6. Sorrisi
Nuru tornò a casa a piedi, abitava lontano da Fort Jesus, ma il viaggio di ritorno – come, per quel che valeva, quello di andata – non fu per lui di alcun peso.
Arrivò a casa che il sole si abbassava sull'orizzonte, là nella casupola di lamiera dove viveva, sua madre ancora al lavoro e Lela e Nurain che preparavano la cena, come sempre.
Entrò in casa che ripensava a quello che era successo quel pomeriggio: la passeggiata al mare, Raffaele che gli aveva offerto della muwa e soprattutto rivide davanti a sé la sua immagine in terra, scosso dalle risate, appena assaltato dai bambini e riverso sulla sabbia, la fossetta a sinistra che gli increspava il volto.
«Che c'è?» chiese Lela, non appena i loro sguardi si incrociarono.
«Niente. Perché?»
«Stai sorridendo.»
Fu solo dopo che Lela lo disse che si accorse che era vero. Aveva un sorriso stampato in faccia, lo aveva avuto da quando la macchina di Raffaele se n’era andata, e non accennava a svanire.
«È vietato, forse?»
«Eri con Qaali?» chiese la ragazza, intenta a friggere del riso, con un tono di noncuranza che non fu abbastanza convincente.
«No. Ero con Hassan. Perché?»
«E avete parlato di lei?»
«No. Perché mai avremmo dovuto farlo? L’abbiamo vista stamattina.»
«Non so, così...» mormorò, alzando le spalle.
«C'è qualcosa che dovrei sapere?»
«No, no. Ci mancherebbe...»
Nuru alzò un sopracciglio, si accorse che Nurain si stava trattenendo dal ridere. Sempre più sospettoso, decise di non indagare oltre e andare in camera sua. Era troppo di buonumore per farselo rovinare dalle macchinazioni delle sue sorelle.
Non appena si infilò in camera, il sorriso si riformò sulle sue labbra. I due fratelli, che stavano litigando su chi si sarebbe fatto la doccia prima il giorno successivo, non lo degnarono di uno sguardo così lui poté aprire la zanzariera e gettarsi sul letto con un sospiro.
Si sentiva allegro, aveva la testa leggera, un leggero formicolio alle gambe e il cuore che gli rombava nel petto.
Sospirò di nuovo, il sorriso che si allargava sul suo volto. Chissà se Raffaele gli avrebbe chiesto di uscire di nuovo. Era il suo tutor ora, avrebbero dovuto studiare insieme, forse sarebbe usciti per un altro giro, una volta o due.
Prese il telefono in modalità aereo e se lo rigirò tra le mani, tentato dall’accendere la connessione dati. Forse Raffaele gli aveva scritto, forse l'aveva ringraziato per l’uscita, forse gli aveva chiesto di vederlo ancora.
Il pensiero gli fece impazzire il cuore, lo spinse a portare le mani al volto e premerle sugli occhi, rigido e sopraffatto dall’agitazione. Emise un mugolio imbarazzato ed elettrizzato insieme, soffocando il desiderio di saltare di nuovo in piedi e iniziare a ridere.
Si rinfilò il telefono in tasca, rinunciando ad agganciarsi a internet. Non poteva permetterselo, non l’avrebbe caricato sino al prossimo mercoledì, quando sarebbe dovuto andare a casa di Hassan.
Se avesse ceduto alla tentazione si sarebbe scaricato, e allora per qualche giorno sarebbe stato del tutto isolato dal mondo. Se ne sarebbe pentito, allora.
Eppure, solo un attimo, solo per controllare le notifiche...
Oh, quanto avrebbe voluto. Se solo si fosse potuto sentire così sempre, la sua vita sì che sarebbe stata un sogno. Se solo avesse potuto vedere Raffaele più spesso, magari…
«Nuru!»
La voce di Allan lo fece sobbalzare. Suo fratello era il terzo di sei, venuto subito dopo Lela, e aveva tredici anni. Aasim invece, che era proprio accanto a lui, era il penultimo della famiglia, ne aveva solo sei.
«Cosa c’è, Al?»
«Stai male?»
«No, perché?»
«Non ci hai salutato. E ti sei messo le mani in faccia prima, ti ho visto io.»
«Nuru sta male?» chiese Aasim, che si era avvicinato.
«Sto benissimo. Hassan mi ha detto una cosa divertente e ci stavo ripensando, tutto qui.»
Il ragazzino alzò le spalle, Nuru non riuscì a capire se l’aveva davvero convinto. «Mi dai una mano coi compiti di matematica?»
«Se ti do sempre una mano poi non ci riuscirai mai da solo.»
«Perché dovrei riuscirci da solo? Ci sei sempre tu.»
«Io non continuerò a esserci sempre, Al.»
«Perché?» la vocina di Aasim lo turbò.
«Perché sono più grande. E un giorno me ne andrò.»
«Dove?»
«A lavorare da qualche parte, in una casa mia. Deve pur succedere, prima o poi.»
«Io non voglio che te ne vai!»
«Non sarà subito. Vado ancora a scuola... ma non posso rimanere a casa per sempre.»
«Perché?»
«Perché tutti lasciano casa dei genitori prima o poi, Aasim.»
«Non mi piace» borbottò il bambino, incrociando le braccia.
«Quindi non mi aiuti coi compiti?» li interruppe Allan, deciso a non lasciar perdere.
«No. Devi farli da solo, altrimenti non imparerai niente e prenderai un brutto voto al compito in classe.»
«È ingiusto! Tu non studi mai e prendi sempre bei voti!»
Era vero, Nuru non aveva mai avuto tanto bisogno di studiare. Era un talento naturale, imparava ascoltando in classe a lezione e con una lettura veloce già imparava quello che c’era da sapere. I suoi fratelli non avevano ereditato quella fortuna.
«Beh, non è colpa mia se ho una buona memoria!» protestò, scacciando Allan che fece per arrampicarsi sul suo letto.
«Ti preeeego, ti prego, ti prego, ti prego!»
Restò là in camera sua, a cercare di convincere suo fratello a fare i compiti, e si dimenticò del cellulare e delle strane frasi di Lela su Qaali, almeno per un po’.
Il giorno dopo, a scuola, le sue compagne di classe stavano ancora intorno al banco dello mzungu come una nuvola di mosche in cerca di carne putrida.
Quando Raffaele lo vide, però, tutto il resto sembrò sparire intorno a lui. Gli rivolse un sorriso sgargiante, luminoso, e gli fece cenno di avvicinarsi.
Lui guardò prima verso il suo banco, Qaali non era ancora arrivata, poi verso Hassan. Il suo amico lo osservava speranzoso, e Nuru avrebbe tanto voluto dargli soddisfazione. Voleva bene a Hassan, tanto, però il richiamo dello mzungu fu troppo forte.
Si avvicinò al banco di Raffaele facendosi strada tra la sue compagne di classe.
«Buongiorno» gli disse, allargando il sorriso. Gli occhi di Nuru si abbassarono a guardargli le labbra, la fossetta che si era formata sul lato sinistro del volto.
«Buongiorno» rispose Nuru, avvicinandosi.
«Siedi?»
Nuru spostò la sedia di Larry, che non era ancora arrivato, dal suo banco e ci si sedette.
«Hai fatto le coniugazioni che ti ha dato il prof?» gli chiese, perché non sapeva che altro dire e perché aveva deciso di prendere il compito del tutor molto sul serio.
Il loro professore di inglese aveva deciso di assegnare solo a Raffaele delle coniugazioni da fare, di verbi irregolari, per verificare le sue conoscenze in lingua.
Raffaele annuì, e tirò fuori il suo quaderno di inglese dalla borsa.
«Fatti tutti, dopo che siamo usciti.»
A quelle parole, Nuru fece una smorfia colpevole.
«Siete usciti?» chiese Atiya, spalancando la bocca. «Perché non mi hai invitato?»
«Anche io voglio uscire con lo mzungu!» esclamò Safiya.
«Perché la prossima volta non inviti me a uscire?» gli chiese Layla.
Nuru se li immaginò allora, in giro per il lungomare mano nella mano. Sarebbero stati una bella coppia, la più desiderata col più desiderato della classe. Sarebbe dovuto essere contento all'idea, Raffaele stava diventando suo amico e la sua solidarietà avrebbe dovuto farlo gioire per le sue conquiste, eppure il pensiero gli diede fastidio.
Lo mzungu sarebbe dovuto uscire solo con lui, con nessun altro. Era suo di diritto, era lui che l’aveva conosciuto prima dell'inizio della scuola, era lui il suo tutor, era lui che il ragazzo cercava ogni mattina e a cui aveva chiesto il numero.
Proprio come sempre, però, Raffaele non diede l’aria di subire il fascino di Layla. Alzò le spalle e non rispose, imbarazzato e un po’ a disagio.
Qaali fece il suo ingresso in classe, allora, seguita dal signor Muli, che avrebbe fatto lezione di lettura coranica quel giorno.
Durante la ricreazione, Raffaele lo seguì come un’ombra. Lui si avvicinò a Hassan, come sempre, ma il ragazzo sembrava freddo con lui, non gli offrì parte del suo chapati, né pareva aver voglia di scherzare.
«Avanti, che hai?» gli chiese, per l’ennesima volta, e lui non rispose. Si limitò a squadrare Raffaele con stizza, fatto che lo mzungu sembrò notare, a disagio.
«Niente» rispose, addentando il suo chapati con lo zucchero. «Quindi mercoledì vieni da me?»
«Sì» rispose lui, nella speranza di ammorbidirlo. «Dobbiamo finire la terza di FRIENDS, giusto?»
Hassan alzò le spalle, evasivo. «Se ti va...»
«Certo che mi va!» esclamò, offrendogli un sorriso di pace. Gli avrebbe voluto proporre di andare al Creamy sotto casa a prendere un frappè come tutti i mercoledì, ma era il suo amico che avrebbe dovuto pagare, e non gli piaceva auto invitarsi in quel modo.
Hassan sembrò sollevato a quelle parole, e parve rilassarsi. Raffaele, al contrario, sembrava spaesato, estraneo alla discussione.
Nuru aveva pensato di chiedergli di studiare quella sera, del resto era il suo tutor, avrebbero dovuto farlo prima o poi. Eppure, il solo pensiero di aprire la bocca e pronunciare le parole “Che dici, ci vediamo per studiare, oggi?” gli faceva tremare le gambe dalla paura.
Era strano, troppo strano. Del resto, aveva del tutto senso fare una proposta del genere. E Raffaele si era sempre dimostrato disponibile con lui, non credeva l’avrebbe messo in imbarazzo.
Eppure, per qualche ragione, al suo cospetto la lingua gli si annodava e la gola gli diventava secca dall'ansia.
Non era una brutta sensazione di per sé, al contrario di quel che poteva sembrare. Era bello, una sensazione di adrenalina e vuoto allo stomaco che prima aveva provato solo con Ahmad, ma quella volta sembrava mille volte più forte.
Il ragazzo offrì un pezzetto del suo cioccolato a Hassan, senza aspettare che lui glielo chiedesse. Il suo amico l’accettò, borbottando un «Grazie» poco convinto.
«Dovremmo studiare insieme» riuscì a buttare fuori Nuru, approfittando del fatto che Hassan aveva la bocca piena. «Sono il tuo tutor, no?»
«Usciamo insieme! Mi mostri in giro e intanto insegni!»
Nuru ebbe la tentazione di rispondere che andare in giro per Mombasa a bighellonare non era proprio come studiare, e che si sarebbero dovuti mettere sui libri. La prospettiva di un’altra passeggiata con lui però lo attirava tanto che quello che uscì dalla sua bocca fu un goffo: «Okay, certo. Perché no?»
Hassan neanche nascose la sua smorfia. Nuru ebbe paura in quel momento che avrebbe chiesto di unirsi a loro. Non aveva senso, a lui Raffaele nemmeno stava simpatico, e Nuru ci usciva solo perché era il suo tutor, tutto qui, Hassan non aveva alcuna ragione di farlo. Eppure, per un attimo, a Nuru sembrò che stesse per chiederglielo, e l'idea non gli piaceva per niente.
Non lo fece. Si limitò ad attirare l'attenzione di Rahim e farlo avvicinare per qualche chiacchiera. Il loro compagno di classe era sempre stato simpatico a Hassan, anche se non era del tutto suo amico, non come Nuru lo era. Non aveva neanche mai visto casa sua. Però si stavano simpatici, si salutavano sempre all’entrata in classe e ogni tanto si scambiavano i compiti a casa.
Di rado Rahim passava con loro la ricreazione, quel giorno Nuru sospettò che l'avesse richiamato per bisogno di qualcuno che gli coprisse le spalle. Lo mzungu non gli piaceva proprio, non gli piaceva che Nuru passasse tanto tempo con lui, e questo era chiaro a tutti.
La ricreazione passò, e così la giornata di lezione. Raffaele e Nuru si diedero appuntamento davanti a scuola alle cinque, l’autista li avrebbe poi portati al mercato cittadino. Era opinione di Nuru che il mercato, oltre che bello da vedere e interessante dal punto di vista culturale, fosse una buona palestra per praticare la lingua.
Arrivò a casa che era nervoso ma anche eccitato, l’idea di vedere Raffaele fuori da scuola per due giorni di seguito lo esaltava. Sua madre lo accolse con un bacio sulla guancia, e lui si preparò a sganciare la bomba schiarendosi la voce.
«Che c'è, mhibu? Ti vedo strano oggi.»
«Niente, mama. È solo che esco anche stasera, devo aiutare un mio amico coi compiti.»
«Un tuo amico? Che amico? Non è Hassan?»
Nuru si strinse nelle spalle. «No, non è Hassan» mormorò. Aveva deciso di informarla dell’esistenza di Raffaele, conosceva la madre di Hassan e se le sue bugie si fossero protratte sarebbero state scoperte prima di subito. «È un ragazzo nuovo. Devo fargli da tutor di inglese, è straniero.»
«Straniero di dove?»
«È italiano, mama.»
Ci fu un attimo di silenzio, Baraka lo guardò con gli occhi scuri spalancati. Era una donna tarchiata, con dei lunghi capelli legati in treccine sottili che le arrivavano fino ai fianchi, e portava un lezo colorato che le fasciava il corpo. «Uno mzungu.»
Nuru si fece più piccolo. «Beh… sì.»
«E perché sei tu che devi fargli da tutor? Non voglio che vada a casa di uno mzungu che nemmeno conosco.»
«È un mio compagno di classe, ma! È innocuo! Andiamo...»
«Voglio parlare con la madre. Di quella gente non c’è da fidarsi, non voglio che ti fai brutte compagnie. Quello poi ti riempie la testa di stupidaggini! E la gente come loro non è fatta per andare in giro con la gente come noi. Sono ricchi e presuntuosi, e si credono al centro del mondo!»
«Anche Hassan è ricco, e lui non è presuntuoso!»
«È diverso, lo sai. Questi wazungu si credono tutti meglio di noi.»
«Non è vero! Lui non è così! È mio amico, e vuole studiare con me! E io oggi ci vado!»
«Prima voglio parlare coi genitori.»
«Siyo! Perchè non mi fai scegliere da solo gli amici? Raffaele va benissimo! Lui non è presuntuoso! È gentile, e simpatico, e ha bisogno di aiuto, e io voglio aiutarlo!»
«Ti sta già dando una brutta influenza, un tempo non mi avresti mai risposto così! È lui che te l'ha insegnato? A non rispettare tua madre?»
«Io stasera esco. È solo un mio compagno di classe, e devo solo aiutarlo a studiare. Tutto qui, non c’è niente di sbagliato in questo!»
«Va bene! Vai dove vuoi, a me che importa? Sono solo tua madre, perché dovresti fare quello che ti dico?»
«Io faccio sempre quello che mi dici, mama! Ma stavolta è troppo importante!»
«Questo tuo nuovo amico mzungu è più importante di tua madre?»
Nuru restò in silenzio per qualche attimo. Perché uscire con Raffaele era tanto importante? Perché non cedere alle richieste di sua madre, dire che prima ci doveva essere un incontro tra genitori, rimandare l’uscita al mercato a un altro giorno come aveva sempre fatto?
Ma no, Baraka si stava comportando in modo irragionevole. I suoi erano pregiudizi stupidi, Raffaele non era né presuntuoso né una cattiva compagnia. Era sempre stato buono con lui, non gli importava che Nuru fosse tanto diverso, parlasse una lingua diversa, facesse cose diverse.
Lui non era così come lei l’aveva dipinto. Lui era… tutta una serie di appellativi creativi e parecchio lusinghieri che spaziavano da “educato” a “bellissimo” gli si affollarono in testa tutti insieme e non ebbe neanche tempo di elaborarli. «I professori mi hanno chiesto di fargli da tutor. Non mi posso tirare indietro adesso. O vuoi che mi prendano in antipatia? Vuoi che perda la borsa di studio?»
Quell’argomentazione riusciva sempre a fare breccia nel cuore di sua madre. La donna ammutolì, senza sapere cosa rispondere. Distolse lo sguardo e fece una smorfia. «Bene. Dai queste lezioni al tuo mzungu, allora. Ma i professori faranno meglio a tenerne conto alla fine dell'anno!»
Nuru si sentiva accaldato dalla discussione e dai pensieri scomodi che l’avevano assalito, insieme al senso di colpa di sapere, sotto sotto, di stare facendo qualcosa di sporco, di sbagliato.
Perché?
Sentiva il cuore che gli correva nel petto, la sensazione della tachicardia in gola, era in fibrillazione e, in preda alla frenesia e all'adrenalina, si chiuse in camera attendendo che tutti i suoi fratelli tornassero dalle lezioni.
Solo Lela era in casa in quel momento, aveva lasciato la scuola alle medie per aiutare la madre con le sue faccende, lei che lavorava tutto il pomeriggio.
Nuru si sdraiò sul letto allora, sotto la grande zanzariera, chiuse gli occhi e per calmarsi, mentre sua madre preparava il pranzo insieme a sua sorella, immaginò una fossetta e un paio di occhi azzurri.
Note autrice
Nel prossimo capitolo vedremo il secondo appuntamento di Nuru e Raffaele, in uno dei mercati cittadini. Vi dico già che qualcosina si potrebbe smuovere, finalmente...
Intanto, Baraka ha scoperto di questo nuovo compagno di classe, e non sembra molto contenta delle nuove frequentazioni del figlio.
I suoi sono pregiudizi dettati dall'ignoranza, vedremo se col tempo cambierà idea o resterà ferma nelle sue posizioni.
Ne approfitto anche per specificare che mzungu significa “bianco”, niente più niente meno, come in italiano ha sia significato di colore che di etnia, e può avere sia significato neutro che essere usato come insulto. Per dire, anche una gallina bianca è una kuku nzungu. Non è una prerogativa delle persone.
Questo capitolo era un pochino filler, me ne rendo conto, però il prossimo e, soprattutto, quello dopo daranno un bello scossone, promesso! La prossima settimana sarà fiammante!
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