12. Nuovo mondo
A Malpensa facevano ventotto gradi, quella tarda mattinata di settembre che l’aereo atterrò.
Ventotto gradi non erano tanti per Mombasa, ma l’aria era più calda di quanto Nuru si fosse aspettato, e fu proprio quello che esternò.
«Fa caldo» borbottò, non appena mise il naso fuori dall’aereo, con una smorfia.
Si voltò indignato verso Raffaele, perché come osava l’Italia essere così calda? Era andato via da Mombasa anche per scappare dal caldo afoso, ma non stava funzionando affatto.
Lo trovò che sorrideva divertito, il che sarebbe stato irritante se non fosse stato per quella fossetta sulla guancia sinistra che era il suo punto fermo in mezzo alla tempesta.
«Certo che fa caldo. Siamo a inizio settembre, è ancora estate.»
«Siamo a nord. Dovrebbe fare freddo.»
«L’Italia non è così a nord da fare freddo anche l’estate, temo. Ma le temperature si abbasseranno presto, vedrai.»
I traballanti scalini dell’aereo li condussero a un pulmino che li avrebbe condotti dentro l’aeroporto. Raffaele fu il primo a salire, poi si rivolse verso di lui e gli porse la mano.
Nuru l’afferrò e si aiutò col gradino alto, poi allentò la presa, ma Raffaele non lo lasciò.
«Che fai?» gli chiese, e diede un leggero strattone per liberarsi. Là in pubblico, davanti a tutta quella gente, non potevano permetterselo. Qualcuno avrebbe potuto notarli, era pericoloso.
«Calmati, ti sto solo tenendo la mano. E ora faccio anche questo, guarda un po’» gli disse, divertito, poi gli cinse un fianco con la mano libera e lo tirò più a sé per fare spazio alla folla che continuava a salire.
Nuru si irrigidì, fece saettare gli occhi per il mezzo affollato. C’era qualche coppia che si stava abbracciando per fare più spazio là nella calca, ma nessuna come loro. Loro erano sempre quelli diversi, loro dovevano stare attenti, non potevano lasciare che qualcuno intuisse qualcosa, dovevano stare separati, distanti.
Fece per mettere spazio tra loro ma Raffaele lo tenne stretto, e poi il pulmino ormai si era riempito, non c'era tanto spazio per muoversi o per arretrare.
Il corpo di Raffaele era rilassato contro il suo, lui sembrava a suo agio, e nessuno parve fare caso a loro. Nuru restò rigido ancora qualche attimo, poi la sua mente realizzò dove si trovava.
«Ehi» sussurrò l’altro, mentre il pullman partiva cigolante verso l’aeroporto. «Tranquillo. Va tutto bene. È tutto a posto, nessuno ci darà problemi.»
Il suo cuore si calmò. Andava davvero tutto bene, nessuno pareva guardarli in modo strano o molesto. Quando si fu tranquillizzato, Raffaele gli concesse di liberare la mano, e lui ne approfittò per mettergli le mani sui fianchi e tenerlo a sé, come qualunque altra coppia avrebbe fatto.
«Nessuno ci darà fastidio?»
«Beh, tutto può sempre accadere, ma non dovrebbe succedere, no.»
«Qualunque cosa io faccia?»
«Perché, cosa vuoi fare?»
Il ragazzo era proprio davanti a lui, a un respiro di distanza, i loro corpi premuti insieme dalla calca. Si appoggiava a lui come se fosse la sua natura, come se fosse nato per questo, per stringersi a lui come parte di sé.
Lo guardava, gli sorrideva con il suo sorriso espressivo e un po’ furbetto, e come ogni volta che lo vedeva felice Nuru non riuscì a trattenersi.
Strappò via la sensazione di paura e terrore per la folla come avrebbe strappato una benda adesiva dalla pelle e lo baciò.
Le labbra di Raffaele contro le sue erano piegate all'insù, poteva avvertire il suo sorriso sulle labbra. Nuru strinse la presa sui suoi fianchi e approfondì il bacio, trovando il ragazzo pronto ad accoglierlo.
Venne avvolto da un sapore familiare, sapore di casa, e il mondo intorno a lui svanì per un attimo. L’odore di sudore della folla rinchiusa in quello spazio ristretto, il borbottare dei presenti, il caldo che gli appiccicava i vestiti addosso, tutto sfumò intorno a lui, solo loro due in tutto l’universo.
Sentì distante qualcuno tossicchiare imbarazzato, e Raffaele si scostò da lui, con un sorrisino di scuse. «Limonare in pubblico non è molto educato» gli disse. «A prescindere dal genere.»
«Hai ragione» mormorò, e distolse lo sguardo. «Scusa.»
Nonostante le sue parole, non riuscì a essere dispiaciuto per quello che aveva fatto. Aveva baciato Raffaele in pubblico, su un pullman pieno di gente, e nessuno aveva fatto una piega. Nessuno.
Poteva farlo quando voleva. Poteva tenergli la mano, abbracciarlo, magari non poteva infilargli la lingua in bocca in quel modo sino a consumarsi le labbra come quando erano a letto, ma poteva fare solo la coppia, come tutte le altre coppie del mondo. Poteva essere normale.
Gli sorrise a sua volta, un sorriso che veniva da dentro. Raffaele gli lasciò il fianco e gli diede un buffetto sulla guancia. «Sei contento?»
Nuru prese quella domanda in modo serio, così pensò prima di rispondere. Sì trovava a Milano, in nord Italia, con la sua persona preferita. Avrebbe cominciato a studiare all’università, proprio quello che voleva. Non aveva più bisogno di nascondere il fatto di stare con lui. Avrebbe vissuto in una casa con l'acqua corrente, l’elettricità e senza bisogno di zanzariere sopra il letto.
Gli sarebbe mancata sua madre, i suoi fratelli, Hassan e Qaali – Hassan si era offeso a morte quando aveva saputo che sarebbe partito, ancora non gli rivolgeva la parola – , il mare, i suoi mabuyu, forse persino il suono dello swahili.
E sarebbe stato niente meno di meraviglioso.
«Tantissimo.»
«Anch’io.»
Il pulmino si fermò davanti all’entrata dell’aeroporto e loro entrarono con le valigie al seguito. Il gelo dell’aria condizionata lo investì seguendo Raffaele per i corridoi illuminati e gremiti di persone di Malpensa.
«Mio zio è già qui, ci sta aspettando agli arrivi.»
«Ci porta a casa?» chiese, impaziente di scoprire il luogo in cui avrebbe vissuto da quel momento in poi. Raffaele gli aveva mostrato qualche foto, era la casa in cui aveva vissuto sino al momento di trasferirsi a Mombasa, e sembrava meno bella della villa che i Fontana avevano in Kenya, Milano doveva essere più costosa di Mombasa, ma era stupenda lo stesso.
«Sì. Dovremo uscire a fare spesa oggi, e stasera rivedo qualche amico, te lo presento. Mi hanno chiesto di andare a ballare, a te sta bene?»
«A ballare?»
«Sì. In discoteca.»
«Non sono mai stato in discoteca.»
«Io ci andavo sempre quando vivevo qui. Vedrai che ti piacerà.»
Nuru annuì. Si fidava di Raffaele, lui lo conosceva, se aveva detto che a Nuru sarebbe piaciuta la discoteca allora gli sarebbe piaciuta davvero.
«Come sono loro? Lo parlano l’inglese?»
«Clara molto bene, ha fatto un anno di intercultura in Oregon. Gli altri insomma, ma mi hanno promesso che ci proveranno. Saranno un po’ com’ero io quando sono arrivato.»
«Allora andrà bene. Tu ti facevi capire benissimo quando sei arrivato.»
«Non è vero, e lo sai. Ero davvero atroce.»
«Io ti ho sempre capito.»
«Eri l’unico che non mi trovava irritante.»
«Perché loro sono stupidi. È difficile parlare una lingua nuova, diversa dalla propria. Non c'è niente di male nell'essere un po’ arrugginiti all'inizio.»
Molti suoi compagni avevano pensato che Raffaele fosse poco intelligente, perché in inglese all’inizio non riusciva a esprimersi come voleva. Nuru non aveva mai fatto l’errore di sottovalutarlo.
Sapeva che dietro la barriera linguistica si nascondeva un ragazzo brillante, che infatti piano piano era venuto fuori e aveva iniziato a splendere sotto gli occhi di tutti.
«Sei gentile.»
«Dico solo la verità.»
L'aeroporto di Malpensa era enorme, più grande di quello di Mombasa. Era pieno di bianchi, Nuru non aveva mai visto tante persone bianche tutte insieme.
Lo zio di Raffaele era pronto ad accoglierli appena fuori dall’uscita, si presentò con una stretta di mano solida e Nuru notò che era davvero simile a Enrico, che doveva essere suo fratello.
«Benvenuto» lo accolse, con un sorriso.
Anche a Nuru ne fiorì uno sulle labbra. «Grazie.»
L’uomo gli fece un breve cenno d’intesa, poi quando riebbe la sua mano allargò le braccia e disse qualcosa a Raffaele in italiano, che Nuru non capì.
Raffaele mollò la sua valigia e gli gettò le braccia al collo, in un abbraccio soffocante.
I due si strinsero per qualche secondo, poi l’uomo lo lasciò andare. Sembrava una persona che voleva davvero bene a Raffaele, e questo significava che a Nuru piaceva.
Quando salirono in macchina Carlo, lo zio, caricò le loro valigie nel bagagliaio e zio e nipote iniziarono a parlottare in italiano nei due posti davanti.
Ogni tanto Raffaele faceva un commento in inglese nel tentativo di includerlo, ma a lui non dispiaceva essere lasciato indietro a guardare fuori dal finestrino e a pensare.
Osservava i palazzi della zona industriale, i cartelli in una lingua sconosciuta ma, soprattutto, quello che più lo convinse di essere da qualche parte lontano da casa fu il verde che ogni tanto spuntava tra una casa e l’altra, tra un palazzo e l’altro, a separare i paesini della periferia milanese.
Da dove veniva, giù a Mombasa, la terra rossa bruciata faceva da padrona come natura incontaminata, intervallata da qualche sparuta pianta di acacia.
Vicino al mare crescevano delle palme e degli alberi di banano e di mango, alcune di cocco, ma non si vedeva erba né fiori, mentre il panorama dal finestrino in quel momento sembrava una macchia verde indistinta.
L’auto entrò in città e Nuru osservò, affascinato. Milano era diversa da Mombasa, oltre a essere più verde le strade sembravano più pulite e meno polverose, il traffico era più ordinato, non c’erano matatu né tuktuk in vista ed era la fiera degli wazungu, stavano in ogni angolo.
Si fermarono in una zona che Nuru non avrebbe saputo dire se era centrale, ma pareva piuttosto tranquilla. Non erano davanti a una villetta come a Nyali, ma a un palazzo alto almeno dieci piani.
Carlo parcheggiò e Raffaele scese dalla macchina, lui lo seguì.
«Siamo arrivati, spero ti piaccia!»
Lo vedeva gasato, un sorriso da un orecchio all’altro stampato in faccia, e Nuru pensò che gli sarebbe piaciuto qualunque posto, si sarebbe fatto andare bene tutto, anche una tenda, se lui fosse rimasto sempre felice così.
Carlo si avvicinò e iniziò a parlare ancora con Raffaele in italiano. Vide Raffaele tirare fuori il portafoglio e suo zio ricacciarglielo in tasca, i due litigarono per un po’, poi Raffaele si arrese.
«Zio ci ha fatto la spesa» sospirò, mentre l’uomo tirava fuori le loro valigie e due buste piene.
«Grazie» gli disse allora, e Carlo rispose dandogli due pacche sulla schiena.
Entrarono nel palazzo che sembrava meno bello di quello di Hassan, ma comunque anni luce avanti a quello a cui Nuru era abituato. Salirono in ascensore al terzo piano e Raffaele tirò fuori le chiavi dalla tasca, infilandole nella toppa.
Il cuore di Nuru si allargò. Quella sarebbe stata la sua nuova casa, per gli anni a venire. Stava davvero cominciando una nuova vita.
L’apertura di quella porta era l'entrata del suo futuro.
Quella si spalancò e lui adocchiò l’ingresso. Per essere una casa abbandonata da un anno, a Nuru sembrò piuttosto pulita. C’era uno specchio alto e stretto, un vaso vuoto, e un attaccapanni dietro la porta.
Lo zio, che conosceva la strada, andò dritto a portare la spesa in cucina. Nuru continuò a guardarsi intorno, mentre Raffaele accendeva le luci e apriva le serrande alle finestre.
L’appartamento non era lussuoso come quello di Hassan neanche a vederlo all'interno, e lo era persino meno della villetta a Nyali. Era più piccolo, arredato in modo sobrio, su un solo piano e non tanto in alto – quello di Hassan era un attico in cima a un grattacielo da cui si vedeva tutta la città e il mare.
Nuru lo adorava già.
Carlo tornò da loro dopo aver sistemato la spesa in cucina, e disse qualche frase a Raffaele in italiano. Raffaele rispose, poi i due si scambiarono un altro abbraccio.
L’uomo fece un cenno verso Nuru e disse qualcosa a Raffaele a riguardo, lui non capì cosa. Poi si voltò verso di lui e gli disse «Ciao, ci vediamo» e uscì di casa.
«Che ti ha detto di me?»
«Di dirti di scusarlo, ha studiato francese a scuola. Non parla inglese.»
«Oh, non è un problema.»
«E mi ha detto di mettere a posto la spesa, ma lo farò dopo. Ora ti faccio vedere la nostra stanza!»
Le parole “la nostra stanza” si marchiarono a fuoco dentro di lui, proprio al centro del petto.
Portarono le valigie per un breve corridoio, alla fine del quale Raffaele spalancò una porta e accese la luce.
«Era la stanza dei miei genitori» spiegò, lasciando la valigia ai piedi del letto e correndo ad aprire la serranda alla finestra. Prese in mano un telecomando sul comodino e accese il condizionatore. «Tu da che lato vuoi dormire?»
«La nostra stanza» mormorò Nuru, osservando il letto matrimoniale che stava proprio al centro. Sulla destra rispetto al letto, dal lato opposto alla porta, c’era un’ampia finestra da cui entrava copiosa la luce del sole, davanti al letto stava un armadio in legno scuro a sei ante, e la foto dei genitori di Raffaele era appesa sopra la testata, con loro da giovani impegnati in un bacio profondo.
«La nostra stanza» ripeté Raffaele, con un sorriso diverso dal solito, meno malizioso e più dolce. «Allora? Da che lato vuoi dormire?»
Nuru notò allora un particolare che lo colpì. Ai due lati del letto, entrambi, appena sopra i due comodini, si trovavano delle prese di corrente.
Realizzò allora che avrebbe potuto caricare il cellulare quando avesse voluto. Avrebbe potuto usarlo tutto il giorno, iscriversi su Instagram magari.
«Io... non lo so. Tu che dici?»
«Io preferisco la metà vicino alla finestra.»
«Okay, va bene. Per me è uguale. Perfetto.»
Raffaele si avvicinò allora, gli prese le mani nelle sue. «Che dici, lo collaudiamo? Il letto, intendo.»
«E la spesa?»
«Preferisci mettere a posto la spesa o festeggiare un po’ con me?»
Quella domanda non meritava neanche una risposta. Nuru gli lasciò le mani e avanzò, facendolo arretrare. Il ragazzo sbatté le gambe al letto e si sdraiò, Nuru gli salì sopra, baciandolo sulla clavicola per poi salire su lungo il collo verso l'orecchio, segnando la pelle bianca.
Sentì le mani del compagno che si infilavano sotto la sua maglia, sfiorandogli la schiena, e tutto sembrò andare a posto tanto in fretta che ne fu sopraffatto per un attimo.
Abbandonò la sua tortura, sollevò la testa e lo guardò. Raffaele era già rosso, i suoi occhi azzurri lo fissavano, ingoiandolo intero. Gli sfilò la maglia liberando centimetri di pelle scura, e le mani di Nuru corsero al bottone dei suoi jeans.
«Non vorrei essere con nessun altro» gli disse, sollevandosi sui gomiti, e fu allora che il cuore di Nuru si sciolse e lo baciò.
Le mani di Raffaele andarono ai suoi capelli e si aggrovigliarono tra i suoi ricci, mentre Nuru lo baciava famelico ed ebbro dalla gioia e un caldo tra le gambe che lo infiammava intero.
Lo baciò come aveva desiderato fare sceso dall'aereo, come sarebbe stato inappropriato fare in pubblico, e per il resto della sera tutto il mondo scomparve, solo i due amanti esistettero, i loro gemiti e i loro sospiri.
Quando si ritrovarono nudi, stanchi e felici sul loro nuovo letto sfatto, con Raffaele che gli copriva il volto di baci e una piacevole sensazione di testa leggera, Nuru pensò che non era mai stato meglio di così.
Accarezzò la nuca al ragazzo che stava sdraiato accanto a lui, e Raffaele si allungò come un gatto che faceva le fusa.
«Che vuoi mangiare?» gli chiese, tra un bacio sulla guancia e l’altro. Lui era bravo a cucinare, Nuru lo prendeva sempre in giro perché era un italiano stereotipato.
Non dovette neanche pensare a una risposta. «Te.»
Raffaele gli sorrise, malizioso. «Già fatto.»
«Vero» gli disse, afferrandolo e tirandolo più a sé, sentì quel corpo caldo contro il suo, pelle su pelle. «Ma lo rifarei.»
«Quando vuoi» gli rispose, facendo l’occhiolino, poi si districò da lui e afferrò i boxer che erano scivolati sul pavimento durante la foga del momento.
«Devi andare per forza?»
«Bisogna mettere a posto la spesa. Speriamo non ci fossero surgelati, accidenti. Tu vieni con me?»
«Ti raggiungo» rispose, le mani dietro la testa e in pace su quel letto spazioso e comodo.
«Ti sei già ambientato, vedo» commentò divertito. Si infilò una maglia larga presa dalla sua valigia e andò scalzo verso la cucina.
Nuru sospirò, non un sospiro pesante che lo schiacciava sul materasso e lo metteva di malumore, ma un sospiro leggero e sognante, di gioia, che galleggiò con lui e lo fece fluttuare sul soffitto.
Si allungò verso la valigia accanto al letto e afferrò il caricatore. Il suo telefono era al venti percento, non l’aveva mai caricato con una percentuale così alta, ma in quel momento poteva permettersi di farlo. Lo attaccò alla presa – la sua presa, dal suo lato del letto, era tutta sua e di nessun altro – e scrisse a Qaali che era a casa.
La sua famiglia non aveva un cellulare, ma Lela andava talvolta a un internet point pubblico e si connetteva a Facebook. Era stato Raffaele a mandarle un messaggio e informarla che erano arrivati, non appena l’aereo si era fermato.
Anche Nuru si sarebbe potuto iscrivere a Facebook. Aveva l’elettricità, non c’erano limiti a quello che poteva fare.
Neanche l’università lo preoccupava. Aveva letto il programma di ingegneria – avrebbe affrontato programma ed esami in inglese, si chiamava International Track – e sembravano tutti argomenti che gli interessavano, perlopiù di matematica. L’unica cosa che lo impensieriva era che prima della laurea avrebbe dovuto sostenere un solo esame di italiano, ma Raffaele gli aveva detto che nei tre anni di corso avrebbe di certo imparato la lingua, e che comunque era lì per lui per aiutarlo.
Non riusciva ancora a capirla – Raffaele gli aveva insegnato a malapena qualche parolaccia e qualche nomignolo carino, come “tesoro” – ed era ben lontano dalle possibilità di sostenere un esame.
Essendo entrato con la borsa di studio di Furaha non aveva avuto bisogno di fare un test d'ingresso, al contrario di Raffaele che era tornato anche a luglio per fare qualche esame preliminare, per poi entrare in giurisprudenza.
Tutto sembrava volgere per il meglio, per loro due. Erano innamorati, felici, la loro carriera universitaria iniziava ad avviarsi, e niente avrebbe potuto disturbarli. Per una volta nella sua vita, sembrava che anche lui avesse diritto a un po’ di pace. Ce l’aveva fatta.
Raffaele si affacciò nella stanza. «Non ti sei ancora vestito?»
«Ti dà fastidio?»
Sulle sue labbra si formò il suo solito sorriso furbetto. «Per niente.»
«Allora, che offre la casa?»
«Ti va insalata di pasta alla caprese?»
«Non ho idea di che roba sia.»
«Penne con pomodoro fresco, mozzarella, foglie di basilico e olio evo.»
Nuru prese un cuscino dalla parte opposta del letto e glielo tirò. «Puoi essere più stereotipato di così?»
Raffaele lo afferrò senza lasciare che gli sbattesse in piena faccia. «Qualcuno deve pur esserlo, no?»
«Comunque va bene» gli disse, lui che avrebbe mangiato qualsiasi cosa tranne ugali col sukuma, soprattutto se cucinato da lui, soprattutto in quel momento.
«Mi fai compagnia mentre cucino?»
E come avrebbe potuto dire di no a una richiesta del genere? Si alzò, mentre Raffaele gettava il cuscino di nuovo sul letto. Cercò il pigiama a tentoni in valigia e lo infilò, poi si avvicinò al ragazzo, appoggiato allo stipite della porta.
Gli passò una mano sulla guancia e quello si alzò sulle punte e gli stampò un breve bacio sulle labbra.
«Scusa, sono appiccicoso oggi. Se ti do fastidio...»
Nuru lo zittì coprendogli la bocca con la sua. Quel giorno si erano baciati più che a sufficienza, eppure sembrava non esserne ancora sazio. Lo prese per i fianchi e le mani di Raffaele gli afferrarono la maglia all’altezza del petto e quando lo accolse nella sua bocca, ancora una volta, tutto sembrò andare a posto.
Note autrice
Eccoci a Milano!
Tutto sembra andare al meglio possibile... non avete idea di quante tragedie si abbatteranno su Nuru quanto prima, lol. Ma forse ancora per qualche capitolo se la può scampare, dai... vedrete.
Comunque, la relazione con Raffaele sembra andare a gonfie vele, abita in una vera casa con acqua e corrente, sta per iniziare le lezioni all'università, e chi sta meglio di lui?
Nel prossimo capitolo faremo un giro in discoteca, la prima volta per lui!
Come andrà? Lo scoprirete solo leggendo!
Sono cosciente del fatto che questo capitolo sia di transizione, ma volevo dare un’idea di questo inizio felice e idilliaco per Nuru, di questa sua nuova vita!
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