Cartolina di Natale

Ciao, gente! Vi sono mancata?
Da quando, nel mese di Agosto, ho iscritto Furaha ai Wattys ho dovuto smettere di aggiornare, quindi niente più extra! È stata una tortura per me, dato che ho qualcosina di nuovo su questa storia sempre in cantiere.

Questo capitolo è un capitolo di Natale, dato che per le feste vorrei postare – fatemi gli auguri – la storia natalizia, ho deciso che l’extra l’avrei postato oggi.

Come noterete, il punto di vista di questa storia sarà del tutto nuovo. Per una volta, infatti, non sarà quello di Nuru – e a sorpresa nemmeno quello di Raffaele! – bensì quello di... Lela.

Ebbene sì, la vostra meno preferita!

Perché? Non lo so, forse perché vi odio.

Il capitolo è ambientato durante il primo Natale di Lela a Milano, dopo il trasferimento.

Enjoy!

Il Natale a Mombasa non era così. Il Natale a Mombasa era... diverso.

A Mombasa Babbo Natale arrivava a dorso di cammello, tanto per cominciare. Non aveva slitta né renne, e aveva la pelle nera. A Mombasa il Natale non era “bianco”, se non per un goffo tentativo di neve finta, e il suo quartiere non aveva le vie dei negozi, non aveva luminarie – che parola assurda e complicata – né agrifogli, né un via vai di persone con buste e bustarelle, pacchi e pacchettini di sorta.

Le luci illuminavano a festa la città, e Lela lo sapeva, sapeva che moltissime delle persone che conosceva avrebbero venduto l’anima per trovarsi in centro a Milano a fare shopping sotto Natale. Eppure, proprio non riusciva a sentirsi fortunata.

Mombasa era la sua casa, le sue radici, le sue abitudini e le sue certezze, persino i suoi amici, e da quando era stata costretta a partire in Italia per fuggire dalle grinfie di Muzzamil tutto quello che avvertiva era una grande confusione e paura.

Quelli del centro accoglienza avevano tentato di rabbonirla, di farla sentire a suo agio, ma lei non ne aveva voluto sapere niente. Sapeva che la guardavano con gli occhi della compassione, la poverina, la bisognosa, e lei non si sentiva nessuna delle due cose.

Si sentiva furiosa.

Suo fratello, Nuru, aveva avuto la meglio come sempre. Era andato a vivere nella sua casetta nuova, in quella sua relazione disturbata che quel paese nemico di Dio aveva permesso; aveva continuato a studiare, si stava per laureare, proprio come sua madre aveva sempre voluto.

Nuru vinceva sempre. Non importava che li avesse abbandonati, non importava che lei avesse passato la vita ad aiutare sua madre nelle faccende a spaccarsi la schiena mentre Nuru aveva la giornata libera per studiare, non importava che Nuru peccasse, non importava mai niente, lui era sempre il primo in tutto.

Solo una persona lo capiva, in quel posto ostile. Oltre ad Aasim e Kharunnissa, che per fortuna erano ancora piccoli e le stavano dietro, c'era una persona che riusciva a comprenderla.

Lei lo chiamava “il dottore”, perché in Italia se eri laureato allora eri anche un dottore, pure se non eri un medico.

Il dottore era un dottorino un po' basso per essere un uomo, giovane e fresco di assunzione. Era il suo mediatore culturale, faceva da tramite tra lei e il centro di accoglienza, e riusciva sempre a capire come si sentiva. Lui sì che riusciva ad ascoltare, non era uno di quei bianchi che la giudicava e la vedeva come una vittima da salvare, un errore da correggere.

Lui ascoltava i suoi sproloqui contro Nuru, contro la sua vita nel peccato con quell'altro uomo, e capiva perché lei diceva che era sbagliato.

Fu proprio lui che trovò, quando tornò dal suo giro per la via dei negozi. Trovò lui che la aspettava.

«Ehi, Lela. Mambo

Lei alzò le spalle. «Sawa sawa» rispose, guardando il cielo grigio fuori dalla finestra.

Stava nevicando, e faceva freddo. A Mombasa quel tipo di freddo non c'era mai.

Non avrebbe mai barattato il cielo cristallino per quella distesa di grigio, se non fosse stato per quel coglione di Muzzamil. Bastardo.

«È arrivata una cartolina per la tua famiglia, vuoi vederla con me?»

Il dottore le parlava quasi solo in inglese, ma quando lei si chiudeva e usava lo swahili passava a quello, anche se con un po' di difficoltà. Aveva un accento buffo quando lo parlava, e non la capiva sempre, però si faceva capire.

«Una cartolina? Da parte di chi?»

«Perché non provi a indovinare?»

«Se è sua non mi interessa.»

«Non vuoi neanche vederla?»

La ragazza si morse il labbro. «A che scopo?»

«Per stare meglio. Magari ti va.»

«Beh, non mi va.»

«Va bene.»

Lei lo guardò di sottecchi, aggrottando la fronte. «Va bene?»

«Non devi affetto a tuo fratello solo perché avete un legame di sangue, ne abbiamo già parlato. Se non vuoi avere niente a che fare con lui, puoi tagliarlo fuori dalla tua vita. Anzi, se stare con lui ti fa male devi farlo. C’è solo da considerare il fatto che forse non è stare con lui che ti fa male. Forse è il passato che ti porti dietro, che non riesci a lasciare andare. Forse provi solo un risentimento che, se abbandonassi, ti permetterebbe di vivere più serena.»

Restò in silenzio per qualche attimo. Il dottore non la avrebbe obbligata a guardare la cartolina, e lei ardeva di curiosità di farlo. Non avrebbe voluto chiederlo, però. Era offesa con Nuru, non voleva che qualcuno pensasse che lei si interessava a lui. Voleva solo che il dottore insistesse un pochino e gliela mostrasse comunque, sì, voleva questo.

«Lui è malato» ripeté, come gli aveva detto mille volte prima di quella. «E si rifiuta di farsi curare. Continua a vivere nel modo sbagliato.»

«È normale che lo pensi» le disse, come ogni volta.

Gli italiani di solito cercavano di farle cambiare idea su questo, lui no. Lela non sapeva se in cuor suo le desse ragione o torto, ma almeno non era oppositivo contro questo suo pensiero. Due uomini che abitavano insieme… che dividevano il letto… era tutto così sbagliato. E Nuru aveva pure avuto l’audacia di infastidirsi per quello che lei aveva fatto. Il colmo, proprio.

«Perché tutto il mondo dà sempre ragione a lui e mai a me?»

Il dottore le sorrise. Aveva un sorriso caldo, affidabile, rassicurante. Come se sorridesse per davvero e non per finta come tutti gli altri.

«Perché sei in un posto tutto diverso, e le persone qui pensano in modo tutto diverso. Pensano in modo più simile a come pensa tuo fratello. È normale anche questo.»

«Tu mi capisci, però.»

«Capirti è il mio lavoro.»

«Anche quello della psicologa» commentò. Le sedute dalla psicologa non erano andate molto bene. Avevano finito per discutere di cos'era giusto e cos'era sbagliato e Lela l'aveva presa a male parole in swahili, gridando che non ci sarebbe più andata.

«Il mio forse un po' di più. Allora, sicura che non vuoi vederla?»

«No. Dammela.»

Il sorriso del dottore si allargò. Le passò quella che sembrava una classica stupida cartolina di Natale, con l'albero, i maglioni brutti, stupidi sorrisi stampati sulla faccia e… suo fratello. Con quello stupido mzungu che non lo lasciava mai.

Non vedeva Nuru da quasi un anno, vide che era cresciuto. Aveva un orribile maglione rosso di Natale, dietro di lui c'era un albero addobbato in modo parecchio pacchiano, e quell'essere che l'aveva portato sulla cattiva strada era con lui. Sorridevano entrambi.

Ripensò a quando erano a casa, a quando la loro madre era ancora viva. A quanto aveva penato per far funzionare tutto, aveva sempre abbassato la testa e fatto la figlia ubbidente, aveva venduto pure sé stessa per non fare affondare i fratelli, e nonostante tutto Nuru era sempre stato il figlio preferito. E alla fine, tra i due, era lui quello che sorrideva.

Ecco come il mondo l'aveva ripagata. Bella fregatura del cazzo.

«Cosa provi guardando quella foto? Come ti fa sentire?»

«Vorrei strozzarlo.»

«Perché?»

«Perché lui è felice, e io non lo sono. Come sempre. Anche se io sono nel giusto, e lui è quello che ha sbagliato.»

Osservò meglio il resto della cartolina, su un fianco c'erano gli auguri. Allan, Nurain, Aasim, Kharunnissa. Non lei.

Quando Nuru aveva scritto alla famiglia, il suo nome era sempre comparso tra gli altri. Che lui si fosse arreso con lei? Che si fosse stancato di starle dietro? Come osava essere lui offeso con lei? Lei lo disprezzava per validi motivi, aveva abbandonato la famiglia, aveva abbandonato Dio, li aveva lasciati ad affogare nel fango per fare le sue porcate con comodo insieme a quell'altro mezzo uomo che se lo trascinava dietro tipo cagnolino fedele. Era lei che sarebbe dovuta essere offesa, non il contrario.

«Cosa noti, nelle dediche?»

«Niente» mormorò, si accorse di avere un nodo in gola.

«Non è vero» le disse. Non la sgridò, pronunciò quelle parole come un mero dato di fatto.

«Non è per me. Il mio nome non c'è. Hai detto che era per me.»

«Non ho mai detto questo. Se ricordi, ho detto che era per la tua famiglia.»

«Perché me l'hai fatta vedere?»

«Pensaci bene. Ci puoi arrivare anche tu. Ora vado, eh? Ti lascio un po' a riflettere. Ci vediamo ancora il ventitré, prima di Natale. Va bene?»

«Va bene, dottore. Ci vediamo.»

Il suo dottore le sorrise ancora. Non somigliava affatto a un dottore: era bassottino, mingherlino, e molto giovane, un po' abbronzato per essere uno mzungu, e lui... splendeva. Sì, splendeva perché era una persona buona, e piena di gioia. Perché non poteva avere un fratello così anche lei? Perché aveva dovuto avere Nuru, invece?

La signora Ranieri, la direttrice del centro, entrò nella stanza e guardò il dottore col sopracciglio alzato.

«Ci stiamo arrivando» rispose lui, fiero, Lela non capì a cosa si riferiva.

Quel ragazzo uscì dalla stanza, mentre Ranieri veniva seguita da Nurain e Allan.

«Allora, che mi hai comprato?» chiese sua sorella, e lei strinse la cartolina che aveva in mano in una morsa.

Note autrice
Questa oneshot l’ho scritta per un prompt trovato in un gruppo facebook, che parlava di cartoline di Natale. È da tantissimo che voglio parlare un pochino di Lela e delle sue ragioni (non perché voglia giustificare il fatto che abbia letteralmente denunciato il fratello alla polizia per rapporti omosessuali, ci mancherebbe), alla fine lei è quello che è perché l'hanno cresciuta in un ambiente bigotto e perché è arrabbiata con Nuru da quando erano piccoli, da quando lui poteva andare a studiare e a giocare con gli amici mentre lei doveva dare una mano a sua madre nelle faccende di casa, rabbia che è cresciuta quando Nuru si è trasferito seguendo i suoi sogni ben sapendo (anzi, nemmeno pensando per sbaglio) che Lela non avrebbe mai potuto farlo e magari avrebbe voluto qualcosa più dalla vita anche lei.
Mi piacerebbe scrivere una storia, magari più breve, su Lela e il suo dottorino (non un romance, o quantomeno non tra loro due). Ho deciso però che mi dedicherò più a storie nuove che a sequel/spinoff di storie vecchie. Dopo la trilogia fantasy, l’Ultima Strega più lo spinoff, e i due libri di Harvey e Alex (il cui secondo attende ancora di essere pubblicato), ho pensato che sarebbe stato più stimolante per me lavorare su storie diverse. Comunque forse per questo progetto non è detta l'ultima parola (ed esiste comunque già una seconda oneshot a riguardo).
Che ne pensate? Avete rivalutato un poco Lela? Vi piace il dottore?
Vi lascio con la tamarrissima cartolina di Natale di Nuru e Raff, divertitevi a fare l’albero, e noi ci sentiamo prestissimo!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top