7. Mercato
Raffaele gli aveva davvero scritto per ringraziarlo dell'uscita, il giorno prima. Lo aveva scoperto accendendo il telefono dopo pranzo per rispondere a Hassan, la sua ora d'aria col cellulare, che passava su WhatsApp e YouTube.
Aveva acceso i dati e aveva trovato un messaggio di Qaali che gli chiedeva di vedersi quel sabato, uno di Hassan con un meme di FRIENDS, e alla fine il suo.
Grazie per la spiaggia. Mi è piaciuta, è stato carino.
Raffaele parlava meglio per messaggio che dal vivo, forse perché aveva il tempo di controllare le parole. Da quando lo conosceva aveva desiderato più che mai poter usare il telefono tutto il giorno, poterlo sentire anche alla sera, mandargli la buona notte prima di andare a letto – questo pensiero riusciva sempre a mozzargli il respiro – e, soprattutto, aveva desiderato avere Instagram per poter frugare il suo profilo.
Chissà quante e quali foto si nascondevano su quel social, accessibili a tutti meno che a lui. Chissà se le sue compagne di classe gli commentavano i post, gli mettevano like, chissà se si sentivano anche fuori da scuola.
Quel pensiero gli accartocciava il volto per l’indignazione.
Raffaele era il suo mzungu, era lui ad averlo incontrato e aiutato quel primo giorno. Il diritto di mandargli dei messaggi fuori da scuola spettava soltanto a lui. Che gli altri e le altre girassero a largo e soprattutto tenessero le loro lunghissime e viscidissime mani a posto.
In quel momento era là, di fronte alla madrasa ad aspettarlo col cuore in gola. Una macchina bianca familiare, dai vetri oscurati, si fermò davanti alla scuola. Lui ebbe solo il tempo di sentirsi male che la portiera si aprì.
Il volto di Raffaele, sorridente come ogni volta, gli fece segno di entrare.
Nuru obbedì, titubante, sul sedile posteriore. Si era fatto aiutare da Lela a fare la doccia a secchiate gelide, come sempre, ma aveva sudato per arrivare lì, per il caldo e per l’ansia, e sperò che non si sentisse.
«Ciao!» lo salutò Raffaele, anche lui nei posti dietro.
«Ciao» rispose, un po’ goffo, seduto rigido sul sedile senza sapere bene che fare.
«Dove si va, ragazzino?» chiese l’autista, ancora fermo sulla strada ma con la macchina accesa, dopo avergli lanciato uno sguardo dallo specchietto retrovisore.
«Mercato di Old Town» mormorò, e l'uomo annuì e mise in moto.
Nuru non era stato in un’auto molte volte, nella sua vita. La sua famiglia non ne aveva mai posseduta una, e lui aveva fatto dei giri qualche volta solo su quella di Hassan o, in meno occasioni, quella di Qaali ogni volta che dovevano andare un po’ fuori mano per le loro uscite.
La macchina si infilò nel traffico di Mombasa, tutto strombazzamenti e vecchie auto scolorite dal sole, sotto un cielo terso.
Dentro l’abitacolo l’aria era fresca, doveva essere accesa l’aria condizionata, e Nuru ancora una volta si stupì di quanto Raffaele sembrasse un turista, senza la sua divisa scolastica che metteva al mattino.
Aveva dei pantaloncini in jeans, una maglia di una squadra di calcio bianca e nera che Nuru non conosceva – non era tanto esperto di sport, anche se sapeva che gli appassionati là in Kenya conoscevano anche un po’ il calcio italiano – e sempre il solito cappellino che però teneva sulle gambe.
«Come il mercato? Carino?»
«Com’è il mercato» corresse Nuru, sempre lo stesso errore.
Il sorriso di Raffaele non vacillò. «Com’è il mercato?»
«A me piace» rispose. «E ti serve per fare pratica con l’inglese.»
«“Fare pratica” che vuol dire?»
«Vuol dire esercitarti.»
Raffaele lo guardò spaesato, così Nuru provò a usare parole più semplici. «Provare e provare per migliorare con la lingua.»
«Oh. Fare pratica, okay» disse, arricciando il naso e cercando di imprimere quel termine nella mente. «Visto? Uscire è utile! Meglio dei compiti.»
«Dovremo fare anche quelli, prima o poi.»
«Non mi piacciono.»
«A nessuno piacciono. Ma se non li facciamo ti daranno un altro tutor.» Lo disse prima di poterci riflettere, prima di realizzare che forse a Raffaele non importava affatto venire assegnato a un altro tutor, perché avrebbe dovuto?
«Non voglio un altro tutor. Voglio te» protestò invece, poi abbandonò la testa all’indietro sul poggiatesta del sedile e sospirò. «Grazie che mi aiuti.»
«Non devi ringraziarmi. Lo faccio volentieri.»
«Che vuol dire “volentieri”?»
«Che mi piace.»
«Davvero?» Raffaele lo guardava allora, dritto negli occhi, e Nuru ebbe paura di essersi fatto sfuggire troppo.
«Certo» rispose comunque, perché era la verità.
«Anche tu mi piaci» rispose, con un sorrisino.
La mente di Nuru andò in corto circuito, smise del tutto di funzionare per qualche istante. Restò a fissarlo, boccheggiante e incredulo, cercando di riaccendere il cervello.
«A Hassan invece non piaccio, vero?» chiese, visto che Nuru non diceva nulla. «Perché? Me lo puoi dire. Io non glielo dico.»
«Oh, ma non è vero che non gli piaci, è solo...»
«Stai dicendo bugie» gli disse. Non disse “stai mentendo”, lo disse proprio così, “stai dicendo bugie”.
«Okay, è vero, non gli piaci. Non lo so perché. Credo che non gli piaccia che non parli bene l'inglese.»
«Credo che non gli piace che tu parli con me.»
«È vero» rispose. «Non gli piace neanche questo.»
«Mi dispiace.»
«Non è colpa tua. Lui è uno stupido.» Anche mia madre è una stupida. Sono tutti stupidi, non vedono che persona sei, ma io l’ho capito.
«Grazie» mormorò, accennando un sorriso.
Uscire dalla macchina refrigerata di nuovo nel caldo torrido della metropoli africana fu un trauma. Nuru aveva dei jeans lunghi, non ne possedeva un paio corto a eccezione di quelli vecchissimi che usava per casa, e aveva caldo alle gambe. La sua maglia era scura, gli faceva caldo anche quella, ma almeno il mercato sarebbe stato al coperto.
Attraversarono i grandi cancelli di entrata e si infilarono tra le viuzze colme di bancarelle e un frenetico via vai di madri con bambini a seguito, garzoni, giovani, anziani.
Nuru si accorse che molti di loro li guardavano con sospetto, non erano tanti gli wazungu che si spingevano là dentro, quello era un posto per persone della città.
L’aria sapeva di spezie e frutta, polvere e oli profumati. Le bancarelle, che perlopiù consistevano in grandi lezo e lenzuola gettate sulla terra battuta con la merce sparpagliata sopra, erano colme di cianfrusaglie, ninnoli e cibo.
Vide che Raffaele si guardava intorno, rapito e affascinato, incurante del fatto che laggiù le persone li osservavano con astio e diffidenza, forse non se n'era nemmeno accorto, preso com’era dalla frenesia del mercato intorno a lui.
«Avevi ragione» disse, a voce alta, per superare il chiasso dei venditori che gridavano per pubblicizzare la loro merce e delle trattative in corso. «È bellissimo.»
Nuru sentì un’ondata di orgoglio assalirlo a quelle parole. «Andiamo» gli disse, addentrandosi nei vicoli del mercato e resistendo all’impulso di prendergli la mano.
Si avvicinarono a una bancarella con delle galline nei gabbiotti, perché Raffaele era rimasto colpito dalla loro presenza. Là intorno l’odore di escrementi era forte e copriva quello del resto del mercato, più piacevole.
Faceva caldo, troppo là in mezzo, e Nuru si sentiva sudare e aveva tanta voglia di strapparsi i vestiti di dosso. Non lo fece, sarebbe stato inappropriato, e poi stare là ad arrostire non gli dava fastidio, non con Raffaele accanto a lui che sembrava tanto incantato da tutto quello che vedeva.
Vide un cartello con scritto vitabu e una bancarella di libri ben allineati l’uno sull'altro, così si avvicinò. Raffaele lo seguì.
Il ragazzo passò in rassegna tutti i libri là presenti, poi commentò divertito «L’unico che conosco è quello là» indicando una copia del Principe e il Povero.
Gli altri erano raccolte di fiabe swahili, una copia di testi Taarab , e una serie di romanzi gialli che nemmeno Nuru conosceva.
«Vuoi questo?» chiese la donna alla vendita dei libri, prendendo il Principe e il Povero e porgendoglielo. «Sono milletrecento scellini.»
Milletrecento scellini per un libro come quello erano un’enormità, anche se per Raffaele dovevano essere circa dieci euro e mezzo.
Al mercato funzionava così. Si iniziava con una cifra allucinante e poi stava all’acquirente abbassare il prezzo, per dare via a una contrattazione che portava al pagamento finale.
Raffaele però non sembrava essere a conoscenza di questa regola. Prese il portafoglio e cercò i soldi per pagare.
«Fermo!» gli disse, dandogli una leggera spallata. Lui lo guardò, spaesato. «Devi contrattare, prima!»
«Contrattare?»
«Dire un prezzo più basso così poi lei te ne dice uno più alto, e alla fine arrivate a metà.»
«Scusa non... non ho capito.»
«Allora, lo volete questo libro o no?»
Raffaele, insicuro, scosse la testa. La donna posò di nuovo il libro al suo posto ed esclamò, seccata, «Unanitania?»
Prima che iniziasse a prenderli a male parole in swahili, non che Raffaele l’avrebbe capito, Nuru lo prese per un braccio e lo trascinò via.
«Che ha detto?» gli chiese, gli occhi azzurri spalancati.
«Niente» rispose, tirandolo più a sé per la stradina affollata. «Andiamo, che è meglio.»
Esplorarono il mercato in lungo e in largo, Raffaele comprò un mango – senza contrattare, ma Nuru chiuse un occhio per quella volta – e iniziò a mangiarlo con avidità mentre camminavano.
«Mai mangiavo un mango.»
«Mangiato» corresse Nuru. «Davvero non avevi mai mangiato un mango?»
Raffaele scosse la testa. «In Italia non ci sono così tanto.»
Nuru lo guardò sbigottito. Non riusciva a immaginare un luogo senza alberi di mango.
«E ti piace?»
Lui sorrise, la bocca impiastricciata di succo. «Mio nuovo frutto preferito!»
Il cuore di Nuru si allargò al vederlo. «Sono contento che...» poi accadde l'inevitabile. Un bambino passò loro accanto di corsa, facendoli vacillare, poi lo sentirono.
«Ehi! Ehi!»
Nuru si voltò indietro, e quello che vide lo lasciò confuso. Un cesto di cardamomo della bancarella delle spezie era rovesciato, forse dal bambino che era passato sfrecciando accanto a loro, ma il venditore non stava guardando verso il piccolo diavolo, stava guardando proprio loro due.
«Lo mzungu ha rovesciato le spezie!»
A sentire il nome con cui tutti lo chiamavano, Raffaele si voltò. «Huh?»
«Ha rovesciato tutto, deve pagare!»
«Nuru, che succede?» la sua voce era bassa e nervosa, doveva aver capito che in qualche modo era coinvolto e la faccenda era seria, non molto di più.
«Hai fatto tu quello?» chiese Nuru, indicando il cardamomo sparso sul lenzuolo e sulla strada.
«Cosa? No!»
La sua presa sul suo braccio si strinse. L’uomo delle spezie si era alzato, continuava a urlare e si dirigeva verso di loro. «Allora corri.»
Nuru, trascinandoselo dietro, si infilò tra due signore con bambini e iniziò a correre. Raffaele ci mise un attimo a reagire, poi gli andò dietro, sbattendo alle persone e sgomitando per farsi strada tra la calca del mercato.
Saltarono un gatto che passava in mezzo alla strada, per poco non rovesciarono un’altra bancarella, stavolta di gioielli, e intanto le grida dietro di loro si affievolivano, perdendo terreno.
Non potevano restare al mercato, Raffaele era troppo riconoscibile, così lo guidò di corsa sino all’uscita, per poi continuare a darsela a gambe verso il mare. Quando furono troppo stanchi per continuare a correre e furono certi che nessuno li stesse seguendo ormai erano arrivati quasi sulla spiaggia, lontano dal lungomare in cui erano stati il giorno prima, in una zona della città meno turistica.
Le casette erano basse e dalle pareti ammuffite, anche se erano vere case e non catapecchie di lamiera come quelle a cui Nuru era abituato. C'era un forte odore di terra umida e di salsedine, il sole picchiava sulle loro teste e si sentiva l’odore di onde in lontananza.
Raffaele aveva il fiatone, il volto tutto rosso e gli occhi brillanti. Lo guardava come se si stesse trattenendo dal ridere, e Nuru si accorse solo in quel momento che lo stava ancora tenendo per un braccio, così lo lasciò.
«Andiamo a vedere il mare?» gli chiese, come si fu un po’ ripreso.
Nuru, che non aveva smesso di guardarlo e che l'avrebbe seguito anche in capo al mondo, annuì.
Gli mostrò la strada seguendo il rumore delle onde, non andava mai in quella parte della città e non sapeva come avrebbero fatto a ritornare, ma in quel momento non gli importava. Camminarono in silenzio, vicini, incontrando solo qualche persona lungo la strada.
La spiaggia là era deserta, quella non era una zona turistica ma dei cittadini, e i cittadini non andavano al mare a prendere il sole o a passeggiare a piedi nudi sulla sabbia.
Raffaele si tolse le scarpe e le calze e camminò verso l’acqua, Nuru lo seguì, e quando lui si sedette affondando nella sabbia e guardando verso l’oceano lo imitò.
«Non sono stato io» ripeté in un sussurro, osservando le onde che si infrangevano sul bagnasciuga.
«Lo so. Ti credo.»
«Perché quell'uomo ha detto così?»
Perché sei diverso. E le persone qui sono tanto arrabbiate. «Non lo so. Forse ha visto male» rispose, per non ferirlo. «Scusa se ti ho portato al mercato. Era pericoloso.»
«Oh, no. Mi è piaciuto molto. Sono contento, davvero.»
Nuru non aveva ancora smesso di guardarlo, mentre lui guardava il mare. Gli osservò le labbra, così sottili e pallide, e si chiese se avessero ancora il sapore del mango che aveva mangiato poco prima.
Non fece in tempo a spaventarsi per quel pensiero che il ragazzo si voltò a guardarlo a sua volta. Nuru si irrigidì, colto in flagrante mentre lo fissava, e si sentì avvampare ma non distolse lo sguardo.
Era vicino, tanto vicino, eppure Nuru si ritrovò a desiderare di avvicinarsi ancora. Raffaele gli sorrise, gli occhi di Nuru cercarono la fossetta seguendo un istinto irresistibile, e quando la trovarono il suo cuore si fermò.
Raffaele si sporse in avanti e posò una mano sul suo ginocchio, scaricandovi il peso. Tutto in lui cominciò a bruciare.
«Mi piace stare con te» gli disse. «So che non parlo bene inglese e me ne sto sempre zitto, ma sarà meglio.»
«Anche a me...» si schiarì la voce, la gola secca. «Anche a me piace parlare con me. Con te. Intendevo con te, io...»
Il sorriso di Raffaele si allargò, la presa sul suo ginocchio si strinse. «Sei carino, lo sai? Timido. Mi piace.»
Nuru si chiese se perché il ragazzo si stesse impegnando tanto per mandarlo nel pallone. Lo guardò a occhi sgranati, il cuore che gli rombava in gola, senza sapere cosa dire.
Provò a balbettare qualcosa come “anche tu sei carino”, ma sarebbe morto piuttosto che ammetterlo ad alta voce. Sembrò aver perso l’uso della parola, riuscì solo a guardarlo con gli occhi scuri spalancati, l’aria tra loro tesa, elettrica.
Tutto quello che sapeva era che voleva averlo vicino, ancora più vicino, voleva che i loro corpi si fondessero insieme, un’attrazione magnetica fortissima e insopportabile, che si era impossessata di lui congelandolo in quell’istante fuori dal mondo e dal tempo.
Era sul punto di farlo, avvicinarsi ancora anche se non sapeva come, arrendersi all’impulso di stringerlo come non aveva mai voluto stringere nessuno prima.
D’un tratto, il telefono di Raffaele si mise a vibrare, e lui sobbalzò. Si alzò in piedi, sgrullandosi i granelli di sabbia bianca di dosso, e si mise a parlare in italiano in modo concitato.
Nuru restò immobile ad aspettare che i suoi battiti si calmassero, osservandolo andare avanti e indietro sulla spiaggia a gesticolare. Cercò di tranquillizzarsi, prendendo profondi respiri e guardando il ragazzo sciorinare con enfasi frasi di cui Nuru non capiva il significato, ormai a distanza di sicurezza.
Riassaporò la sensazione di poco prima, quella di assecondare l’aria elettrica che si era formata tra loro e azzerare lo spazio tra i loro corpi. Era una sensazione folle, assurda, nuova per lui, ma che solo pochi secondi prima aveva intossicato tutto il suo essere, come una droga.
Raffaele chiuse la telefonata e smise di camminare avanti e indietro e di gesticolare come un pazzo. Si fermò proprio davanti a lui e disse «Devo andare.»
Gli porse la mano e Nuru l’afferrò, issandosi in piedi con un po’ di aiuto dall’alto.
«Non so come arrivare di nuovo al mercato.»
«Non importa» gli disse, e gli mostrò lo schermo del telefono con Google Maps. «Arrivano.»
«Oh, okay» mormorò, dimenticava sempre quanto la tecnologia potesse rivelarsi utile, forse perché lui non la utilizzava mai.
Desiderò avvicinarsi di nuovo, riprovare quella sensazione spaventosa, adrenalinica, meravigliosa che gli aveva fatto impazzire il cuore poco prima. Raffaele però non sembrava intenzionato a riavvicinarsi, e Nuru era troppo codardo per farlo di sua iniziativa.
Così restò là, a sentirlo parlare e correggerlo quando faceva un errore di grammatica, bruciando dal desiderio di riavere quel vuoto allo stomaco che aveva perso.
Note autrice
Qualcosa in Nuru inizia a smuoversi nel verso giusto. Ha realizzato di volersi avvicinare a Raffaele almeno, il che è comunque qualcosa.
Mentre Raffaele, dal canto suo, sembra aver deciso che è l'ora di esporsi un po' di più e di stuzzicarlo per vedere se coglie qualcosa in quella sua testolina bacata – spoiler: non ha colto proprio un cavolo.
Veniamo ora alle note culturali:
I lezo, che sono i capi che indossa Baraka e anche i teli su cui si stende la merce del mercato, sono capi d'abbigliamento femminili che consistono in lenzuoli colorati con sopra delle frasi in swahili, spesso proverbi o frasi di buon auspicio. Sono un regalo molto comune per feste e tra amiche.
I taarab invece sono un genere di canzone swahili di critica sociale il cui testo è molto importante, nel concetto simile al nostro rap – ma molto più melodico. La rappresentante principale è Siti Binti Saad, donna che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 cantava di argomenti molto rivoluzionari, come ‘mume wangu halali kwangu’ cioè ‘mio marito non dorme con me’ che parla della necessità anche delle donne di avere una sessualità nella coppia, o “kijiti”, la critica a un fatto di cronaca che vedeva il protagonista un certo Kijiti che aveva ucciso una donna e poi era rimasto impunito perché lei era ubriaca e se l'era cercata. “Kijiti tu mi uccidi per un bicchiere di tende. Kijiti tu mi stai uccidendo solo per un bicchiere di tende”, recita il testo, molto crudo.
Siti Binti Saad è anche la prima donna dell'Africa orientale a esibirsi senza velo sul volto.
Non male per la fine di due secoli fa / l’inizo del secolo scorso, vero?
Nel prossimo capitolo invece succederà qualcosa di molto importante, che vi invito a non perdere! Ormai gli ingranaggi si sono messi in moto, Raffaele ha iniziato a flirtare e Nuru a rendersi conto di provare qualcosa. Ora è solo questione di tempo prima che lui realizzi davvero cosa sta succedendo.
Grazie per essere arrivati sin qui e a venerdì!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top