La verità
Oneshot extra ambientata durante il capitolo XI “Avanti Veloce”
12/12/2013
Quartiere residenziale di Nyali, metropoli di Mombasa, Kenya.
«Posso attaccare il telefono alla carica?»
Porse quella domanda con noncuranza, proprio come sempre. Era così che doveva andare, Raffaele non doveva sospettare nulla, mai. Si sarebbe portato la sua miseria nella tomba.
Sì, Raffaele doveva pensare bene di lui. Doveva pensare che fosse al suo livello. Non voleva perderlo. Non era pronto a sopportare che iniziasse a trattarlo con pena o, peggio, affettato disgusto.
Non poteva permettere che scoprisse che valeva meno di lui. Non poteva.
La risposta a quella domanda, tutte le volte prima di quel giorno, era sempre stata un pigro: “Certo, fai pure.”
Quella volta no.
Raffaele voltò un po' la testa – era coricato proprio accanto a lui, sul letto – lo guardò dritto negli occhi e gli chiese: «A quanto è il tuo?»
«Diciotto percento.»
«Il mio è al quindici, ti dispiace se lo metto io? Magari il tuo ti dura sino a casa.»
Panico. Imbarazzo. Senso di colpa. La fastidiosa, scomoda certezza che il suo castello di carte fosse a un soffio dal crollare e sparpagliarsi sul pavimento di quella camera da letto climatizzata.
«No, cioè, okay, cioè…» sentì che il fiato iniziava a mancargli. «In realtà mi deve chiamare mia madre, si arrabbia se si scarica… dovrebbe caricarsi abbastanza in fretta, poi puoi mettere il tuo…» farfugliò, le guance in fiamme.
Quanto a lungo avrebbe potuto continuare in quelle condizioni? Raffaele non se lo meritava. Lui meritava qualcuno che avesse tutto. Meritava qualcuno che potesse portarlo in giro, e fuori a mangiare, e fargli regali, e favori… meritava qualcuno alla sua altezza.
«Nuru» lo chiamò, alzando un sopracciglio.
«Sì?»
«Cosa mi stai nascondendo?»
No, no, non era pronto. Non era pronto a tornare da solo. Solo un altro giorno, solo un’altra settimana. Poi glielo avrebbe detto, sì, glielo avrebbe detto, ma non in quel momento. Non chiedeva tanto, voleva solo una settimana.
«Niente» soffiò fuori, quasi senza fiato. «Perché?»
«Usi il telefono solo un'ora al giorno, perché tua madre dice che fa male… e poi insisti a metterlo in carica perché lei deve chiamarti. Tra l'altro sono abbastanza sicuro che tu mi abbia detto che lei non ha il telefono, proprio perché è contraria. E quando vieni qui… quando vieni qui mi chiedi sempre di metterlo in carica, anche se usandolo una sola ora al giorno dovrebbe bastare e avanzare farlo a casa tua. È strano.»
Solo un altro po’. Solo un altro po’, poi gliel’avrebbe confessato lui stesso. Poi sarebbe tornato al suo posto, in mezzo alla sua gente, non avrebbe più provato a puntare dove non poteva arrivare. Mai più.
«Non è niente. Non è niente, davvero. È solo che aspetto una telefonata, e–»
«Non è vero, non è così?»
No, no, no. Non era pronto, non era pronto. Solo un altro po’, non poteva lasciarlo andare, non ancora. Almeno un bacio, uno solo, almeno un bacio prima che tutto andasse a farsi fottere.
Per favore Dio, il karma, l’universo, gli alieni o qualsiasi essere sovrannaturale in ascolto. Per favore, solo un altro po’, poi si sarebbe fatto da parte. Solo un po’ d’amore. Solo un pochino. «Non è vero cosa?»
«Non è vero che accendi il telefono una volta al giorno. Guarda che… guarda che se non ti va di scrivermi basta che me lo dici. Non ti voglio assillare mica.»
«Cosa?» cercò di farsi più piccolo nel vano desiderio di sparire. «No, non è così! Hai capito male, non è così!»
«Ah no?» Il ragazzo accanto a lui si voltò su un lato, per mettersi proprio davanti a lui, faccia a faccia. «Se lo usi davvero così poco, perché ogni volta che vieni qui è scarico?»
Perfavoreperfavorenonadessotipregononpossosopportarlo– «È colpa di mia madre! Davvero! Lei… lei ce l'ha coi telefoni, non mi permette neanche di caricarlo, posso farlo soltanto qui. Per questo è sempre scarico.»
«E allora perché oggi deve chiamarti? Ce l’ha un cellulare oppure no?»
Stavano litigando? A Nuru sembrava di sì. Non avevano mai litigato, prima.
Stava succedendo davvero. La verità sarebbe saltata fuori e lui sarebbe rimasto da solo. Se lo sarebbe dovuto aspettare. Aveva voluto toccare un mondo che non era in grado di gestire, aveva voluto toccare un mondo che con gente come lui non voleva avere niente a che fare.
Boccheggiò, senza parole. Raffaele sospirò e si alzò in piedi, camminando scalzo sino alla finestra e appoggiandosi al davanzale, scaricandovi il peso.
«Se non vuoi sentirmi me lo devi dire» sibilò, dato che Nuru non rispondeva. «Non c'è bisogno di… di…» sentì un borbottio in italiano che suonava come fanculo. Capitava quando Raffaele non trovava le parole in inglese per dire quello che pensava. «Di inventare storie assurde. Mi dici “Non ho voglia di starti dietro tutto il tempo” e basta.»
Ma come poteva pensare che Nuru non avesse voglia di stargli dietro? Come se non volesse stare dietro whatsapp ventiquattr’ore su ventiquattro solo per parlare con lui. Come se non rosicasse ogni singolo momento della giornata perché lui gli mancava ma non poteva sentirlo.
Come se ci fosse stata una sola notte, solo una, dalla prima volta che l’aveva visto, che si fosse addormentato al pensiero di qualcosa diverso da lui.
«Non è vero che… non è vero che non voglio starti dietro.»
«Allora cosa è vero? Perché di sicuro non lo è quello che mi stai dicendo tu.»
Fu allora che capì che mentire sarebbe stato ancora peggio. Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro. Ascoltò i battiti del suo cuore impazzito che si calmavano, un pochino. Aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato. Era arrivata l’ora di essere sincero.
«Quindi?»
Lasciò andare un respiro tremante e riaprì gli occhi. «Non ho la corrente.»
«Come no.»
«È vero. Non ho la corrente.»
«E da quant’è che è mancata la luce? Tre mesi interi? Perché è da settembre che–»
«Non è mancato niente. Non ho mai avuto la corrente. A casa mia non arriva.»
Raffaele si girò e incrociò le braccia. «E dove vivi, che a casa tua non arriva la corrente? In una grotta?»
Ahia.
Quella domanda fece male, perché Raffaele l’aveva detto come se fosse un’assurdità, mentre lui si sentiva davvero di vivere in una grotta. Anzi, forse casa sua era pure peggio, una grotta almeno sarebbe stata più stabile e sicura.
«Abito nello slum che c'è a mezz’ora da scuola, quello alla fine di Moi Avenue. Non abbiamo l’acqua, né la corrente. Ci sono delle fontane da cui riempiamo le taniche tutti i giorni, e il cellulare lo carico solo qua o a casa di Hassan. Per questo lo uso un’ora al giorno. Perché lo posso caricare solo una o due volte a settimana.»
«Mi stai prendendo in giro. La retta della scuola…»
«Borsa di studio.»
Raffaele lo guardò come se stesse soppesando le sue parole per decidere se crederci oppure no. «Per questo non vuoi che venga a casa tua?»
«Sì» rispose, si accorse di stare tremando e iniziò a sfregarsi le mani in modo nervoso nel bisogno impellente di muoversi e fare qualcosa. «È per questo. Perché vivo in una baracca dai muri di fango e dal tetto in lamiera senza acqua e senza porte e tu invece in una villa di due piani con l'annaffiatoio automatizzato» la voce gli si ruppe nell'ultima sillaba e si costrinse a tacere.
Raffaele lo guardò. D’un tratto non sembrò più arrabbiato. Sembrò deluso, non che Nuru si aspettasse altro.
«Perché non me l’hai detto e basta?»
Che razza di domanda era? Non gliel’aveva detto per evitare questa scenata, per evitare questo sguardo.
«Scusa» sussurrò, allora, dopo aver raccolto la forza mentale sufficiente. «Mi dispiace. Io… mi vergognavo.»
Raffaele sciolse le braccia che aveva tenuto incrociate tutto quel tempo, e si avvicinò al letto. Prese il cellulare di Nuru e lo mise in carica. Lo schermo si illuminò.
Nuru restò a fissarlo, gli occhi acquosi e spalancati. «Sei arrabbiato?»
«Sì» commentò, secco. «Fammi posto.»
Nuru si appiattì contro il muro e il compagno si sdraiò ancora sul letto, proprio accanto a lui. Che significava quel gesto? Stava tornando davvero tutto a posto? Raffaele aveva detto di essere ancora arrabbiato, perché faceva così?
«Tu pensi troppo» gli disse, come se avesse sentito il rumore degli ingranaggi che continuavano a girare forsennati nella sua testa.
«Ho solo–»
Raffaele decise di non voler sentire come continuava quella frase. Si sporse verso di lui e avvicinò le labbra alle sue, tanto che Nuru poté sentire il suo respiro sulla pelle. «Zitto» mormorò. Nuru sentì qualcosa dentro di lui liquefarsi e qualcos'altro fuori di lui irrigidirsi. «Non devi dirmi bugie. Non mi importa dove abiti. Non mi importa com'è casa tua. Hai capito?»
«Mhm» rispose con un filo di voce, intontito dalla vicinanza improvvisa.
«Anzi, non è vero. Mi importa di casa tua. Mi importa moltissimo. Ma non…» imprecò di nuovo. Prese il cellulare e cominciò a digitare, altra cosa che faceva quando non gli venivano le parole. Dopo qualche secondo, lo mise via. «Non ti giudico. Non ti giudico per casa tua. Io non giudico te e tu non giudichi me. Okay?»
«Raff–»
«Promesso?»
Nuru annuì. «Sì. Sì. Promesso.»
«Puoi venire qui a caricare il telefono. Posso venire a casa tua, se vuoi. Non mi importa.»
La sola idea lo faceva inorridire. Non sarebbe mai dovuto succedere. Mai. Quel livello di miseria… cazzo, gli aveva chiesto di non vergognarsi ma si vergognava lo stesso. Non poteva farci niente. Non voleva che lo vedesse. Non voleva che pensasse a lui in quel modo.
«Ti prego… no.»
«Allora no. Va bene.»
«Mi dispiace.»
«Tu non sei casa tua, e io non sono casa mia. Siamo solo… noi. Non dobbiamo essere altro.»
Aveva le guance tanto calde che le sentiva formicolare sottopelle. Non gli sembrava di poter essere solo lui. O meglio, non gli sembrava che potesse esserci un lui che non era anche casa sua, la sua famiglia, il posto dov’era cresciuto.
«Ci provo.»
Raffaele accennò un sorriso. Non riusciva mai a resistergli quando sorrideva, lui e quella fossetta adorabile. «Va tutto bene, okay?»
«Mi dispiace aver detto una bugia.»
«Mi dispiace che pensi che sia un superficiale egoista stronzo.»
In effetti, detto così non sembrava molto lusinghiero. Eppure, non riteneva di aver pensato che Raffaele fosse superficiale. Solo che il suo mondo era… terribile. Perché mai qualcuno che non era costretto a farlo avrebbe voluto averci a che fare?
Fece passare con discrezione il braccio intorno al suo fianco. Raffaele non si scostò. «Non lo penso.»
Alla fine, la verità era saltata fuori e il mondo non era finito. Chissà quella relazione improbabile e il ragazzo che aveva di fronte quante sorprese gli avrebbero riservato, ancora.
Note autrice
Aggiornamento extra del tutto a casissimo perché ho avuto una giornata da schifo – DA SCHIFO MANNAGGIA – e quando ho le giornate da schifo torno qui, lo sapete.
E poi, la storia mancava del momento in cui Raffaele viene a conoscenza delle condizioni di Nuru. Abbiamo lui che nella prima parte gliele nasconde, mentre nella seconda Raff è già a conoscenza di tutto.
Insomma, ecco a voi il momento della rivelazione! Che ve ne pare?
Attendo opinioni e commenti a riguardo ~
P.S. ma quanto erano pucciosini da liceali quando Raff ancora stava imparando l’inglese e Nuru si imbarazzava per tutto?
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