Speciale Quattro Stagioni 6k

Attenzione!
Capitolo ambientato per metà alla fine della prima parte, durante "avanti veloce", e per metà nel mezzo della seconda parte, tra "non voglio niente" e "routine".
Se non sei aggiornato, non leggere!

I. Estate

Era l'ora di educazione fisica, e il professor Mtoni li aveva sottoposti al test di resistenza. Stavano correndo sotto il sole battente da circa otto minuti, Nuru sentiva la cima della testa bruciare, le maniche lunghe della divisa scolastica destinata alla ginnastica lo facevano sudare sotto i vestiti, e alcune sue compagne di classe avevano già iniziato a cedere o ad ansimare.

Layla era seduta a bordo campo e si sistemava il velo a coprire i capelli con una forcina rosa brillantinata, aveva detto di avere le mestruazioni per avere l'ora libera ma lui non ci aveva creduto, la ragazza saltava tutti gli anni la prova di resistenza e quella era stata solo l'ennesima bugia.

Lui non poteva sopportarla, non l'aveva mai sopportata, e da quando era arrivato Raffaele e aveva iniziato indefessa a flirtare con lui ed elemosinare le sue attenzioni Nuru l'aveva proprio detestata senza possibilità di redenzione.

Hassan correva accanto a lui, iniziavano sempre lenti per poi accelerare di poco verso la fine. Era quello il segreto della prova di resistenza, una corsetta leggera che era quasi una camminata, così potevano andare avanti per minuti e minuti interi.

La terra rossa bruciata dal sole alzava nuvole di polvere color mattone dietro i loro sandali, le ragazze stremate che correvano imbacuccate dalla testa ai piedi, il velo della divisa che le proteggeva dal sole da un lato ma che alzava la temperatura sulla nuca come una coperta dall'altro.

Fu Layla ad accorgersi di lui, perché lei lo guardava sempre. «Lo mzungu ha qualcosa che non va» aveva detto, e Nuru si era girato appena in tempo per vedere Raffaele afflosciarsi a terra come un sacco vuoto.

Sumeya, la più vicina, era stata la prima ad accovacciarsi accanto a lui sul posto, seguita da Karim. Poi era arrivato il professore, gli aveva dato un buffetto sulla guancia e aveva chiesto «Fontana? Fontana, mi senti?»

Nuru neanche si ricordava come aveva fatto ad arrivare lì, ma l'attimo dopo era a terra accanto a lui che lo guardava a occhi sgranati col cuore che gli martellava nel petto.

«Cos'ha?» aveva chiesto, con un filo di voce, per poi sentire la mano di Hassan che si posava comprensiva sulla sua spalla.

«Questi wazungu non reggono il caldo, avrà avuto un calo di zuccheri, niente di allarmante» aveva borbottato l'amico, come per rassicurarlo.

Il professore si attivò subito. «Muli, vai a prendere un bicchiere d'acqua e portalo qui. Chege, controlla il suo zaino e prendi la sua merenda. Forza, forza!»

I suoi due compagni di classe corsero verso l'edificio scolastico, Nuru non ci badò, i suoi occhi puntati sul compagno privo di sensi, incapace di distogliere lo sguardo. «Non si sveglia. Perché non si sveglia?»

Come se l'avesse evocato, Raffaele strizzò le palpebre, infastidito. «Mhm» mormorò, facendo una piccola smorfia.

Aveva il volto tutto rosso per via del caldo, e sembrava senza forze.

A volte a scuola, con la divisa che li uniformava tutti quanti, Nuru dimenticava che Raffaele era uno mzungu che veniva dal nord. Forse farlo correre tutti quei minuti sotto il sole a più di quaranta gradi non era stata una grande idea.

Anche Rahim si avvicinò al professore, con aria annoiata. «Questo significa che dobbiamo ripetere il test?»

Se Nuru avesse avuto un po' di testa per occuparsi di lui, gliene avrebbe dette quattro per mancanza di empatia. Non ci riuscì, era troppo impegnato a preoccuparsi, e solo quando vide i due occhi azzurri di Raffaele che si aprivano il mondo cristallizzato intorno a lui iniziò a girare di nuovo.

II. Autunno

Il monsone imperversava per le strade di Mombasa, facendo piegare le palme sino quasi a toccare terra e rendendo la città polverosa una distesa di fango.

Raffaele era fradicio, i suoi vestiti gocciolavano acqua torbida e aveva i capelli bagnati appiccicati alla fronte, stava tremando.

«Sei buffo, sai?» chiese Nuru, che gli aveva passato un asciugamano e l'aveva aiutato a liberarsi della maglietta, cercando di concentrarsi sul farlo stare meglio anziché sui centimetri di pelle pallida che si erano appena svelati davanti ai suoi occhi e che avevano alzato la temperatura della stanza in modo pazzesco.

«Il clima di questo posto fa schifo» aveva borbottato Raffaele, con voce rauca, schiarendosi la gola e arraffando l'asciugamano per poi sfregarsi i capelli. «Il giorno prima c'è un caldo che si muore e il giorno dopo viene giù il cielo in quel modo.»

«Benvenuto all'equatore, amore. Ci farai l'abitudine, vedrai.»

«Mi verrà un malanno e morirò. E tu piangerai al mio capezzale e ti pentirai di aver sottovalutato la cosa così.»

«Non morirai per un raffreddore, te lo assicuro. Anche perché, se morissi, tuo padre sarebbe capace di denunciare il monsone... e di vincere, conoscendolo.»

Quelle parole riuscirono a strappargli un sorriso, anche se si vedeva quanto stava male. Era pallido, e un po' curvo su sé stesso come se non avesse più forza di stare in piedi. La pioggia violenta batteva sul vetro della stanza facendo un chiasso infernale, tanto che Nuru ebbe paura che si sarebbe potuto infrangere. Raffaele tossì e si lasciò cadere sul letto, dopo essersi sfilato i jeans per non bagnare il lenzuolo. «Mi passi il pigiama?»

Nuru non fece commenti sul fatto che fosse solo in boxer davanti a lui, anche se immaginava che nei giorni seguenti la sua fantasia avrebbe attinto a piene mani da quella visione. Obbedì, porgendogli la maglia grigia e i pantaloncini viola che usava per dormire.

Lui se li infilò in tutta fretta e tossì di nuovo. «Odio i monsoni.»

«E io che dovrei dire? Casa mia non ha neanche le finestre!» esclamò, sedendosi sul bordo del letto in cui Raffaele si era appena infilato.

Si abbassò e gli premette le labbra sulla fronte. Lo aveva imparato da sua madre, le mani erano poco affidabili per rilevare la temperatura, perché potevano essere ben più calde o ben più fredde del resto del corpo. Le labbra, d'altro canto, a meno di condizioni estreme erano sempre della temperatura corporea, più adatte a misurare quella altrui.

«Sei fresco. Non hai febbre.»

«Ho freddo. Secondo me mi si sta alzando adesso.»

«Vuoi che chiami tuo padre?»

Lui scosse la testa. «Voglio stare un po' con te.»

Nuru gli rimboccò il lenzuolino, poi andò a prendere il termometro per tenere sotto controllo la temperatura. «Voi wazungu siete di salute troppo cagionevole» lo rimproverò.

«È tutta una tattica» rispose, con un sorrisino. «Altrimenti come faremmo ad attirare aitanti ragazzi locali a metterci a letto e coccolarci un pochino?»

Nuru alzò gli occhi al cielo. Raffaele non aveva certo bisogno di stare male per convincerlo a coccolarlo un pochino, tantomeno a metterlo a letto. Questo però non era necessario lo sapesse in quel momento. «Stai a letto ora e riposa. E domani niente scuola, capito? Altrimenti siamo punto e a capo.»

«Mamma chioccia» scherzò l'altro, per poi venire scosso da una serie di colpi di tosse di nuovo.

III. Inverno

Il giorno che era atterrato a Milano era stato a inizio settembre, e Nuru ricordava di aver sgridato Raffaele perché faceva troppo caldo. Lui si era trasferito via da Mombasa anche per sfuggire al caldo afoso, e non sembrava sul momento aver funzionato.

Raffaele lo aveva rassicurato sul fatto che col passare dei mesi il clima lo avrebbe accontentato, e a quanto pareva la promessa era stata mantenuta in modo più che sufficiente.

Era a un baretto sui Navigli che faceva aperitivo col buffet a dieci euro, trovato per caso da Jacopo in una delle sue passeggiate a bighellonare per la città. Nevicava, e Nuru non credeva di aver mai avuto più freddo in vita sua, il che era probabile considerando il fatto che aveva sempre abitato a poche centinaia di chilometri dall'equatore e non aveva mai visto la neve prima di quell'anno, né la temperatura intorno a lui era mai scesa sotto i venti gradi.

In quel momento faceva meno cinque, aveva le labbra spaccate e sanguinanti, i dorsi delle mani screpolati e nonostante la maglia, il maglione, il cappotto, il capello col paraorecchie, le doppie calze e i guanti stava tremando.

Erano fuori all'aperto perché Clara stava fumando, era in corso una nevicata leggera. Nuru tentava di concentrarsi su ciò che Clara stava dicendo per non pensare al freddo, ma con scarsi risultati.

«Quindi? Chi era il più sottone tra i due quando avete iniziato a uscire?» chiese la ragazza, prendendo una boccata di fumo con le mani guantate.

«Io» rispose Raffaele, senza batter ciglio. «Lui si è dovuto fare trascinare. Sono io che l'ho baciato per primo, che gli chiedevo sempre di uscire, che lo invitavo a casa con ogni scusa, che gli ho chiesto il numero... non ho capito se ci stava sino all'ultimo.»

«Pf» si inserì Nuru, tentando di ignorare il mal di testa incipiente ed evitando di tirare su col naso per non essere maleducato. «Quelli non sono segni di sottoneria, significa solo che sei più estroverso.»

«Se devo sempre cercarti io e pregarti di uscire, io sono più sottone.»

Nuru prese un fazzoletto sbrindellato dalla tasca e si soffiò il naso. Le tempie gli dolerono a quel gesto. «Io ricordo ancora dov'ero e cosa stavo facendo la prima volta che mi hai mandato l'emoticon di un cuore.»

«Oh, ma che carino!» cinguettò Clara, dopo un'ennesima boccata di fumo.

«Davvero? E che facevi?»

«Ero sul letto, ad aspettare un tuo messaggio come i bambini aspettano l'arrivo di Babbo Natale. Era il giorno che ci siamo imboscati nei bagni della scuola, e l'hai scritto per ringraziarmi quando ti ho detto che sarei andato a casa tua. Mi hai scritto 'grazie', con un cuore. Sono rimasto a fissarlo per minuti interi con la tachicardia.»

Clara fischiò impressionata. «Okay, questo è un comportamento molto sottone.»

«Beh, un indizio non fa una prova» rispose Raffaele. «La realtà è che sono stato io a inseguirlo e...» Nuru starnutì più forte del previsto, spaventando gli altri due. «Amore, stai bene?»

«Sì, sì» rispose, anche se aveva freddo e mal di testa e anche se avrebbe dato tutto quello che aveva per essere a letto al calduccio invece che lì.

«Basta, andiamo a casa.»

«Ho detto che sto bene!»

Sapeva che Raffaele teneva tanto a uscire il sabato, durante la settimana studiava moltissimo e quello era l'unico suo giorno di svago, non gliel'avrebbe rovinato così.

«Hai proprio una brutta cera, amico» commentò Clara, alzando un sopracciglio.

«Ora lo porto via.»

«Non c'è bisogno, davvero, sto una pace!»

«Salutiamo gli altri e andiamo» disse Raffaele, senza piegarsi alle proteste del compagno.

Quando Nuru fu seduto nel taxi, chiuse gli occhi e si abbandonò al sedile, esausto. Raffaele gli lanciava occhiate ora preoccupate ora di rimprovero, ma lui non aveva modo di occuparsene. Tutto quello a cui riusciva a pensare era il freddo nelle ossa, il sentirsi sudato in tutto il corpo e la sua debolezza che gli rendeva difficile tenere gli occhi aperti.

Raffaele pagò il tassista, aiutò Nuru a scendere dall'auto e lo portò in casa. Lo spogliò senza dir nulla, lo fece sdraiare, e andò a prendere il termometro.

«Trentotto e sei» disse, con tono risentito come se fosse colpa sua. «Perché non mi hai detto che stavi male?»

«Non me ne sono accorto.»

«Bugiardo» insistette, per poi arrendersi con un sospiro. «Vado a prenderti la Tachipirina.»

Tornò qualche minuto dopo con un po' d'acqua torbida in un bicchiere in vetro, che girava con un cucchiaino. «Ho messo l'acqua trenta secondi nel microonde, così è tiepida.»

Nuru si alzò sui gomiti e si sedette sul letto, per accettare il bicchiere con mani tremanti. «Grazie.»

«Dobbiamo comprarti una maglia termica. Il maglione non ti basta.»

Nuru fece una smorfia, poi bevve dal bicchiere che gli era stato offerto e ne fece un'altra, per il saporaccio. Non gli piaceva quando Raffaele spendeva per lui, il fatto che gli desse da mangiare era già più che abbastanza.

«Non fare quella faccia. La salute è importante, non sei abituato al freddo, la maglia termica ti serve. Magari due o tre, non puoi usare la stessa tutti i giorni.»

«Ma...»

«Niente ma» gli disse, sbrigativo, poi la sua espressione si addolcì. «Vedrai che con la Tachipirina starai meglio. Hai ancora freddo?»

«Un pochino.»

«Ora ti scaldo io» sussurrò, sfilandosi le scarpe e scivolando sotto il piumone insieme a lui. «Vieni qui.»

Nuru si avvicinò, aveva il naso congelato e le mani altrettanto. Nascose il volto nella curva della spalla del compagno e gli infilò le mani sotto la maglia. Il calore del suo corpo fu davvero di conforto, le braccia dell'altro che si strinsero intorno a lui, le sue labbra che gli stamparono un bacio sulla cima della testa.

«La medicina dovrebbe aiutarti a dormire, prova a riposare, va bene? Tra un'oretta ti rimisuro la febbre per vedere se sta scendendo, non ti sveglierò, tranquillo.»

Fu scosso da un brivido e gli si spalmò contro, non poteva essere più appiccicato di così, ma non gli bastava. Prese un profondo respiro dalla bocca, aveva il naso tutto intasato, e le braccia di Raffaele lo strinsero ancora più forte.

«Buona notte» sussurrò con voce nasale, la mente ovattata e la disarmante sensazione di trovarsi al sicuro.

IV. Primavera

«Devi farlo per forza?»

Fu a quella domanda di Paolo che si accorse di essersi schiarito la gola di nuovo.

«Scusa, mi prude tutto.»

Quella mattina lui e Raffaele erano andati al parco a fare un giro, mangiarsi una pizzetta al taglio per pranzo e vedere il laghetto che a Raffaele piaceva tanto. Da quando si erano trovati lì, Nuru aveva iniziato a starnutire, lacrimare e avere la gola in fiamme. Dopo che se n'erano andati il problema era diminuito, però non accennava a passare del tutto.

In quel momento si trovava con Raffaele, Paolo, Clara e Jacopo in biblioteca, a studiare per l'esame di analisi. Fuori il cielo era terso, le finestre erano spalancate e un leggero cinguettio riusciva a distrarlo mentre tentava disperato di tenere la testa sul libro e studiare. Vicino alla sua postazione si trovava un cestino in cui ormai era presente una pila di fazzoletti usati, ne mancavano due prima di finire il suo secondo nonché ultimo pacchetto di giornata. Tirò su col naso anziché soffiarlo, Clara sospirò ma non disse nulla.

Aveva la vista annebbiata, gli occhi gli prudevano e lui continuava a stropicciarseli con foga. I numeri sul foglio continuavano a mischiarsi, ma lui era deciso almeno a finire il capitolo prima di tornare a casa.

Quando si era trasferito in Italia, aveva notato subito che la differenza di paesaggio più grande rispetto al Kenya era la presenza di tutta quell'erba verde. A Mombasa non c'era mai erba tra un palazzo e l'altro, o nelle aiuole, solo terra rossa bruciata. C'erano alberi di mango, questo sì, palme e alberi d'acacia, ma la terra era arida e non si vedevano erba né fiori. Nel momento in cui si era trasferito l'aveva trovato bellissimo, peccato che non avesse considerato un minuscolo particolare: non era affatto abituato al polline.

Tirò su col naso di nuovo, poi si stropicciò gli occhi per l'ennesima volta.

«Amore, davvero, smettila di grattarti. Hai gli occhi tutti rossi, peggiori solo le cose se fai così, lo dico per te.»

Lui alzò gli occhi scuri e lacrimosi verso il compagno. «Mi prudono. Come faccio a non grattarli?»

«Shhh» arrivò da uno dei tavoli vicini, e i due riportarono gli occhi sul libro in silenzio.

Nuru tentò di soffiarsi il naso in quel fazzolettino umido che si stava disfacendo sotto i suoi occhi. Aveva la pelle del naso screpolata da tutte le volte che l'aveva soffiato, e si ridusse al buttare il fazzoletto perché ormai era divenuto inutilizzabile. Ne restava soltanto uno.

Strizzò gli occhi e, memore delle parole di Raffaele, riuscì a non grattarli. Una lacrima cadde sul libro, proprio sopra la formula che era intento a leggere, grossa e bollente.

«Fanculo» sibilò tra i denti.

Girò pagina e tirò su col naso ancora una volta. Paolo si sistemò sulla sedia, a disagio.

Sentì Raffaele sospirare e chiudere il libro. «Forse è meglio che andiamo.»

«Forse è meglio» commentò Jacopo, che non aveva fatto commenti in merito alla sua allergia ma doveva esserne altrettanto infastidito.

«Ma non ho finito il capitolo!»

«Shhhhh!»

Nuru alzò gli occhi al cielo. «Vabbè, ho capito, finisco a casa.»

Si alzò a tentoni, la vista annebbiata dalle lacrime. Aveva la gola in fiamme, ma si impose di non raschiarla, avrebbe fatto chiasso e dato fastidio a tutti. Notò che Raffaele prendeva anche il suo libro e glielo infilava nella borsa.

«Buono studio, ragazzi.»

«Ciao» gracchiò Nuru, la voce rauca.

Al loro allontanarsi, sentì i presenti sospirare dal sollievo.

«Ce la fai a camminare?»

«Non vedo bene.»

La biblioteca era vicino a casa, erano andati là a piedi, e fare quel tratto di strada all'aperto peggiorò la situazione, le lacrime aumentarono di intensità, si sentiva annaspare.

Arrivati a casa, Raffaele fu ben attento a non aprire le finestre. «Vedo se abbiamo dell'antistaminico, altrimenti vado a comprarlo. Bisogna comprare anche altri fazzoletti...» disse, andando a prendere due pacchetti e consegnandoglieli. «Meglio se vai a lavarti il viso, qua in casa dovresti sentirti meglio.»

Lo accompagnò in bagno e aprì l'acqua del rubinetto, toccandola attendendo che fosse tiepida. Poi, mentre Nuru si sciacquava il volto, andò a buttare tutti i fazzoletti usati che aveva nelle tasche della giacca in pelle, quelli utilizzati durante la loro camminata di ritorno.

«Non ti fa schifo?» gli chiese, dopo essersi schiarito la gola ancora una volta in modo rumoroso.

«Nah» rispose. «È roba tua, non può farmi schifo.»

«È roba uscita dal mio naso» gli fece notare Nuru. «A me farebbe schifo.»

In realtà, a un occhio attento, non sembrava che a Raffaele non facesse schifo. Stava tenendo i fazzoletti con la punta delle dita, stando attento a toccarli dove non erano troppo sporchi, e fu frettoloso a liberarsene, buttandoli nella spazzatura.

«Beh, a me non ne fa. Insomma, ho ingoiato il tuo sperma, quella fase l'abbiamo superata. E poi mi fa piacere aiutare. Va meglio?»

«Un po'.»

«Aspetta, ti cerco un antistaminico.»

Sparì verso la cassetta dei medicinali, e quando tornò era vittorioso con una pastiglia in mano. «Eccolo! Con questo e restando lontano dall'allergene dovresti stare meglio.»

«Qua è pieno di fiori. Perché dev'essere così pieno di fiori?»

«Perché sono belli!»

«Sono macchine della morte...» borbottò Nuru, mandando giù la pastiglia controvoglia.

«Voi wazungu siete di salute troppo cagionevole» gli fece il verso, osservando con un sorrisino lui che ingoiava l'antistaminico con la gola in fiamme.

«Ah, ah, ah. Molto divertente.»

«Lo è! La vendetta va servita fredda» rispose, tutto soddisfatto. «Questo significa che non ti posso portare a vedere l'orto botanico?»

«Oddio, no! Ne morirei!»

Raffaele rise, il che significava che il mondo era ancora un bel posto. Nuru sospirò. Si sentiva già meglio dopo essersi lavato il viso ed essersi allontanato dalla fonte dell'allergia. Gli occhi gli prudevano ma avevano smesso di lacrimare, non aveva più tirato su col naso e la gola era meno infiammata.

Si chiese allora, nell'intimo dei suoi pensieri, se quella convivenza avrebbe potuto funzionare. A Mombasa Raffaele sveniva dal caldo e si raffreddava infradiciato dal monsone; a Milano lui si ammalava per via del freddo e non respirava quando sbocciavano i fiori. Forse non esisteva un posto per tutti e due insieme, non c'era nel mondo un punto d'incontro tutto per loro.

«Tutto a posto ora? Posso fare qualcosa per te?»

Il ragazzo lo osservava, gli occhi azzurri spalancati, pronto a esaudire ogni sua richiesta, Nuru lo sapeva.

Lo seppe allora, ne fu sicuro come non era mai stato sicuro di niente in vita sua: sinché si fossero presi cura l'uno dell'altro, tutto sarebbe andato bene. Sinché si fossero presi cura l'uno dell'altro, ogni posto sarebbe stato il loro posto, ogni casa la loro casa. Avrebbero continuato ad adattarsi al clima ostile forse, a stare male a turno e accudirsi come avevano sempre fatto, e non c'era niente che l'avrebbe potuto rendere più felice di così.

Note autrice
Orbene dunque, eccoci alla fine di questo special! Volevo festeggiare un po' per i seimila, quindi eccomi qui.
Mi piaceva l'idea di "due volte che Raffaele ha risentito del clima di Mombasa e due volte che Nuru ha risentito del clima di Milano", perché loro due sono diversi, e forse non c'è davvero un posto nel mondo adatto a entrambi... però si amano, e quindi funzionano lo stesso. Se staranno male si accudiranno a vicenda, come sempre. Mi sembrava un bel messaggio da mandare! A volte il "tuo posto" devi costruirtelo da solo.
In più, da perfetta mzungu, anche io ho sofferto del clima di Mombasa, e immagino che alcuni miei amici kenioti avrebbero sofferto abbastanza del clima di Milano, quindi mi sembrava una storia logica da affrontare.
Poi caldo / pioggia / freddo / polline era perfetto per una storia sulle quattro stagioni!
Come vanno le vacanze? Vi state divertendo? Io martedì inizio a lavorare, ho trovato un lavoro dopo un periodo di inattività, quindi niente ferie per me ma sono contenta lo stesso!

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