- 1 - Fight From The Inside

Allo specchio, Flavio osservava incredulo le proprie espressioni disegnarsi sul volto di Claudia. Non riusciva a staccare lo sguardo da quel riflesso che non gli apparteneva.

«Sei sicura? Cos'è quella tosse?» chiese il padre della ragazza da dietro la porta.

«Non ti preoccupare... tutto okay» lo tranquillizzò Flavio, senza riuscire nell'intento anche con sé stesso.

Cercò di riordinare le idee. Stava vivendo un'esperienza così assurda... Doveva necessariamente esserci qualcosa che non stava considerando.

Ricominciò dai ricordi. Non ricordava di essere mai stato Claudia, eppure la sua voce e l'immagine allo specchio gli dicevano che adesso era Claudia.

Pulì lo specchio con frenesia. Poteva vedere il bellissimo seno della ragazza di cui era innamorato per la prima volta in sei anni. Aveva tanto desiderato poterlo guardare e adesso poteva farlo a piacimento.

O quanto stava vedendo in quel momento non era vero, oppure non lo erano i suoi ricordi di essere un orfano di nome Flavio. Uno dei due. Era pura questione di logica.

Si toccò il seno. Gli parve vero. Eppure i suoi ricordi gli sembravano altrettanto veri, tanto veri come l'affanno e i tremori che aveva dappertutto. Se chiudeva gli occhi, poteva avere la certezza che la sua identità corrispondesse a quella di Flavio Mancini, studente laureando di Statistica. Si ricordava la sua vita come Flavio. Provò a cercare qualche ricordo della sua vita come Claudia.

Niente.

Era innamorato di Claudia, senza dubbi. Ma se Claudia era quella nello specchio e quella nello specchio era lui, allora lui era Claudia. La Claudia di cui si era innamorato non c'era più. Ricominciò a tremare.

Che cosa terribile...

O forse no. Forse era un problema in meno.

Si rese conto di aver perso parecchie cose in un colpo, insieme a quel problema. Irrigidito dalla trepidazione e senza guardare, infilò una mano tra le gambe. Mancava qualcosa anche lì.

Mancava la sua attrezzatura, decisamente. Era certo, lì sotto doveva esserci qualcosa, ce l'aveva sempre avuta, sapeva e sentiva di esserci abituato. Era bizzarro ritrovarsi senza più niente.

Che cosa terribile, questa sì.

Aveva perso la sua attrezzatura e non l'aveva mai usata. Peccato. Però poteva toccare le tette di Claudia per consolarsi, tutte le volte che voleva. Ci provò, ma constatare che i suoi capezzoli erano molto più sensibili di prima non lo consolò granché. Sarebbe stato più divertente se avesse avuto tutte le appendici cui era abituato e se le tette non fossero state le sue. Decise che non poteva perdere tempo a cercare spiegazioni, né appendici, che potessero dare un senso alla sua condizione; non rinchiuso in quel bagno almeno.

Si infilò l'accappatoio e, dopo essersi asciugato come farebbe il diavolo bagnato dall'acqua santa, entrò nella camera da letto di Claudia. Nonostante conoscesse già quella casa e quella stanza, ebbe di nuovo la sensazione che tutto intorno a lui fosse esageratamente grande. L'abitudine ad una statura superiore si rifletteva in ciò che vedeva intorno e gli urlava che il corpo in cui si trovava non era il suo.

Chiusa la porta, si fiondò verso lo zaino poggiato sulla scrivania. Tirò fuori i quaderni, i libri, il diario scolastico... di sei anni prima. Sette, se considerava che aveva da poco passato il capodanno. I libri erano del primo anno di scuola superiore.

Prese il cellulare che stava accanto allo zaino, un modello antiquato, vecchio di sei anni come tutto il resto. Accese lo schermo e lesse ormai senza sorpresa che il calendario indicava una data passata da sei anni, tre mesi e dieci giorni. Come gli aveva suggerito il riflesso allo specchio, aveva quindici anni. E aveva anche una vagina.

No, Claudia aveva quindici anni, Flavio ne aveva ventuno e per la prima volta in ventuno anni aveva una vagina.

Realtà o no, i suoi anni se li ricordava, li aveva vissuti. Forse non erano stati un granché, ma li aveva vissuti. E poi era morto. Anche quello se lo ricordava bene. Uno dei suoi ultimi pensieri era stato avere una seconda possibilità. Adesso ce l'aveva.

Non aveva la sua attrezzatura maschile ma per lo meno era vivo. O viva. Avrebbe sistemato le cose, questa volta gli riuscì facile determinarsi ad agire in modo costruttivo. Era una delle ultime cose che aveva imparato prima di cadere nel lago. Per quanto avesse commesso errori o combinato casini, difficilmente poteva finire in una situazione più incasinata di quella.

Andò all'armadio e aprì l'anta. Aveva tanto desiderato poter rinnovare il proprio guardaroba, e ora ne aveva uno completamente diverso da quanto aveva mai indossato fino a quel momento. Allungò le mani sullo scaffale dei reggiseni. Arricciò il naso e sollevò il labbro in una smorfia di disappunto.

Il suo sguardo fu attratto dallo specchio a figura intera dietro l'anta aperta. Quella smorfia era identica a quella che aveva visto fare a Claudia tante volte. Fece qualche passo indietro per guardarsi per intero. Poi fece cadere l'accappatoio. Sì, aveva una vagina di certo.

Se non altro, il suo riflesso era bello da vedere. Aveva sognato quell'immagine per sei anni... l'attesa era valsa la pena. Era tutto il resto che non valeva la pena.

Sul letto erano pronti dei vestiti piegati. Intimo, calzini, gonna, maglietta... l'ansia cominciò a scalpitargli più forte nel petto. Al diavolo! prima o poi avrebbe dovuto indossarli. Doveva abituarcisi quanto prima. Si infilò tutto con attenzione e si sistemò controllandosi allo specchio. Non era stato poi tanto difficile. Ma era mostruosamente scomodo.

Flavio trovò le scarpe già scelte da Claudia prima del bagno. Avrebbe potuto andargli peggio, potevano essere di quelle col tacco. Ne aveva, di quelle, qualche paio nella scarpiera. Si avviò alla porta ma un brivido d'orrore lo bloccò dopo pochi passi.

Non sapeva camminare. Non sapeva muoversi. Non come Claudia, o come qualunque persona si sarebbe aspettato che una ragazza camminasse e si muovesse. Sebbene anche come Flavio la sua postura non fosse mai stata il massimo dell'eleganza, adesso la sua andatura sgraziata avrebbe decisamente dato nell'occhio, eseguita con il corpo femminile che si ritrovava. Una camminata a ginocchia larghe e piedi trascinati non sarebbe andata molto d'accordo con la gonna che indossava.

Calma – pensò – bisogna risolvere questo problema. Meglio ragionare e sedersi un attimo sul letto. No! Che orrore, devo ricordarmi di tenere le ginocchia strette, almeno quando porto la gonna. E i gomiti! Sembro un orango, dovrei tenerli aderenti al corpo. E stare dritta... no per la miseria, dritto! Non dritta, dritto con la schiena... e le mani e i polsi più rilassati... no, non flosci come stracci, solo più rilassati, sulle ginocchia... così però sembro in manette, meglio separarle... non le ginocchia, accidenti! Richiudi, santo cielo! Piega i polsi, poggiali sul letto, rilassato... okay va meglio così, okay...

Flavio si alzò deciso a tentare qualche passo davanti allo specchio. Non c'era verso. Così non sarebbe mai passato per una ragazza, nemmeno con il corpo perfetto di Claudia. Doveva lavorarci più di quel che aveva immaginato. Perché gli era toccato quella condanna?

Erano quasi le otto di sera. Mandò tutto al diavolo e andò in salotto. Doveva capire in che tipo di realtà era andato a finire. Magari avrebbe potuto ottenere qualche spiegazione dal padre di Claudia. L'architetto Fabrizio Felicetta era seduto davanti al televisore, era in attesa del telegiornale.

«Papà...» farfugliò Flavio da dietro la poltrona.

«Eh?» rispose l'uomo con la mente e lo sguardo dispersi nell'etere.

«Papà!» ripeté Flavio più convinto.

Il padre di Claudia si voltò a guardarlo. «Sì, dimmi tesoro...» esortò Fabrizio.

«Io non so più chi sono...» Flavio si sforzò di muoversi il meno possibile.

Ecco fatto, ormai l'aveva combinata grossa. Ma che poteva importare se lo prendevano per pazzo? Era un laureando ventunenne reincarnato in una ragazzina di quindici anni, più pazzi di così non si poteva essere.

«Cosa?!» fece Fabrizio sintonizzandosi a fatica sulla figlia.

«Secondo te, è normale che io riesca a derivare una funzione trascendente composta, magari discontinua?» chiese Flavio pensando qualcosa che Claudia non avrebbe dovuto sapere a quindici anni.

«Da ripetente del primo anno di liceo? Direi di no. Ma mi complimento con te già per sapere cosa siano una funzione discontinua e una derivata. Di questo passo sono sicuro che migliorerai i tuoi voti in matematica.»

Per Flavio quella era una conferma, non era follia credere di essere uno studente universitario. Doveva essere vero. Aveva conoscenze che una studentessa di liceo non poteva avere, non era possibile che se lo stesse immaginando.

D'altra parte, doveva affidarsi a quello che i sensi gli dicevano. Vera o no, era quella l'unica realtà che, per il momento, aveva a disposizione. Si sentì più tranquillo, ma anche immensamente snervato. Era sfinito.

«Sì, spero anch'io. Grazie papà.»

«Ti serve qualcosa? Sei a posto con i soldi per uscire?» gli chiese Fabrizio, affettuoso.

«Adesso? Uscire dove?» domandò Flavio sul limite della resistenza mentale. Si accorse di non essere più in condizioni di decidere con lucidità, e recuperare quelle condizioni era adesso un obiettivo prioritario. Aveva bisogno di riposo.

«Non dovevi vederti con le tue amiche?»

Ma certo, Claudia doveva avere avuto un programma per quella serata...

«No, sono stanco... stanca!» si corresse in fretta Flavio. «Vado a dormire.»

«C'è un po' di pollo in forno, puoi scaldarlo al microonde» gli suggerì Fabrizio tornando al suo telegiornale.

«No, grazie, non ho fame.»

Fabrizio, preoccupato, si voltò nuovamente a guardare la figlia.

«Non ti senti bene? A proposito, cos'era quella tosse in bagno?»

«Tranquillo, sto bene. Un po' di acqua nel naso...»

Un po' tanta acqua, ricordò Flavio.

«Buonanotte... papà» disse Flavio, sul punto di arrendersi alla fatica. Voltò le spalle alla poltrona e si incamminò alla sua nuova camera da letto.

«Che è successo? Sei tanto stanca da non dare un bacio a tuo padre?» lo riprese Fabrizio.

Flavio si bloccò all'istante. Non era abituato ad avere un padre. Forzò un sorriso prima di girarsi.

«No, certo...» disse tentando di mascherare il disagio. «Scusami...»

Flavio si avvicinò nuovamente alla poltrona e, lottando strenuamente con la goffaggine, salutò il genitore con un bacio sulla guancia.

Non si era mai immaginato di andare oltre la stretta di mano con il padre di Claudia.

"Scusa, papà, che ne dici se da ora in poi ci stringiamo la mano?"

No, non avrebbe funzionato, pensò. Fintanto che fosse stato Claudia doveva abituarcisi.

Flavio si tolse i vestiti, liberandosi finalmente da mutandine e reggiseno, indossò il pigiama e si infilò nel letto di Claudia. Alla fine era riuscito a infilarsi nel suo letto...

Chiuse gli occhi mettendo fine a quella che era stata la serata più lunga della sua vita, non fosse altro perché da mezzanotte passata si era ritrovato a resuscitare prima dell'ora di cena. Aveva il jet-lag senza essere mai salito su un aereo in vita sua, senza mai essere nemmeno uscito dall'Italia. Sarebbe stato un buon argomento di conversazione: "Scusatemi, ma ho il jet-lag... tre mesi, dieci giorni e cinque ore di jet-lag."

Ad ogni modo, gli era impossibile parlare con chiunque avesse conosciuto negli ultimi sei anni: a rigor di logica, non aveva ancora conosciuto nessuna di quelle persone, Claudia inclusa. Soprattutto, non aveva ancora conosciuto Aziz, il suo migliore amico. In quel momento non esisteva nemmeno la sua rosticceria.

Nonostante adesso avesse una famiglia, Flavio si rese conto di essere ancora più solo di quanto fosse mai stato e, sebbene non potesse immaginarlo, era per la prima volta davvero, completamente solo. Neanche l'Assemblea avrebbe potuto aiutarlo. Era solo con sé stesso. Solo, letteralmente "con sé stesso". Con l'altro sé stesso, quello che stava frequentando il terzo liceo.

Si addormentò.

Sin da quando aveva abbandonato l'infanzia, il suo sonno invidiabilmente profondo gli aveva impedito di ricordare granché dei propri sogni. Quella notte però, la sua mente dovette riorganizzare una percezione della realtà andata zampe all'aria.

Si ritrovò seduto in cima al mondo, o per lo meno in cima a un gigantesco grattacielo. Ne era il padrone; era in effetti padrone di molte altre cose e dalla propria posizione comandava schiere sterminate di uomini e donne come fossero suoi burattini.

Alcuni dei suoi uomini burattini cominciarono a uscire dai ranghi ordinati cui li teneva costretti per dirigersi alle fondamenta del grattacielo. Come automi impazziti si lanciavano sempre più numerosi verso le fondamenta, accelerando nella loro corsa suicida fino a esplodere nello scontro con l'edificio.

Il grattacielo prese allora a tremare, barcollare e crollare. Mentre i suoi schiavi sparsi per tutto il mondo compivano il loro rituale kamikaze, l'impero di Flavio veniva annientato e la sua costruzione perdeva un piano dopo l'altro, costringendolo a una caduta vertiginosa.

Le centinaia di metri di altezza cui si trovava divennero presto decine, in un instante diventarono pochi metri e, infine, giunse inevitabile lo schianto.

Durante un brevissimo attimo, l'impatto sopraffece ogni suo sforzo di controllare il corpo, le sue membra vennero sballottate violentemente e, inerme, Flavio si osservò ruzzolare tra le rovine del proprio impero, costretto a una traiettoria letale sopra i detriti.

Era ancora vivo, però. Un opprimente senso di asfissia era lì a confermarglielo, insieme al cuore che gli martellava sul plesso solare. Reduce dal gran tonfo, era paralizzato mentre giaceva in mezzo alle macerie.

«Come ho potuto permettere che tutto questo accadesse?» si chiese contemplando la catastrofe e la desolazione che lo circondava. «Come ho fatto a essere così miope?»

A Flavio venne un nodo alla gola, carico di rimorsi.

«Ho costretto io quelle persone a morire. Se solo mi fossi accorto per tempo di cosa stavo facendo. Il mondo starà meglio senza di me...»

La civiltà era finita e tutto precipitava nel freddo, in un'apocalisse glaciale. La superficie disastrata sotto di lui divenne un mare di frammenti di ghiaccio che lo inghiottirono. Era immerso nel lago artificiale di Valdaora, impotente, circondato dall'acqua e dall'oscurità della notte.

Prima che affogasse, un braccio lo afferrò dall'esterno e lo scaraventò sulla riva con un unico gesto. Alla luce spettrale della luna piena e sotto un ululante vento invernale, Flavio vide davanti a sé la figura di Claudia. Aveva i capelli in disordine, il viso sporco ed era vestita in una specie di bikini, fatto di pezzi di pelliccia grigia grossolanamente acconciata. A Flavio non dispiaceva il suo look, sembrava una cavernicola uscita da un film erotico di bassa lega.

«Come ci sei riuscita?» le chiese mentre ansimava in ginocchio per riprendere fiato.

«Non ci vuole tanto, sono più forte di te» rispose Claudia indifferente, poi gli si avvicinò a passi decisi. «Adesso muoviti, devi entrare nel progetto segreto della Facoltà» gli ordinò in tono spiccio.

«Mi hanno rifiutato, non posso farci niente...» si lagnò Flavio.

«Dobbiamo trovare Boccaccio.»

«E come faccio? Chissà dov'è! Guarda che disastro, qui intorno!»

Claudia tirò fuori un brandello di camice e lo fiutò scoprendo i denti in una smorfia selvaggia.

«Ha il suo odore, basta seguirne la traccia.»

«Ma come fai a sentire il suo odore?» le chiese Flavio, mentre la osservava fiutare l'aria in cerca della preda.

«Non sono quello che sembro, sono un uomo lupo» rispose Claudia.

«Che dici... non sei un uomo, figuriamoci un lupo! Mi stai spaventando.»

«Piantala di piagnucolare, dobbiamo trovare il professore. Alzati!»

«No, non sono capace... non riesco...»

A Claudia brillarono gli occhi di un arancione infuocato.

«E allora dovrò trasformarti...»

Ritraendo le labbra in un ringhio ferino, la ragazza scoprì zanne animalesche e acuminate, si avventò su Flavio e lo morse alla gola.

Flavio si scosse parzialmente dal sonno, interrompendo il sanguinolento massacro per emergere in un dormiveglia impastato.

«Che assurdità...» pensò un attimo prima di riaddormentarsi. «I lupi mannari non mordono mica al collo.»

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