13. Non voglio niente
«Raff!»
L'urlo della ragazza squarciò l'aria, e quella che doveva essere Clara, capelli tinti di rosso e abiti da goth, gli saltò al collo e lo abbracciò.
Nuru, che non si aspettava quel tipo di accoglienza, restò interdetto a guardarli mentre lei continuava a strillare e Raffaele rideva, e i due dondolavano sul posto stretti in quell'abbraccio.
Sorrise, cercando di ingoiare la gelosia che sapeva essere irrazionale. Tra lui e Raffaele le cose andavano a gonfie vele, gli aveva fatto capire in abbondanza che teneva a lui anche quel giorno, e a lui le ragazze non piacevano neanche.
Eppure, non riuscì a fare a meno di sentirsi come quando a scuola Layla gli faceva gli occhi dolci, come se il ragazzo potesse scivolargli via dalle dita da un momento all'altro.
Per lui Raffaele non era solo il suo ragazzo. Era anche la sua casa, quello che gli aveva trovato un posto all'università, che gli permetteva di mantenersi in Italia. Perdere lui sarebbe stato perdere tutto, e quanto poteva fare paura dipendere da qualcuno in modo così totale e incondizionato? Forse era troppo squilibrato, era sbagliato... anzi, di certo lo era. Era sbagliato e ne voleva ancora. Era sbagliato e lo rendeva più felice di quanto l'avesse mai reso felice niente e nessuno, e quindi vaffanculo a quello che avrebbe dovuto fare. Vaffanculo tutto.
«Clara, Nuru. Nuru, Clara» li presentò Raffaele, una volta che si liberò dall'abbraccio, e Nuru si distolse dai suoi pensieri.
Lei gli strinse la mano in una stretta vigorosa ed eccitata. «Molto piacere. Ho sentito tanto parlare di te!»
«Anche io di te» rispose, perché era vero. Raffaele gli aveva parlato dei suoi amici delle superiori, di Clara, Paolo, Alessandro, Giorgia e Jacopo. Clara sembrava essere la sua preferita, quella che parlava meglio inglese e che era andata in Oregon per dieci mesi con Intercultura.
«È così carino!» cinguettò, dando a Raffaele una spallata amichevole. «Le foto non rendono abbastanza!»
«Lo so!» esclamò Raffaele, fiero, stampandogli un bacio sulla guancia.
Nuru si sentì avvampare per tutte quelle attenzioni, e distolse lo sguardo a disagio.
Si trovavano nel parcheggio di una discoteca, erano arrivati là in taxi, né lui né Raffaele avevano la patente, anche se il ragazzo aveva espresso il desiderio di prenderla a breve.
Sentivano la musica venire dall'interno del locale, forte e stordente, e la luna faceva scintillare le carrozzerie delle auto parcheggiate là fuori.
Clara, in attesa dell'arrivo dei suoi amici, si sfilò lo zainetto in pelle nera e tirò fuori una bottiglia di plastica colma di liquido rosso. Svitò il tappo e ne bevve due lunghi sorsi, poi la passò a Raffaele che fece altrettanto, per poi allungare la bottiglia verso di lui.
«Cos'è?» chiese, afferrandola titubante ma incuriosito.
«È bicicletta» spiegò Clara.
«Bicicletta?»
«Vino bianco e campari. È un po' amaro ma buono!»
«È alcolico» lo avvertì Raffaele. «Non devi berlo per forza.»
Nuru alzò gli occhi dalla bottiglia su di lui, pensando a cosa fare. Non era abituato a bere, a casa sua non c'erano abbastanza soldi per gli alcolici e Hassan, quello che di solito gli comprava le cose, era astemio per motivi religiosi.
«Secondo me ti piace!» insistette Clara.
Raffaele lo rassicurò. «Decidi tu. Puoi anche limitarti ad assaggiarlo e poi vedi... ma se non te la senti non fa nulla.»
Nuru arricciò le labbra pensieroso, poi portò il cocktail alle labbra. Assaggiò un piccolo sorso e fece una smorfia. «È amaro!»
Clara scoppiò a ridere al vedere la sua espressione disgustata, e gli prese la bottiglia dalle mani per berne ancora.
«È vero» concesse Raffaele. «Forse non è l'ideale per iniziare, quando entriamo magari ti prendo una piña colada o una vodka redbull. Sono più dolci di così.»
Clara passò la bottiglia a Raffaele, che bevve a sua volta.
«Ma come fate a trangugiare quella roba?» chiese, ma i due non fecero in tempo a rispondere. Qualcuno aveva afferrato Raffaele alle spalle e l'aveva sollevato da terra, rovesciando un po' del contenuto della bottiglia aperta sull'asfalto del parcheggio.
Lui urlò e si dimenò, Nuru sentì tutti i muscoli del suo corpo tendersi e si preparò a difenderlo, anche se non era mai stato bravo nelle risse, quando ancora andava a scuola nella slum veniva sempre menato e non riusciva mai a rispondere alle botte.
Un secondo di puro panico passò, secondo in cui fu certo che avrebbe potuto fare davvero male a qualcuno o almeno provarci, poi sentì Raffaele ridere ancora e la persona che l'aveva afferrato fargli fare una giravolta, per poi rimetterlo giù.
Sentì una parola in italiano che suonava tanto come "idiota" e vide Raffaele abbracciare il ragazzo che l'aveva preso, dargli due pacche sulla spalla.
Dietro il primo ragazzo che l'aveva afferrato, un energumeno coi capelli rasati che doveva essere Jacopo, stava un ragazzino mingherlino che portava un maglione sopra la camicia persino con quel caldo, Paolo.
Raffaele gli aveva fatto vedere le loro foto durante l'anno che erano stati insieme, e lui aveva imparato a riconoscerli.
Ancora una volta, sentì al petto una fitta di gelosia che ingoiò come un boccone amaro. Non aveva paura che Raffaele potesse sostituirlo, sapeva che il ragazzo voleva stare con lui, ma che era abituato ad avere tutte le sue attenzioni e vedere i suoi amici di sempre l'aveva turbato.
Quelle erano persone a cui Raffaele teneva sul serio. Da un lato, saperlo lo portava ad apprezzarle di più. Dall'altro, il pensiero lo terrorizzava.
«Lui è Nuru» disse lui, dopo che si furono scambiati qualche parola nella loro lingua.
Il ragazzo più alto, Jacopo, gli strinse la mano. Portava una camicia grigia - tutti i ragazzi erano in camicia, persino lui portava una camicia blu prestata da Raffaele, perché quella era una discoteca fighetta - e dei jeans neri, e la sua stretta fu forte come Nuru si era aspettato.
«Jacopo, molto piacere.»
«Paolo» disse l'altro, senza tendergli la mano. Nuru ebbe l'impressione che se gliel'avesse stretta l'avrebbe spezzato. «Vedi di trattare Raff come si deve, altrimenti...» continuò, per poi fare il gesto di una gola tagliata.
Raffaele gli passò un braccio intorno al fianco. «È un angelo, vedrete. Mi tratta meglio di quanto mi trattate voi, questo è sicuro!»
Nuru si sentì avvampare di nuovo, non abituato a stare al centro dell'attenzione.
Jacopo fece una domanda in italiano, Clara si guardò intorno prima di rispondere, ma Raffaele restò immobile con la bottiglia in mano.
«Cosa vi ho detto prima?»
Il ragazzo protestò, sempre in italiano.
«Non te la do se non lo chiedi come si deve!»
Lui si schiarì la voce e chiese, come una cantilena, «Potrei avere la bottiglia, per favore?»
Il suo accento italiano era forte, ma la frase era corretta. Raffaele sorrise e gli porse il suo cocktail.
«Ma certo! Visto? Non era difficile» gli disse, poi si voltò verso Nuru e gli sussurrò all'orecchio: «ho raccomandato di parlare in inglese, così capisci anche tu.»
«Oh, non c'è bisogno...»
«Sì che c'è.»
Anche Raffaele era in camicia, come tutti tranne Clara, che sfoggiava un vestitino nero. Era una camicia bianca con sotto dei jeans chiari, Nuru non l'aveva mai visto in camicia prima, ma si ritrovò a desiderare che la indossasse più spesso.
Fecero qualche minuto di fila in cui gli dissero che erano stati compagni di classe delle superiori, anche se lo sapeva già, e che tutti loro sarebbero andati all'università a Milano, mentre Giorgia e Alessandro erano scesi a Roma.
Quando entrarono, la musica alta lo colpì come un ceffone. Erano in un giardino interno, verde lussureggiante, con una piscina illuminata da dei faretti proprio al centro. Tutti si agitavano in un ballo scoordinato al ritmo di una musica serrata che Nuru non conosceva - non aveva gran cultura musicale, aveva sentito solo qualche canzone a casa di Hassan e nominata da Qaali prima - e le persone stavano una sull'altra, passare sarebbe stato difficile.
Avevano rimesso la bottiglia nello zainetto di Clara, che aveva lasciato all'ingresso, anche se era già quasi finita. Raffaele gli prese la mano per non perderlo e lui la strinse, ancora una volta incredulo davanti al fatto di poterlo fare in libertà.
«Noi ci prendiamo da bere» gridò Raffaele, per farsi sentire sulla musica. «Tu vuoi qualcosa? Puoi assaggiare uno dei due cocktail che ho detto prima.»
«Quello che costa meno» rispose, senza manco doverci pensare.
Raffaele sollevò gli occhi al cielo. «Costano tutti e due dodici euro.»
Nuru arricciò le labbra, contrariato. Dodici euro erano circa millesettecento scellini, ancora più del costo di un Family Feast al Chicken Inn, il menù completo per due persone che divideva sempre con Hassan.
Come poteva essere il costo di un solo bicchiere?
«Allora niente.»
«Guarda che non è un problema. Sono solo dodici euro, te lo offro volentieri.»
Nuru ci pensò su. Era da un po' che meditava sul fatto che gli sarebbe piaciuto provare dell'alcol, anche se il primo tentativo qualche minuto prima non era andato tanto bene.
«Tu quale mi consigli?»
Raffaele gli sorrise, vittorioso, e Nuru provò una stretta allo stomaco. Cos’altro avrebbe potuto fare per quel sorriso? Cosa, più che andare dall’altra parte del mondo senza guardarsi indietro come aveva già fatto?
«Dipende. Uno è più fruttato, l'altro è più chimico ma ti dà una svegliata.»
«Quello che mi dà una svegliata.»
«Ottimo!»
Sgomitarono per arrivare al bancone del bar, sempre mano nella mano. Jacopo ordinò tutti i loro cocktail, e da come discusse con Raffaele gli ricordò Hassan e Qaali che litigavano per pagare. Gli sembrò che fosse stato Jacopo a prevalere, anche se non poteva esserne certo.
Si ritrovò con un bicchiere di liquido arancione chiaro in mano, intravedeva il ghiaccio al suo interno, e a contatto con le sue dita era gelido.
Paolo alzò il suo bicchiere e lo fece scontrare col suo, in un impercettibile tintinnio.
«Salute!»
«Salute» rispose, era la prima volta che brindava in tutta la vita.
Avvicinò le labbra alla cannuccia e bevve il primo sorso. Raffaele aveva ragione, quel drink fresco e zuccheroso era mille volte meglio di quello che aveva assaggiato al parcheggio.
«Com'è?» gli chiese Clara, che si era avvicinata.
«Buono. Mi piace.»
«Bene! Ora andiamo a ballare!» esclamò Raffaele, trascinandolo nella calca.
Nuru azzardò un debole «Ma io non so ballare» che non servì a molto.
Fu così che si ritrovò tra la folla scatenata, il bicchiere colmo di cocktail ghiacciato in mano, a cercare di ballare una canzone che non conosceva.
Bevve qualche altro sorso e cominciò a sentire la testa leggera, e il cuore pompargli forte nel petto.
Vide Raffaele scolare il suo drink e provò a fare lo stesso, ritrovandosi a tossire a metà e suscitando l'ilarità degli altri.
Non sapeva se sentirsi in imbarazzo per questo, non sapeva se stessero ridendo di lui o con lui, ma Raffaele non sembrava allarmato, quindi decise che la situazione era sotto controllo.
Quando finì il suo cocktail, la testa gli girava. Diamine, girava tutto.
Era bello. Era facile. Era un po’ fuori di testa, ma era... in pace.
Si rese conto di star sorridendo come un idiota e di aver iniziato a imitare i movimenti altrui, di sicuro con esiti disastrosi. Non gli importava.
Vide Clara afferrare Paolo per i fianchi e ballargli addosso, vide il ragazzo diventare rosso, e si immaginò le guance del compagno colorate di quell'adorabile magenta, così la imitò.
Raffaele, al contrario di Paolo, non si lasciò intimidire. Sfruttò le mani di Nuru sui suoi fianchi e gli si strusciò addosso, sfregando il corpo sul suo a ritmo di musica, drogandolo del suo profumo, e lui, alterato da quell'unico bicchiere, fu preso da un'invincibile voglia di averlo subito, là, davanti a tutti, al centro della pista da ballo.
Strinse la presa su di lui e trattenne un verso di approvazione quando il compagno si strusciò ancora.
Raffaele gli fece l'occhiolino e lui non riuscì a trattenersi. Si sporse in avanti e gli cacciò la lingua in bocca, consumato da una fiammata che gli urlava: ancora, ancora, ancora, dammene ancora.
Tutto. Subito. Il più possibile. Davanti a tutti. Sino a morire squarciato a metà.
Raffaele non lo sgridò come appena sceso dall'aereo. E Nuru strinse la presa. Il petto gli tremava al ritmo dei bassi della canzone sconosciuta, sentiva le urla e i canti, la folla lo spingeva e la testa gli girava vorticosa, era malfermo sulle gambe.
L'unica cosa importante era la voglia che lo divorava, il bisogno viscerale di stringersi a lui sino a non riconoscere più il punto dove uno finiva e l'altro iniziava.
Non sapeva per quanti minuti quel fuoco l'avesse consumato là sulla pista, sapeva solo che fu Raffaele a separarsi da lui, Raffaele che lo guardava coi suoi occhi azzurri spalancati, la faccia tutta rossa e ansimante, le labbra umide socchiuse.
Ecco cosa avrebbe fatto per quel ragazzo, avrebbe fatto tutto. Sarebbe andato ovunque per lui, pure all'inferno – anche se iniziava davvero a considerare l'idea che quella prospettiva non si sarebbe realizzata affatto.
«Grazie di essere venuto in Italia con me» disse, come se quella di Nuru fosse stata davvero una scelta.
La verità era che Nuru non aveva mai avuto scelta. Quella di andare in Italia non era stata una sua decisione ma un bisogno, una strada tracciata nelle stelle, una direzione inevitabile.
«Dove vai tu, vado io. Sempre.»
«Sempre» ripeté Raffaele, e gli premette una mano sul petto, all’altezza del cuore.
Fu sul punto di baciarlo di nuovo, quando Jacopo li interruppe dicendo qualcosa a Raffaele in italiano.
«Non ti rispondo se non parli in inglese» sbuffò, ma si scostò da lui mettendo spazio tra loro.
Jacopo rispose con un'altra frase in italiano in cui riconobbe la parola vaffanculo.
«Che ha detto?»
Il ragazzo si arrese. «Che Clara e Paolo si sono appartati e che non vuole fare il terzo incomodo anche con noi.»
«Oh. Scusa.»
«Non è colpa tua, io ce l'ho con questo qui» disse Jacopo, indicando Raffaele.
«Io non ho fatto niente!»
«Ma Paolo e Clara stanno insieme?» li interruppe, incuriosito.
I due amici si scambiarono uno sguardo titubante.
«È... complicato.»
«Complicato in che senso?»
Si scambiarono un'altra occhiata interdetta, nel silenzio. Nuru proprio non capiva cosa potesse esserci di complicato in una cosa del genere. Tra lui e Raffaele era stato complicato, ma solo perché a Mombasa il mondo intorno a lui lo aveva convinto che quello che provava era assurdo e sbagliato. Paolo e Clara erano un ragazzo e una ragazza, in Italia, potevano fare quello che volevano.
E comunque, neanche nella sua situazione era riuscito a stargli lontano, figurarsi Clara e Paolo per cui i problemi che avevano avuto loro due non esistevano neppure.
L'amore non era complicato, era semplice. Era magnetismo, una legge fisica: lui e Raffaele si appartenevano e quindi stavano insieme. Poche cose erano più semplici di quella.
«Io non ce la faccio a spiegarglielo in inglese» sospirò Jacopo.
«Okay» Raffaele si schiarì la voce. «In pratica, Paolo è cotto di lei, lei invece non si capisce molto. Flirta quando beve, ma quando è sobria si comporta da amica e lui non ha mai il coraggio di affrontarla su questo. Ogni tanto si baciano alle feste, ma lei frequenta altre persone e lui... beh, diciamo che non è un latin lover.»
Nuru sbatté le palpebre, incredulo. Immaginò la stessa situazione per lui, immaginò di doversi accontentare delle briciole, di qualche bacino in pubblico, e stare a guardare Raffaele che faceva con mille altri quello che avrebbe voluto solo per lui.
Spalancò gli occhi, indignato. «Ma è orrendo!»
Jacopo alzò le spalle. «L'amore a volte è così.»
«No, non lo è!»
«Sinché a loro sta bene così non sta a noi giudicare» si inserì Raffaele.
«Qualcuno dovrebbe dirle che non si gioca coi sentimenti delle persone!»
Restarono un po' a parlare di relazioni, il parere di Jacopo era che Nuru aveva troppa poca esperienza in amore e solo per questo gli sembrava strano, che con Raffaele gli era andata bene da subito ma che spesso non funzionava così.
Per Nuru invece sarebbe dovuto essere sempre così facile: io piaccio a te, tu piaci a me, stiamo insieme felici. Non c'era motivo di rendere difficile qualcosa che difficile non avrebbe dovuto essere.
Discussero per un po', gridando per farsi sentire nonostante la musica, poi successe qualcosa di strano.
A una ragazza si sganciò la borsa e le cadde sulla pista, Nuru la raccolse e la seguì.
«Ehi, ragazza! Ehi!»
Lei sembrò guardare indietro, ma non appena lo vide con la coda dell'occhio continuò a camminare verso l'uscita.
«Ragazza! Ehi! Fermati!»
La seguì, sembrava non aver capito che lui si stava riferendo proprio a lei, perché non accennava a rallentare. Nuru, con la borsa in mano, riuscì infine a raggiungerla e la ragazza si voltò, seccata, poi sbottò in tono acido e un po' aggressivo.
Si accigliò, confuso, e le porse la sua borsa. «Non capisco l'italiano. Tieni, ti è caduta questa.»
Lei restò immobile qualche attimo, Nuru vide che era arrossita, ma non capì perché. Accettò la borsa e balbettò un grazie in italiano, una delle poche parole che Nuru conosceva.
Raffaele era con lui, doveva aver capito quello che la ragazza aveva detto. Le rispose in tono velenoso, un tono che Nuru non aveva mai sentito da lui, tanto che faticò a riconoscerne la voce.
I due parlottarono un altro un po', Raffaele sembrava parecchio alterato, poi la ragazza riportò gli occhi su di lui e gli disse: «Scusa.»
«È tutto a posto... credo.»
La ragazza gli rivolse un sorriso affettato e se ne andò.
«Cosa mi ha detto?»
Raffaele distolse lo sguardo, non accennava a calmarsi. «Niente.»
«Non era niente, ho visto che ti sei arrabbiato. E poi le hai detto di chiedermi scusa. Cosa mi ha detto?»
Raffaele sospirò, parve sgonfiarsi come un palloncino a quel gesto. Lo guardò, non sembrava più arrabbiato, era arreso.
«Ha detto “insomma, che palle, hai visto che ti sto ignorando, non lo capisci che non voglio niente?”»
«Non vuole... niente? Che vuol dire?»
«Non vuol dire nulla, è una cosa stupida.»
«Voglio sapere che vuol dire.»
Raffaele alzò gli occhi al cielo. «Vuol dire che pensava che volessi venderle qualcosa.»
«Venderle qualcosa? Tipo cosa? Droga?»
«Quando mai droga?!»
«Che ne so? Siamo in discoteca, cos'altro dovrei vendere, scusa?»
«Ma no, ma no. Qualcosa tipo occhiali da sole, calze, cosa ne so...»
«Delle calze?! Perché mai dovrei andare in una discoteca a vendere calze?»
«Perché è stupida, ecco perché.»
«E perché sei arrabbiato? Cosa c'è di male nel vendere calze?»
Raffaele sospirò di nuovo. «Non c'è niente di male nel vendere calze, Nuru. C'è qualcosa di male nel credere che tu puoi solo volere questo da lei perché... beh... perché sei nero.»
Restò immobile, colpito da quella risposta come da una sberla.
In che senso? Non aveva senso. Non c’era nessun motivo per cui dovesse avere senso.
Che correlazione poteva mai esserci tra...
Beh, non una bella correlazione, questo sembrava evidente. Si sarebbe dovuto offendere? Forse sì, ma non sapeva perché.
Di certo si sentiva in imbarazzo, quello parecchio. Si sarebbe dovuto vergognare? Si vergognava già di tante altre cose, non voleva vergognarsi anche di quello.
Dato che lui non diceva nulla, Raffaele parlò di nuovo.
«Oh, Nuru, mi dispiace, io... io... forse non avrei dovuto portarti. Gli italiani sono crudeli, e stupidi, e tu sei così... così...»
Prese una tagliente boccata d'aria. «Debole?»
«Puro. Tu non pensi mai male degli altri, e non credi mai che gli altri pensino male di te. Non sei fatto per un posto cattivo come questo.»
«Sono abituato ai pregiudizi, ti parrà strano» sbuffò, sarcastico.
«Non voglio che ti faccia male.»
Nuru allungò la mano e prese la sua, Raffaele la strinse. «Ho la pelle più dura di quanto pensi.»
«Andiamo a casa? Ho voglia di stare un po' con te.»
Annuì. L'esperimento della discoteca gli era piaciuto, il momento in cui aveva ballato con la testa che girava era stato divertente, e si sentiva ancora brillo in modo piacevole. Gli ultimi avvenimenti però l'avevano mortificato, e tra restare lì ad agitarsi nella calca informe e accoccolarsi a letto col ragazzo davanti a lui non aveva neanche bisogno di pensare a una decisione da prendere.
«Andiamo a casa.»
La parola casa per indicare il loro appartamento, dove abitavano insieme, lo consolò da tutto quello che era successo. La prospettiva di quella nottata e di tutte quelle a venire era troppo bella per essere vera, e lui si ritrovò a sorridere di nuovo, caldo dentro al petto, certo in cuor suo che tutto stava andando proprio come doveva andare.
Erano circa le quattro, quando riuscirono a mettersi a letto.
Si erano spogliati ed erano in boxer, faceva caldo e loro erano ancora più accaldati per via dell'alcol. Nuru, non abituato a bere, iniziava a sentire la nausea anche se essere senza freni e brillo non era affatto male.
Guardò il ragazzo accanto a lui, si era abbronzato nell'anno che aveva vissuto a Mombasa. Era meno pallido di quando l'aveva visto la prima volta eppure, in confronto alla sua, la pelle del ragazzo continuava a essere finissima porcellana bianca.
Era davvero l’unico al mondo a fregarsene di quel contrasto tanto stupido?
Si ritrovarono a letto avvinghiati, le braccia di Raffaele che lo stringevano, le sue labbra nella curva tra il collo e la spalla e le dita che gli carezzavano la schiena, provocandogli leggera pelle d'oca.
Ecco, quello andava bene. Quello era giusto.
«Mi dispiace per quello che è successo oggi» sussurrò, le labbra ancora premute contro il suo collo, tanto che sentì le vibrazioni della sua voce sulla pelle.
«Non è successo niente.»
«Non sarà l'ultima volta. Non sarà l'ultima volta che ti tratteranno con sufficienza senza ragione.»
«Non mi importa di quello che pensano gli altri.»
Sentì le labbra di Raffaele piegarsi in un sorriso amaro, a contatto con la sua pelle. «Lo dici perché non sai com'è. Non sai com'è essere dalla parte sbagliata per tutti quelli che hai intorno.»
Nuru gli passò una mano tra i capelli e Raffaele si strinse più a lui, stampandogli un bacio caldo all'altezza della clavicola.
In effetti, cosa poteva saperne lui? Era solo un cristiano che andava a una scuola islamica. Era solo un ragazzo gay di Mombasa.
Non valeva la pena iniziare a discutere per quello, così non lo fece.
«Posso sopportarlo. Sono contento di essere qui.»
Il ragazzo si separò appena da lui allora, per guardarlo negli occhi. «Spero che non dovrai pentirtene.»
«Non potrei mai pentirmi di stare con te.»
Vide i suoi occhi brillare a quelle parole. «Ti sono piaciuti gli altri?»
«Sì» rispose, anche se non era del tutto convinto. «Penso che Clara sia un po' crudele, però.»
«Clara non è crudele. È solo confusa, non sa quello che vuole.»
«Se io dopo averti baciato facessi finta che non me ne frega niente come ti sentiresti?»
Raffaele alzò le spalle. «La prima volta che ci siamo baciati mi hai detto che ero malato. Che dovevo farmi curare.»
La risposta lo spiazzò, cogliendolo del tutto impreparato. Non amava pensare a quel momento, e in segreto aveva sempre sperato che Raffaele non ci avesse più pensato, un ricordo cancellato da quelli più belli che avevano vissuto insieme.
«Mi dispiace» sibilò, la gola stretta. «Non avrei mai dovuto dire quelle cose.»
«Lo so, non sono arrabbiato. Volevo solo dire che a volte ci si può ferire, ci si può anche comportare male, non vuol dire che non ci importa niente» rispose. «Sai, il giorno dopo, in bagno, quando ti sei avvicinato avevo paura volessi darmi un pugno.»
«Già, lo temevo anch'io» ammise, a bassa voce. A pensarci in quel momento, l'idea pareva assurda. Desiderare di fare del mare a Raffaele sembrava l'idea di un mostro.
«Eppure io non mi sono mai arrabbiato con te. Ho capito che lo facevi perché eri confuso, e spaventato, e ho cercato di fartelo capire.»
«Si deve fare capire anche a lei, però. Che sbaglia. Non può mica continuare così.»
Raffaele sorrise di nuovo, e gli diede un bacio sulla guancia. «Sei troppo empatico» lo rimproverò, divertito.
«È un crimine stare male quando gli altri stanno male?»
«No. Anzi, lo trovo carino.»
Nuru fece una smorfia. «Non sono carino.»
«No, infatti. Sei bello, è diverso.»
Fu costretto a distogliere lo sguardo dall'imbarazzo. «Smettila.»
«Mai» rispose, avvicinandosi a lui e baciandolo ancora, questa volta sulla bocca. «Dormiamo, ora?»
Erano ancora stretti l'uno all'altro, e per la prima volta erano soli. Non c'erano genitori nella stanza accanto, fratelli addormentati, la casa era tutta per loro. Sarebbe stato sempre così, d'allora in poi.
Fu Nuru a sorridergli, a quel punto. «Buona notte» sussurrò, con il cuore che batteva tanto forte da sentirlo in gola.
Erano insieme, quella era la prima di tante notti in cui avrebbe potuto arrendersi al sonno sereno, al sicuro, pieno d'amore.
Raffaele nascose il volto contro il suo petto, dopo un sospiro traboccante di pace. «Buona notte» disse, e Morfeo li prese con sé.
Note autrice
Andiamo al capitolo di oggi... la ragazza che ha detto a Nuru “non voglio niente” quando lui cercava solo di renderle la borsa potrebbe essere chiunque di noi. Non è un mostro, è una persona normale che ha acquisito dei preconcetti da cui è così difficile liberarsi.
Ha visto una persona nera che la inseguiva e la chiamava e ha deciso di ignorarla perché è quello che fanno tutti, perché queste persone sono “un fastidio” e non possono essere altro, perché dalle sue esperienze passate era più facile presumere che fosse così, perché la nostra società vede certe categorie di persone solo in un modo e noi di conseguenza.
Ho inserito questa scena nella storia per due motivi.
Il primo, perché Nuru aveva una concezione molto idealizzata dell'Italia, come posto meraviglioso dove tutti sono aperti di mente e nessuno è omofobo, razzista, misogino o bigotto. Aveva bisogno di scoprire che non era così.
Il secondo, per far riflettere voi su quanto questi preconcetti sono scavati a fondo dentro di noi, su quanto sia facile diventare insensibili, perché tutti potremmo essere quella ragazza e le nostre azioni sono sbagliate e feriscono gli altri, anche se noi magari non intendiamo niente di male.
Invece volevo sapere, che ne pensate della storia di Clara e Paolo? Da un lato Nuru è forse troppo duro e categorico, dall'altro Raffaele tende a difenderla perché è sua amica. Dove sta la ragione secondo voi?
Con questo chiudo e vi saluto al prossimo capitolo, che sarà di vitale importanza per la storia! Faremo un bel salto in avanti nel tempo, vedrete, e il finale vedrà accadere un avvenimento che cambierà le carte in tavola. In peggio o in meglio, vi chiederete? Beh, la risposta è facile da immaginare... da questo momento, tutto inizia ad andare a pezzi sul serio.
P.S.
Buone notizie dal mondo! L'altro ieri è stato annunciato in via ufficiale che Singapore abolirà la legge che vieta le unioni omosessuali. Questa piccola vittoria su scala internazionale rappresenta un cambiamento epocale per il paese, sperando che tanti altri - tra cui il Kenya, speriamo - seguano il suo esempio!
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