fosse un'eccellente occasione per dedicarsi ad altro.
«Papà, ho bisogno di lezioni di arti marziali» confidò a Fabrizio, durante l'ora di cena.
«Mi sembra un'ottima idea.»
«Davvero?»
«Proprio oggi chiacchieravo con un cliente, mi raccontava di sua figlia. Nonostante abbia una carriera di studi molto intensa, prende lezioni di karate qui vicino.»
«Davvero?» ripeté entusiasta.
«Sì, se vuoi gli parlo» propose Fabrizio. «Se stessi insieme a quella ragazza mi sentirei più tranquillo.»
Flavia dovette fare uno sforzo per evitare di chiedere nuovamente "davvero?" e tentò di ingabbiare la sua sorpresa per la coincidenza dietro ai denti del suo sorriso.
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