Naenda mimi

Mimi ni wako, milele.

Sono tuo, per sempre.

***

Il giorno che Raffaele gli aveva chiesto di sposarlo, l’aveva fatto il quattordici luglio agli Champs Elysée, con la Tour Eiffel e i fuochi d’artificio tricolore di sfondo.

Si era persino scusato per la banalità, come se per Nuru non fosse stata niente meno che la cosa più bella che gli fosse mai successa, nel modo più bello in cui sarebbe potuta succedere.

Per tutta la vita aveva sempre pensato che la felicità sarebbe stata fuori portata per lui. Per tutta la vita aveva pensato che non avrebbe mai visto il mondo, mai viaggiato, mai conosciuto l’amore, mai dato un bacio. Per tutta la vita aveva pensato che queste scene da film le avrebbe viste solo a casa di Hassan, sulla sua TV perché lui non se ne sarebbe mai potuta permettere una, e non si sarebbe neanche potuto permettere di sperare che un cliché del genere degno dei più scontati film romantici potesse appartenergli, proprio a lui.

Era per questo che Raffaele l’aveva fatto in quel modo e in quel momento, nel luogo più zuccheroso e scontato di tutto il mondo. Perché Nuru non aveva mai avuto niente, e quindi si meritava qualcosa di grande, si meritava i fuochi d’artificio e la passeggiata sulla Senna e la Tour Eiffel e Parigi e la vasca idromassaggio nella camera d’albergo e l’anello scintillante e tutto ciò che ormai era andato fuori moda, che per lui era ancora speciale e un’assoluta novità.

Fu per questo che, ripensando a quel momento, lui sentì ancora caldo dentro e sorrise, e non credette a quanto era fortunato. Fu per questo che, seduto sul sedile posteriore della macchina di Hussein, col cuore che gli batteva in gola, riuscì a ignorare tutte quelle voci che gli urlavano che era fuori posto, che non meritava niente di quello che aveva, che avrebbe perso tutto e se lo sarebbe meritato, che era un impostore e un ladro.

Ingoiò la sensazione acida e bruciante che quelle voci gli instillavano, non si sarebbe sentito così anche nel giorno del suo matrimonio, e spalancò la porta dell’auto per andare in pasto ai giornalisti affollati davanti all’entrata del Palazzo Reale di Milano.

“Signor Mutuku, come si sente?”

“Pensa che sua madre approverebbe la sua scelta?”

“Conferma che nel periodo in cui faceva uso di ketamina ha avuto un’overdose?”

“Di chi è il suo abito? Lo ha scelto lei o è di uno sponsor?”

“Signor Mutuku! Da questa parte!”

Fece un sorriso tirato e si alzò, richiudendosi la portiera alle spalle. Non avrebbe risposto alle domande inopportune di quei giornalisti, si sarebbe dovuto mostrare cordiale con loro. Dopo l’incidente di Raffaele e il cameraman a cui aveva rotto la telecamera, l’opinione pubblica era sensibile a riguardo. “Scusate, permesso… sono già in ritardo…”

Una donna con il badge di Sky si avvicinò a lui un po’ troppo, facendolo sobbalzare, e Nuru spostò il microfono che gli puntava con la mano. Spintonò tra la folla e i giornalisti, sinché non iniziò a individuare qualcuno che conosceva tra gli invitati, in lontananza.

Clara, Jacopo, alcuni dei suoi colleghi, gli zii di Raffaele… non vide Hassan, eppure doveva essere là da qualche parte, gli aveva scritto che era arrivato. 

Riconobbe Gabriele, in abito impeccabile, e si diresse verso di lui. Era uno dei testimoni, Raffaele doveva essere vicino. Si fece strada ignorando le richieste dei giornalisti e gli scatti dei fotografi, quando lo vide.

Lui era impegnato a sistemarsi l’orologio al polso, gli occhi azzurri e concentrati puntati sul laccetto in metallo. Era la prima volta che Nuru vedeva il suo completo, di un blu vibrante e che lo fasciava proprio dove avrebbe dovuto, gli metteva in risalto le gambe toniche e la linea delle spalle. 

Si schiarì la gola dal nervosismo e lo fissò, incapace di distogliere lo sguardo.

Qualche altro giornalista urlò il suo nome, così Raffaele si riscosse e si voltò nella sua direzione, seguendo il suono. Lo vide allora, e quello splendido giovane uomo sorrise di un sorriso rivolto solo a lui, sfoggiando la fossetta sulla guancia sinistra.

D’un tratto, ogni dubbio che l’aveva assalito durante il viaggio in macchina si dissipò come fumo. Si diede dell’idiota per aver pensato che quello non fosse il suo posto. Lui doveva stare lì, quel luogo gli apparteneva, solo per il fatto che Raffaele si trovava lì. Nient’altro era importante.

Si fece largo tra la folla e la risalì come un salmone che nuota controcorrente, sino ad arrivare a lui.

Quel giorno il ragazzo aveva dormito a casa dei genitori, perché diceva che svegliarsi insieme la mattina delle nozze era sconveniente. Nuru non l’aveva visto per appena un giorno, si erano detti che non si sarebbero nemmeno sentiti, e non era quasi riuscito a credere quanto gli era mancato.

“Stai benissimo.”

“Sei stupendo.”

Quelle due frasi, buttate fuori nello stesso momento, li portarono a una risatina imbarazzata.

“Pronto?” sussurrò il ragazzo che amava, e lui sentì il cuore stringersi nel petto.

“Mai stato più pronto di così.”

“E allora andiamo! Liberiamoci di questa gentaglia.”

Nuru gli offrì un sorrisino incredulo. L’odio di Raffaele verso chiunque facesse parte della stampa era sempre stato troppo divertente, per lui. “Dov’è Allan?”

“Eccomi!” 

La voce di suo fratello lo spinse a voltarsi, e vide che sbucava dalla ressa che si era formata vicino l’entrata. Per una volta, il ragazzo non aveva una delle sue solite maglie sformate o, in inverno, felpe col cappuccio. Lui era il suo testimone, come Gabriele era quello di Raffaele, e per l’occasione si era messo persino in camicia – coi jeans, non c’era stato verso di convincerlo a mettersi in abito.

“Vieni, andiamo. È già tardi.”

“Già, e di chi è la colpa?” domandò suo fratello, seccato.

“Di Hussein,” borbottò Nuru, afferrando Allan per un braccio e trascinandolo dentro, seguito dai due Fontana. Hussein, il ragazzo libanese che avevano conosciuto al loro primo pride insieme, l’aveva accompagnato in macchina sul luogo della cerimonia, insieme alla sua ragazza Halima, in quanto Nuru non aveva ancora la patente. “È stato lui a fare tardi.”

“Non ha senso cercare colpe ora,” intervenne Raffaele, sempre conciliante. “Ci siamo tutti, questo è l’importante.”

Un messo comunale venne loro incontro, sembrava innervosito dalla folla. Il brusio degli invitati e dei giornalisti riempiva le sale affrescate del palazzo, diffondendo un cicaleccio fastidioso.

“Non può entrare tutta questa gente,” disse, non appena fu abbastanza vicino.

“La stampa non entra,” lo rassicurò Raffaele.

Intanto, gli invitati iniziavano a infilarsi all’interno del palazzo, con l’aiuto di due guardie giurate che tenevano fuori gli intrusi. Nuru lottò contro l’istinto di allentarsi la cravatta, sentiva caldo e iniziava ad accusare tutta l’agitazione.

Avanzarono per le sale del palazzo, sentì la mano di Raffaele sfiorare la sua, e lui l’afferrò. Se la portò alle labbra, stringendola, e diede un bacio con lo schiocco al suo dorso.

Giunsero alla sala in cui si sarebbe tenuta la cerimonia in silenzio, guardandosi intorno e osservando gli interni del Palazzo Reale, i suoi soffitti affrescati.

La sala designata era meno spaziosa di quello che Nuru si era aspettato, con un grande arazzo meraviglioso sul fondo, dove l’officiante attendeva seduto a uno scranno davanti a una tavolata in legno laccato. Di fronte a lui quattro sedie, due per gli sposi e due per i testimoni.

Attraversarono il corridoio tra le file di sedie imbottite su cui si riversarono gli ospiti, e Nuru sentì il cuore accelerare ancora.

Quanto aveva penato, per arrivare a quel momento. E ora eccolo là.

Per uno straniero, sposarsi in Italia richiedeva sin troppe scartoffie. Era necessario ricevere un nulla osta dal paese di provenienza e, nel caso di un’unione civile come la loro, di un certificato che attestasse l’impossibilità  a rilasciare questo nullaosta se lo stato in questione non prevedeva unioni di quel tipo.

Avevano faticato molto per ottenere quel certificato, c’era voluto l’intervento di Enrico, ma alla fine c’erano riusciti, tutto per arrivare là, davanti alla persona che avrebbe ufficializzato il loro matrimonio.

Sentì che Raffaele stringeva la sua mano in una morsa, poi la lasciò.

Nuru sentì come se l’avesse abbandonato in mezzo al mare in tempesta, e per un attimo ebbe paura che senza quella mano nella sua sarebbe caduto. Non accadde. Camminò al suo fianco sino alla sedia a lui designata, e si sedette. Raffaele fece lo stesso.

“Benvenuti,” disse l’uomo davanti a loro, che Nuru non conosceva.

Sentì Raffaele mormorare un “Grazie.”

Faceva caldo in camicia e giacca, troppo, e Nuru si chiese come mai non avessero scelto di sposarsi a febbraio. Sentiva il cuore picchiare in gola, più o meno come si era sentito al primo esame all'università, ma venti volte di più.

L’uomo si alzò, e la folla dietro di loro si chetò. Nuru si volse indietro un istante, per dare una rapida occhiata ai suoi ospiti tutti uniti in quella sala. Enrico aveva già iniziato a singhiozzare, Clara gli rivolse un sorriso da un orecchio all’altro, poi vide Hassan.

Non vedeva il suo amico da anni, non era più tornato in Kenya, anche si erano sempre sentiti in modo continuativo. Il ragazzo alzò un sopracciglio, scettico, poi un angolo delle sue labbra si piegò in modo quasi impercettibile all’insù.

Allan, seduto accanto a lui, gli diede una gomitata e lui si voltò di nuovo verso l’officiante, che stava guardando nella sua direzione, attendendo che fosse concentrato per iniziare a parlare.

“Grazie di essere venuti qui con noi a celebrare l’unione civile tra questi due giovani,” disse, dopo essersi schiarito la voce. La mano di Nuru si posò sulla gamba di Raffaele e la strinse. “Se ci siamo tutti, possiamo cominciare.”

Iniziò a sciorinare i diritti e i doveri del contratto di matrimonio, e la mente di Nuru vagò, incapace di stare lì ad ascoltare per la tensione, troppo che gli frullava in testa in quel momento.

Osservò i particolari di quell’arazzo proprio davanti a lui, studiò la barba curata dell’uomo che stava spiegando quel che sarebbe stato il suo futuro, e pensò poi a dove tutto era iniziato, quel matatu che li aveva portati sulla stessa strada, più di dieci anni prima.

Sentì Raffaele dire qualcosa, e sobbalzò. Gli occhi del celebrante, del suo fidanzato, di suo fratello e di certo di tutti gli altri erano puntati su di lui. L’officiante sospirò.

“I due hanno deciso per un cognome comune?” disse, ripetendo ciò che era chiaro avesse detto poco prima.

“No,” rispose Nuru, in un filo di voce e in imbarazzo per essersi distratto proprio in quel momento.

“Dichiara il Signor Mutuku Nuru di voler costituire un’unione civile con il Signor Fontana Raffaele qui presente?”

È il momento, è il momento, è il momento, è il momento.

Si schiarì la voce. “.”

Raffaele posò la mano sulla sua, che teneva ancora sulla sua coscia. 

“Dichiara il Signor Fontana Raffaele di voler costituire un’unione civile con il Signor Mutuku Nuru qui presente?”

La domanda non era neanche del tutto conclusa quando Raffaele rispose, senza esitazioni: “sì.”

“I testimoni hanno udito?”

“Sì,” pronunciarono all’unisono. Era raro sentire Allan parlare in italiano, benché dopo quasi dieci anni in Italia l’avesse imparato piuttosto bene.

“Io, Mirata Alessandro, Ufficiale dello Stato civile del Comune di Milano, dichiaro in nome della legge che i Signori Mutuku Nuru e Fontana Raffaele hanno costituito tra di loro un’unione civile ai sensi della Legge 76/2016.”

Sentì qualcuno fischiare la sua approvazione, poi un giro di applausi scroscianti.

Sta succedendo davvero, sta succedendo davvero, sta succedendo davvero.

Fu in quel momento che decise di voltarsi verso il compagno, e si accorse che lui già lo stava guardando. Era bellissimo, col suo abito blu e gli occhi grandi e acquosi, un sorriso emozionato sulle labbra e lei, quella fossetta sul lato sinistro del volto che lo faceva sentire a casa.

Sentì qualcosa muoversi dietro di lui, e vide che Allan gli porgeva un sacchettino in raso. Lui l’accettò con mani tremanti, lo aprì, e prese l’anello al suo interno. Raffaele gli porse la mano, candida come sempre, soffice al tatto.

Dentro la fede, quella sottile banda d’oro, avevano fatto incidere i loro nomi, la data e una breve frase. Su quello di Nuru c’era scritto ‘dove vai tu’ in italiano, su quella di Raffaele ‘naenda mimi’, ‘vado io’ in swahili.

Nuru gli infilò l’anello al dito, cercando di calmare i respiri affannosi, poi gli prese la mano e la baciò là dove l’aveva infilato.

Fu il turno di Raffaele di mettergli il suo, e quando lo fece arrivò un altro giro di fischi e di applausi, davanti al quale l’officiante fece una smorfia infastidita, ma non disse nulla.

Porse loro le carte da firmare, e Nuru prese la penna nera in mano. Appose la sua firma là dove gli era stato indicato, poi guardò Raffaele e i due testimoni fare lo stesso.

L’uomo dall’altro lato del tavolo gli rivolse un sorriso un po’ più genuino. “Congratulazioni, signori. Potete andare.”

Era tutto lì, dunque? Un discorsetto, qualche formula, una firma e Raffaele sarebbe stato suo per sempre?

“Grazie,” gli disse Raffaele, la voce che tremava. “Grazie, grazie,” poi si alzò. Nuru lo seguì, ancora stordito.

Sentì che Allan gli dava una pacca sulla schiena, lo scatto di una fotografia, poi lo guardò. Raffaele era a meno di un metro di distanza, e lo stava osservando. Sorrideva, gli fece cenno di avvicinarsi e lui, come sotto incantesimo, obbedì.

“Bacialo, idiota!” urlò qualcuno, forse Jacopo, ma Raffaele non lo fece. Invece, gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò.

Il pubblico urlò di nuovo, ma Nuru non lo stava ascoltando. Lo strinse a sua volta, più forte che poteva, tanto che sentì le sue ossa riassestarsi con qualche schiocco. Nascose il volto nella curva tra il collo e la spalla e inspirò il suo profumo, strizzando gli occhi più che poteva.

Restarono abbracciati e immobili per secondi interminabili, Nuru sentì gli occhi che gli si riempivano di lacrime, lottò contro farle uscire perché non voleva essere ridicolo.

Sentì le labbra di Raffaele che gli si premevano sul collo, rabbrividì.

Tutto quello che avevano passato aveva portato a quel momento. Tutto quello che aveva sofferto, ogni giorno nella sua baracca a Mombasa in cui era stato sicuro che non sarebbe mai stato felice, non avrebbe mai avuto una famiglia, l’avevano portato là, da Raffaele, in quell’abbraccio.

Quando si separarono, il mondo riacquistò forma e colore intorno a lui. Allan lo abbracciò, poi anche Gabriele. Gli ospiti iniziarono ad alzarsi e a venire verso di lui. Vide con la coda dell’occhio Clara che assaltava Raffaele in un abbraccio soffocante, ma non ci badò molto.

Enrico si stava avvicinando verso di lui, aveva smesso di piangere, gli prese il volto tra le mani tremanti e gli stampò un bacio sulla fronte.

Nuru gli sorrise, fece per ringraziarlo, ma lui non gliene diede il tempo. “Mio figlio,” gli disse, con voce roca. “Sei anche tu il mio bambino, capito? Guardati, hai fatto passi da gigante e io…  sono così fiero.”

Le prime parole che quell’uomo gli aveva sentito pronunciare erano ‘non mi toccare, mzungu’ riferite a suo figlio. Eppure, con lui non si era mai arreso.

No, lui ci aveva provato, gli aveva voluto bene, lo aveva consolato, accolto come un figlio e l’aveva amato, con tutta la forza che aveva.

“Grazie,” gli disse, e si rese conto di essere sul punto di singhiozzare. “Grazie, davvero, per tutto, non so cosa dire, io…”

Enrico, che aveva ancora il suo volto tra le mani, gli diede un bacio sulla fronte di nuovo. “Non dirmi niente. Vai a festeggiare, che te lo meriti. Io vado a dare le mie raccomandazioni a quel discolo di tuo marito.”

Le parole ‘tuo marito’ gli si impressero sul petto, marchiate a fuoco. Sorrise, e si asciugò le lacrime con la manica della giacca.

Enrico lo lasciò, così poté salutare Nurain, che era venuta col nuovo ragazzo, conosciuto al centro di accoglienza, e Hassan. Non ebbe il tempo di chiedere al suo amico perché fosse venuto da solo, lui che si era fidanzato ufficialmente solo qualche settimana prima, il ragazzo ebbe solo il tempo di sentirlo sussurrargli all’orecchio: “Bastardo, ce l’hai fatta alla fine! Poi parliamo.”

Dopo qualche minuto di saluti e congratulazioni, gli fecero pressioni per lasciare la sala. Raffaele lo raggiunse, gli stampò un bacio sulla guancia e gli prese la mano, lui si lasciò trascinare fuori come un agnellino, stordito dall’emozione e da tutte quelle attenzioni.

Uscirono fuori, sulla piazza, e i giornalisti li assaltarono di nuovo. Non gli importava, si sarebbero recati in ristorante allora e là non ci sarebbe stato nessuno se non i suoi invitati, tutta gente a cui voleva bene, nessun giornalista molesto, nessuna domanda scomoda.

La macchina che avevano noleggiato per l’occasione era già là, così spintonarono la folla di giornalisti sino all’auto.

“Signor Mutuku, avete cambiato cognome? Avete adottato un cognome italiano?”

Per qualche motivo, quella domanda spinse Raffaele a rispondere infastidito.

“Abbiamo cambiato entrambi cognome,” disse, in tono di scherno. “Ne abbiamo preso uno zulù. Eravamo indecisi con uno thailandese, ma questo alla fine c’è piaciuto di più.”

“Ignorali, amore,” lo pregò Nuru, che non teneva affatto a un’altra denuncia proprio il giorno del suo matrimonio. “Sali in macchina, avanti.”

Raffaele aprì la portiera con stizza. “Che significa ‘hai preso un cognome italiano’? Cos’ha il tuo cognome che non va?” protestò, saltando dentro. “Ecco, ora avrei voluto cambiare il mio. Solo per dar loro fastidio, razzisti bastardi.”

Nuru salì al sedile posteriore e chiuse la portiera, il chiasso di tutti quei giornalisti scemò. “Non fa niente. Non fa niente, così dai loro soddisfazione e basta. Ignorali.”

“Sai che non ci riesco,” borbottò lui, incrociando le braccia come un bambino capriccioso.

Nuru sorrise, gli faceva tenerezza imbronciato in quel modo. La macchina partì, e gli sembrò di vederlo rilassarsi, un pochino.

Raffaele era fatto così, le ingiustizie non le aveva mai sopportate, aveva sofferto per il razzismo a cui il compagno – il marito – era stato sottoposto negli anni, ora più ora meno velato.

Anche lui ne era stato vittima, a suo modo. Su internet era pieno di commenti volgari in cui si insinuava che avesse scelto un ragazzo keniota per le celebri qualità che le persone nere avevano tra le gambe, chiamandolo con vari e creativi appellativi il più elegante dei quali era ‘goloso’.

Nuru si sporse verso di lui e gli diede un bacio sulla punta del naso, per farlo calmare. “Che ne dici se ci godiamo un po’ il viaggio, mh? Potremmo berci qualcosa…”

Raffaele restò con la fronte aggrottata e le braccia incrociate ancora per un attimo, poi lo vide sciogliersi sotto i suoi occhi. Alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. Nuru aveva sempre amato quel sorriso, l’aveva amato da prima di accorgersi di farlo. “Hai ragione…”

“Bravo,” gli disse, e gli schioccò un altro bacio, stavolta sulla guancia. Si voltò indietro e afferrò la bottiglia di spumante ghiacciato che avevano tenuto in macchina per l’occasione. “Brindiamo?”

Il sorriso di Raffaele si allargò. “Passa, la apro io.”

Tolse la gabbia di metallo che teneva il tappo al suo posto e stappò la bottiglia, senza agitarla per non far partire il tappo e spaventare l’autista e per non sporcare la macchina a noleggio di schiuma frizzantina. Il gesto esplose comunque in un sonoro pop che lo fece gongolare soddisfatto. Nuru pensò di non poter essere più innamorato di così.

“Avvicinati,” gli intimò, e Nuru si protese verso di lui. 

Lo imboccò allora, dandogli da bere dalla bottiglia in vetro, i suoi occhi di quell’azzurro sporco fissi su di lui, affamati. Nuru vide la sua espressione mutare in un sorrisino malizioso, e quando finì di bere, il sapore secco e solleticato dello spumante sulla lingua, fu lui a imboccarlo a sua volta.

Vedere le sue labbra pallide avvolte al collo della bottiglia gli portarono alla mente ricordi osceni, e resero i pantaloni dell’abito troppo stretti da un momento all’altro.

Raffaele gli fece cenno che aveva finito, e lui posò ancora la bottiglia nel cestino col ghiaccio. Suo marito – marito, marito, marito! – gli fece l’occhiolino, e la temperatura nella macchina salì di mille gradi, non per via dell’alcol.

Vide Raffaele sganciarsi la cintura, gli stava per chiedere cosa diavolo avesse intenzione di fare, con quell’espressione  che non prometteva nulla di buono, quando lui scivolò sul sedile e gli si sedette in grembo, cacciandogli la lingua in bocca.

Le mani di Nuru si allacciarono intorno ai suoi fianchi per fargli da cintura, e reciprocò il bacio con gli interessi, il sapore dello spumante che gli riempiva la bocca e i sensi annebbiati da quella lingua che giocava con la sua.

Raffaele si strusciò su di lui, estorcendogli un gemito, così la sua mente si azzerò.

Continuò a baciarlo con foga, il desiderio brutale di divorarlo a morsi, di avere di più, di non esserne mai sazio. Raffaele si separò da lui e iniziò a baciargli il collo, le braccia di Nuru che lo tenevano stretto a sé, appiccicato, il corpo caldo che sfregava contro il suo facendogli perdere ogni autocontrollo.

Diede un rapido sguardo all’autista, che sembrava star guardando la strada e non star facendo caso a loro, poi Raffaele gli succhiò la pelle della gola e lui trattenne a stento un verso di piacere.

Voleva toccarlo, strappargli la camicia di dosso, voleva infilargli la mano tra le gambe e farlo gemere, prenderlo sui sedili di quell’auto e farlo suo.

Lottò contro l’istinto di iniziare ad ansimare, e quando era sul punto di fregarsene della terza persona in quella macchina e prendersi ciò che voleva, Raffaele si fermò. Nuru lo guardò a occhi sgranati e increduli, e lui gli passò la lingua sulle labbra, lascivo. “Sei buono,” gli disse, poi tornò sul suo sedile, con un sorrisino innocente in volto.

“Io… ma… tu…”

All’altro sfuggì una risatina. “Sei così carino tutto eccitato.”

Nuru cercò di darsi una calmata e ignorare l’ingombro che ormai gli pulsava tra le gambe. “Perché… perché hai smesso?” sibilò, indignato.

“Amore,” sussurrò, per non farsi sentire dall’uomo che stava guidando, “non possiamo mica scopare in macchina. Non siamo soli, lo sai questo, vero? Ci arresterebbero... di  nuovo.”

Nuru chiuse gli occhi e cercò di calmarsi. “Sei un danno,” lo sgridò, concentrandosi sulla cosa meno sexy che gli venne in mente, che in quel momento era la prima volta che la nonna di Raffaele l’aveva invitato a pranzo e aveva provato a parlare in inglese per essere un po’ di compagnia. “Una fottuta minaccia alla sicurezza nazionale, ecco cosa.”

“Non avrai un po’ esagerato?” gli chiese, poteva sentire il suo sorriso anche senza vederlo.

“No. È tutto vero.”

“Beh, questa minaccia alla sicurezza nazionale l’hai sposata. Deve piacerti, almeno un pochino.”

Nuru sospirò e riaprì gli occhi. Era riuscito, almeno un po’, a calmare i bollenti spiriti. “Purtroppo mi piace, sì, anche troppo.”

“Perché purtroppo?” gli chiese, divertito.

Perché sei la mia vita. Non posso più sopravvivere senza di te, e saperlo mi fa paura

Nuru sorrise. “Perché sei irritante, ecco perché. Mi sarei dovuto innamorare di qualcun altro, tipo Ahmad.”

“Ancora con questo Ahmad? Ma è una fissa, la tua!”

“Geloso?”

Pfff, ma per favore. Io? Di quel bellimbusto? Gli piacerebbe…”

Iniziarono a battibeccare e a bere, sinché la bottiglia di spumante non fu svuotata e loro, a stomaco vuoto, un poco brilli. L’auto si fermò quando arrivarono a destinazione, Nuru si sganciò la cintura e uscì allo scoperto, un po’ malfermo sulle gambe.

Qualche ospite, che doveva aver corso per arrivare lì, insieme a qualcuno che non era andato alla cerimonia, si trovava già al castello.

Il cielo era terso, di un turchese intenso, e il lago di Como scintillava pigro sotto ai raggi del sole, una trapunta di diamanti. Il castello di Rossino li accolse, l’aria infusa di un profumo pungente di fiori d’arancio, che avevano scelto per adornare il giardino in cui si sarebbe tenuto il pranzo. Sotto un tendone bianco, alcuni camerieri tutti impomatati iniziavano a servire l’aperitivo agli ospiti, una Malvasia e un Müller Thurgau di cantina per quello alcolico, e un cocktail al mango e cocco per quello analcolico.

Tutto il menù sarebbe stato così, un’unione di sapori italiani e kenioti, perché quello sarebbe stato il loro matrimonio e quindi l’avevano voluto in quel modo.

Il cibo sarebbe stato del tutto vegetariano, per due motivi diversi: il primo, che Raffaele negli anni era diventato tale, e non gli piaceva l’idea di carne al suo matrimonio; il secondo, che avendo diversi ospiti musulmani – Hassan, Hussein, dei ragazzi dal centro accoglienza – sarebbe stato troppo difficile trovare della carne da macellerie halal da offrire agli ospiti, era molto più comodo eliminarla in via preventiva.

Hassan e Allan erano già là, Hassan si godeva il suo cocktail analcolico al mango, mentre Allan aveva già svuotato due bicchieri di bianco.

“Ehilà!” esclamò Raffaele, annunciando la sua presenza. I due ragazzi si voltarono, prima immersi in un discorso che loro non avevano sentito, e le loro espressioni si illuminarono al vederli.

Allan fischiò, attirando l’attenzione  degli altri ospiti, che si avvicinarono per le congratulazioni, mentre alcuni ronzavano intorno al tavolo dei regali per lasciare il loro e sbirciare quelli altrui.

“Come stanno gli sposini?” chiese Allan, quando si furono avvicinati abbastanza.

“Staranno meglio quando avranno rimediato un po’ di vino,” commentò Nuru, poi si voltò verso Raffaele per chiedergli se desiderava un calice di Malvasia o di Müller.

Non ne ebbe modo.

Raffaele aveva allargato le braccia, aveva sorriso ed esclamato: “Hassan!”

Nuru ebbe paura che il suo amico l’avrebbe respinto. Sapeva che non l’aveva mai sopportato, che non lo tollerava. Eppure, parve cogliere quell’invito. Dopo un attimo di indecisione che lampeggiò nei suoi occhi, posò il bicchiere sul tavolino e lo abbracciò, con tanto di vigorose pacche sulla schiena. “Trattamelo bene,” lo sentì mormorare al suo orecchio.

Raffaele si mise a ridere a quelle parole. “Tranquillo, è in buone mani.”

“Ne sono sicuro.”

I due si scambiarono un sorrisino imbarazzato, poi Hassan si schiarì la voce e portò la sua attenzione verso Nuru. “E allora? Alla fine ti sei sposato prima di me!”

“Eppure ho sentito che non ti manca molto,” rispose, dandogli una gomitata allusiva. “Quindi? Perché non me l’hai portata? Ti vergogni di me, eh? Di’ la verità!”

Hassan aveva trovato una ragazza l’anno prima, Safiya, una tipa spigliata anche piuttosto carina che aveva incontrato al lavoro. Era da un po’ che si parlava di matrimonio anche per lui, e l'amico ne parlava sempre molto entusiasta. Questo sinché non gli aveva comunicato la settimana prima che sarebbe arrivato da solo, e non con lei come aveva detto. Da quel momento, su di lei non aveva più proferito parola.

“Ci siamo lasciati. Cioè, l’ho lasciata,” rispose lui, d’un tratto freddo. Aveva distolto lo sguardo, e Nuru dal silenzio congelato che seguì poté sentire Raffaele parlare con Allan, entrambi avevano preferito lasciare i due vecchi amici da soli.

“L’hai lasciata? Come sarebbe a dire? Hassan, tu… tu adoravi quella ragazza!”

“La ho invitata al matrimonio, come mi hai chiesto. Lei era entusiasta, non era mai stata in Europa… era contenta, e io non vedevo l’ora di portartela, di presentartela. Le parlavo sempre di te… poi… poi le ho detto con chi ti saresti dovuto sposare e lei non l’ha presa bene.”

Nuru aggrottò la fronte. “Le hai detto con chi dovevo sposarmi, cioè? Raffaele?”

Hassan si strinse nelle spalle. “Cioè un altro uomo.”

Sbatté le palpebre per digerire l’informazione. “Ah.”

“Ha detto cose cattive. Su di te, su quello che stavi facendo. E io… io non la voglio con me una persona così. Così le ho detto addio.”

“Oddio, Haz, mi dispiace così tanto, è colpa mia, avrei dovuto immaginarlo…”

Lui lo guardò, sorrideva anche se non sembrava affatto allegro. “Ma non è colpa tua, mi sbaglio? È colpa sua. Sua e di tutti quelli come lei. E persino io mi sono stancato di sopportarlo, non oso immaginare quanto abbia sopportato tu, e… mi dispiace. Non ho idea di quello che hai passato, e per tutto quel tempo non ti rendevo le cose facili, ti trattavo male e…”

“Ehi, ehi, ehi, fermò là. Non hai fatto niente di male, avevi ragione. Non sono stato un grande amico, lo ammetto, ho smesso di considerarti da un momento all’altro. Non è stata una bella cosa, mi dispiace.”

“Già, ma io non sono stato comprensivo per niente. Avevo capito, ma me ne sono fregato. E quando eri a casa mia, quando ha avuto l’incidente… ho fatto proprio lo stronzo.”

“Non importa. Eri arrabbiato, avevi ragione a esserlo. E io non ti capivo. Non volevo che pensassi che ti usavo…”

“Non lo pensavo. Non lo penso. Scusami, se l’ho detto.”

“Non fa niente. Grazie… grazie di essere qui.”

Hassan gli sorrise. “Ora sei tu che mi offri la cena, eh?”

“Sì, e che cena! Vedrai!”

Lui fece una piccola smorfia. “Non ho mai mangiato vegetariano.”

“Ti piacerà. La chef è molto brava. Ha un ristorante qui sul lago di Como, ci andiamo sempre, oggi ce la siamo presa tutta per noi! Lei cucina solo vegetariano, è abituata.”

“Ti farò sapere.”

“Facciamo i difficili, eh?”

“Con tutte le volte che ti ho portato a mangiare fuori, pretendere una cena come si deve mi sembra il minimo!”

Gli venne da ridere a quelle parole. “Mi sembra giusto.”

“Ora vai, smettila di perdere tempo con me. C’è tuo marito che sta accogliendo gli ospiti tutto da solo…”

Ancora una volta, al sentire le parole ‘tuo marito’ il suo stomaco si contorse, e sentì un moto d’orgoglio che gli strappò un sorriso idiota.

“Sì, hai ragione. Ora vado. Divertiti, e se ti serve qualcosa non esitare a chiedere!”

Hassan gli fece l’occhiolino. “Non mancherò.”

Accorse da Raffaele che, come il suo amico aveva detto, era impegnato a indirizzare gli ospiti verso le tavolate nel giardino, ognuna col suo segnaposto prestabilito.

Aveva un calice in una mano e un crostino con mousse di zucchine e menta nell’altra, sorrideva e dava le indicazioni, rosso in faccia e ancora emozionato. Nuru si avvicinò, gli cinse il fianco e gli stampò un bacio sulla tempia. Lui si irrigidì, sorpreso, poi lo sentì sciogliersi sotto le sue mani, si voltò e ricambiò il bacio, stavolta sul collo.

“Il fotografo mi ha chiamato, è ora. Sto facendo sedere tutti, così mentre arriva l’antipasto andiamo a fare qualche scatto.”

Nuru trattenne uno sbuffo frustrato. Stava morendo di fame, ma sapeva che se non avesse fatto alcuna foto poi se ne sarebbe pentito, era troppo importante, così non protestò. “E andiamo a fare queste foto, forza.”

Passò almeno mezz’ora prima di poter tornare a mangiare qualcosa. Tra i vari “più a sinistra”, “così siete troppo in controluce”, “ora guarda da quella parte”, “mettigli una mano sul fianco, bravo, così” e varie altre futilità di cui avrebbe volentieri fatto a meno, riuscirono infine a sedersi al tavolo e mangiare qualcosa. Durò poco. Dopo il secondo primo – conchiglioni passati al forno ripieni di gorgonzola, in crema di porcini – furono incoraggiati con energia da Enrico a fare il giro dei tavoli, per assicurarsi che tutto stesse filando per il verso giusto e per salutare gli ospiti.

Bevvero un bicchiere ogni volta che si fermarono a un tavolo e Nuru iniziava a sentirsi più che brillo, ma era una sensazione piacevole. L’unica cosa che gli pesava era non essere ancora riuscito a fermarsi a mangiare come si deve, lo stomaco che continuava a brontolare imperterrito.

Fu solo all’arrivo dei dolci che riuscirono a recuperare qualcosa, Raffaele si scofanò tre piatti del tiramisù al liquore di cocco e cioccolato fondente, mentre lui prese mandazi ripieni di mascarpone alla vaniglia a piene mani, strani esempi di cucina fusion che però tutti sembrarono aver apprezzato.

Da quando si calò quello che doveva essere il dodicesimo bicchiere di vino, tutto iniziò a sfumare nella sua mente, le risate a farsi più alte e lui a lasciarsi andare. Non ricordava più chi si era avvicinato a fargli gli auguri, chi se n’era andato in anticipo o era arrivato in ritardo. Non ricordava più cos’era il poco che aveva mangiato, né quello che avrebbe dovuto fare per essere un ospite perbene. Tutto ciò che ricordava era perché fosse lì, che era felice, che l’uomo che amava era accanto a lui ed era felice a sua volta, e questo era tutto quello che contava.

La cena finì che il sole era tramontato da tempo, e quando tutti se ne furono andati, Allan e Gabriele per ultimi, un cameriere li scortò su a quella che sarebbe stata la loro stanza. Il castello non era un albergo, ma per le coppie che sceglievano di sposarsi lassù i proprietari lasciavano a disposizione una stanza con vista, la Suite della Torre, che era proprio dove si trovavano in quel momento.

Stanchi per via del vino, dell’emozione e soprattutto di tutte le scale che avevano fatto per arrivare lì, furono soli.

Nuru si accorse che la stanza girava appena, che lui era malfermo sulle gambe. Avanzò verso Raffaele e gli prese il volto tra le mani, posando la fronte sulla sua.

“E così,” disse lui, che sembrava un po’ più in sé, “siamo rimasti solo io e te.”

“Sei felice?” gli chiese, perché quella era la cosa più importante e perché sotto sotto aveva il terrore che il ragazzo potesse essersi pentito.

Raffaele trattenne a stento una risatina. “Se sono felice? Dio, io… sono così contento che non riesco neanche a parlare,” disse. Era vicino, troppo vicino, e Nuru poteva vedere le macchie d’ambra nei suoi occhi chiari, macchie che ormai ricordava a memoria. “Tu? Sei felice?”

“Felice? Io?” chiese Nuru, incredulo. “Spero sia una domanda retorica.”

Raffaele lo guardò allora, gli occhi spalancati. Aveva le pupille dilatate, le guance rosse e il respiro affannoso. “Ti amo,” gli disse, in italiano come sempre.

Ninakupenda. Avevi ragione. Nella propria lingua è più dolce che in inglese.”

“Io ho sempre ragione, ricordatelo.”

Nuru alzò gli occhi al cielo, poi il suo sorriso si incrinò. “Sai, un giornalista mi ha detto una cosa che mi ha fatto pensare, oggi.”

Lo sguardo di Raffaele si fece severo. “Bene. Chi devo denunciare?”

“Giurisprudenza ti ha fatto bene. Prima di diventare avvocato mi avresti chiesto chi dovevi uccidere…”

“Allora?”

Nuru sospirò. “Un giornalista, te l’ho detto. Mi ha chiesto… mi ha chiesto se mia madre avrebbe approvato quello che stiamo facendo. Tu credi… credi che lei mi avrebbe voluto bene? Se gliel’avessi detto? O credi che avrebbe fatto come Lela?”

Lela, altro argomento a cui aveva tentato di non pensare. Non solo non si era presentata, ma aveva vietato anche a Aasim e Kharunnisa, ormai adolescenti, di presentarsi.

Raffaele alzò le spalle. “Mi piace pensare di sì, ma io tua madre non l’ho nemmeno mai vista. Davvero, non ne ho idea. Tu che dici?”

“Anche a me piace pensare di sì, ma non ne sono tanto sicuro…”

“Da come ne parli, tua madre ti adorava. E poi ti sei laureato, era tutto quello che voleva per te. Secondo me ci sarebbe passata sopra.”

“Lo stai dicendo solo per farmi contento?”

“Lo sto dicendo perché lo penso, ma anche perché voglio farti contento. È il nostro giorno, voglio che tu sia felice.”

“Lo sono, davvero. Sono molto felice. È solo che mi manca, troppo, e avrei voluto presentartela, e non sapere se sarebbe felice per me mi tormenta…”

“Sono sicuro che, se ti vedesse adesso, sarebbe davvero fiera dell’uomo che sei. Chiunque lo sarebbe.”

“Oh, spero che non mi veda adesso. Almeno, spero che non veda quello che sta per succedere.”

Il volto di Raffaele si illuminò di un sorriso malizioso. “Perché, cosa sta per succedere?”

“Sto per riscattare la mia prima notte di nozze con mio marito,” sussurrò.

Non aveva ancora pronunciato quelle parole, ‘mio marito’, l’avevano sempre fatto altri per lui quel giorno, ma non suonò strano né buffo. Suonò giusto, la parola perfetta per descriverlo, quella più bella.

“Beh, mio marito è il benvenuto a farlo,” rispose Raffaele, e lo baciò.

Non l’aveva ancora baciato sulla bocca da quando si erano trovati in macchina e lui l’aveva quasi spogliato davanti all’autista innocente.

Come ogni volta, abbandonarsi a lui fu ciò che gli veniva più facile al mondo, naturale, un istinto che seguiva le sue inclinazioni in modo perfetto. Schiuse le labbra e lo accolse nella sua bocca, e il suo cuore si allargò.

Era in un posto meraviglioso, insieme alla persona che amava, e stava per fare l’amore col giovane uomo più bello del mondo che si dava il caso avesse appena giurato di restare suo per il resto dei suoi giorni, suo e di nessun altro.

Iniziarono a spogliarsi a vicenda mentre il bacio si accendeva, le mani che tremavano, la testa leggera, e il cuore che batteva tanto forte da sentirlo in gola. Si ritrovarono sul letto, uno sull’altro, le mani di Raffaele tra le gambe e le sue labbra che gli torturavano il collo; Nuru abbandonò la testa all’indietro lasciandosi sfuggire un verso di piacere. Sentiva caldo, tutta la stanchezza era svanita, voleva solo stringere, toccare, mordere, lasciarsi andare.

Raffaele si separò da lui, come quel pomeriggio in macchina, si levò sul letto e lo guardò. 

“Cosa c’è?” chiese, ansimante, cercando di trattenersi dal tirarlo a sé e fargli dimenticare qualsiasi obiezione, con le sue mani e con le sue labbra.

“È successo davvero. È successo davvero, non riesco a crederci.”

Nuru gli passò una mano tra i capelli. “Sei mio, adesso. Non si torna più indietro.”

“Non ci penso neanche,” sussurrò Raffaele, allora Nuru gli afferrò una ciocca sulla nuca e gli tirò la testa indietro, lo sentì gemere a quel gesto.

“Vieni qui,” gli disse, e gli portò il volto al suo, facendolo perdere infine tra le sue labbra.

Note autrice
Yeeee! Tanti auguri agli sposi!
I mean, Nuru e Raffaele si sono già sposati nell’epilogo, in cui ho scelto di rappresentare il matrimonio grazie a un finto articolo di Vanity Fair, ma tenevo tanto allo scriverlo per esteso!
So che è un concentrato di zucchero e miele, ma mi andava davvero di regalare loro una gioia, dopo che gli ultimi capitoli del libro sono comunque tutti sul depresso e al limite dolceamari. E poi oggi è San Valentino (a proposito, super auguri), quindi se non ci permettiamo un po’ di glucosio oggi quando?
È stato facile mettere insieme questo capitolo, il più lungo della storia, perché gli elementi li avevo già tutti: avevo sempre saputo dell’abbraccio tra Raff e Hassan, del fatto che lui si fosse lasciato con la ragazza per Nuru, di come avevano fatto petting spinto in macchina col povero autista a due passi e del menù vegetariano. Mi è bastato solo unire tutti i pezzi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che abbiate gradito questo piccolo extra, e restate sintonizzati perché altri potrebbero arrivare presto! Magari più corti stavolta, ahah.
Vi aggiungo qualche nota, se vi incuriosisce.
I conchiglioni ripieni di gorgonzola e ripassati al forno con crema di porcini sono una ricetta esistente di Antonino Cannavacciuolo, mentre il tiramisù al liquore al cocco e cioccolato fondente è una ricetta esistente dello chef Bottura.
Il castello di Rossino, location per matrimoni sul lago di Como, ha davvero una ‘Suite della Torre’ ed è una location molto suggestiva di cui vi lascio qualche foto. In fondo, vi lascio anche una foto della sala matrimoni del Palazzo Reale di Milano

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