11. Avanti veloce
Novembre.
Enrico aveva mantenuto la promessa. Ogni volta che Nuru aveva avuto bisogno di rifugiarsi in luogo sicuro, fosse anche per mangiare un pasto completo o per caricare il suo cellulare, aveva trovato la porta della villetta spalancata ad accoglierlo. Non solo, lo aveva persino chiamato al telefono per scambiare due parole con sua madre e convincerla a tenerlo con loro per la cena, e lei più di una volta si era scucita e gli aveva permesso di restare.
Quando Nuru stava a casa loro aiutava Raffaele a studiare inglese, giocava con la sua Play Station – il ragazzo gli aveva insegnato a giocare a Call of Duty, che gli piaceva molto, mentre si annoiava da morire a giocare a FIFA – ma, soprattutto, passavano il tempo stesi sul letto a limonare.
Baciarsi era… liberatorio, galvanizzante, gli faceva frullare il cuore nel petto e gli annacquava il cervello in una pozzanghera tiepida senza alcuna traccia di razionalità. Era la finestra aperta verso un mondo che non solo non aveva mai potuto toccare, ma neanche immaginare sino a qualche mese prima. Era tutto ciò a cui pensava di giorno, che sognava di notte, che desiderava.
Quella volta non fece eccezione.
Quella volta Nuru avrebbe dormito dai Fontana e avrebbe passato con Raffaele una notte intera.
Lui non aveva mai dormito fuori, neanche da Hassan anche se lui stesso glielo aveva proposto più volte. Questo perché non voleva abusare dell’ospitalità dell’amico, e perché sua madre non era mai convinta di lasciarlo andare così a lungo.
Non sapeva neanche lui come avesse fatto a convincerla, sapeva solo che teneva a passare quella notte insieme sopra qualsiasi altra cosa, e aveva implorato Baraka con tanta convinzione che lei era stata costretta a cedere se non altro per farlo stare zitto.
In quel momento era là che si trovava, avevano finito di cenare – pasta, perché erano un maledetto stereotipo ambulante e ne mangiavano a chili, Nuru non sapeva come facessero a reperirla così in fretta – ed erano sul letto impegnati nelle loro solite attività ludiche preferite.
Il condizionatore era acceso a ventitré gradi e nella stanza faceva freschino, ma lui sentiva caldo, troppo. Aveva una mano sotto la maglia di Raffaele, gli toccava la pelle bianca della schiena, sentiva che era bollente.
Aveva il suo sapore in bocca, sapore che ricordava ormai a memoria, familiare, confortante, e aveva i suoi respiri affannosi nelle orecchie, il soffio tiepido sulla pelle.
Raffaele continuava a baciarlo, senza lasciargli tregua o scampo, e Nuru ancora una volta si avvinghiò a lui e cercò di stargli sempre più vicino, tanto vicino a da fondersi a lui, da due diventare uno.
Non avevano mai avuto occasione di fare di più – anche se lui ci aveva pensato, in modo ossessivo e di continuo, soprattutto quando lo baciava così – perché a casa di Raffaele c’era sempre un intenso via vai e Gabriele, suo fratello, a volte entrava spalancando la porta per dire qualcosa senza bussare.
In quel momento però Gabriele era a letto, tutti stavano dormendo, e sentì la mano di Raffaele, prima sulla sua nuca, abbassarsi alla sua spalla, scivolargli lungo il fianco e fermarsi all’inguine.
Nuru si lasciò sfuggire un verso strozzato di sorpresa, e Raffaele si separò dal bacio. Era arrossato dalla foga, Nuru si stupiva ogni volta quanto potesse diventare rosso in volto al contrario di lui e quelli come lui, ansimava e nella semi oscurità della sua stanza aveva le pupille dilatate, le iridi due cerchi azzurri sottilissimi.
«Tutto a posto?»
Nuru non aveva ancora deciso se era vero che sarebbe andato all'inferno. Ogni domenica sua madre lo portava alla messa del quartiere, e ogni volta lui si illudeva che avrebbe rotto con Raffaele per poi cascarci di nuovo.
«Nuru» quella voce lo distolse dai suoi pensieri. L’inglese di Raffaele era migliorato molto in quei mesi, benché non avesse perso il suo adorabile accento italiano. «Tutto a posto?» ripeté, accennando a voler togliergli la mano di dosso.
Nuru la fermò, posandovi sopra la sua, inchiodandola là tra le sue gambe.
«Tutto a posto» soffiò, nel buio della stanza. Al diavolo l’inferno, voleva che lo toccasse, voleva sparire sotto le sue mani e le sue labbra. «Solo che... non ho mai fatto niente del genere.»
«Non preoccuparti di quello. È come farlo da soli, non fa differenza.»
Immaginare Raffaele impegnato a darsi piacere gli fece sentire ancora più caldo, e ringraziò di essere sdraiato perché d'improvviso sentiva le gambe molli.
«Tu... lo fai da solo?»
Raffaele lo guardò come se fosse qualche specie di alieno. «Tu no?»
Nuru scosse la testa.
«Cioè, tu non ti sei mai toccato? Mai?!»
«Nella mia stanza vivono altre due persone. E poi padre Johnson dice che è sbagliato. E anche mia madre.»
Il ragazzo sgranò gli occhi increduli, poi sorrise. Era un sorriso malizioso, furbo, che a Nuru faceva sempre girare la testa. La fossetta apparve sulla sua guancia sinistra e a Nuru venne l’irrazionale voglia di baciarla, morderla, leccarla.
«Oh, ti piacerà un sacco. Darai di matto, fidati» gli disse, col sorriso stampato in faccia, portò la sua mano proprio dove voleva, e il corpo di Nuru andò in tilt.
Deglutì, aveva le guance in fiamme, sentiva il cuore picchiargli quasi in gola, e quando Raffaele infilò la mano dentro l’elastico dei pantaloncini che usava per dormire, sfiorandolo con le dita, non riuscì a trattenere un guaito di sorpresa.
«Sssh, non vorrai che ci sentano» mormorò divertito, ma prima che Nuru potesse rispondere gli tappò la bocca con la sua, e la sua mano si strinse intorno a lui.
Nuru rispose subito al bacio, famelico, con la lingua, con i denti e con tutto quello che aveva, mentre il suo corpo veniva attraversato da scariche di adrenalina e i suoi pensieri si azzeravano, puro istinto animale.
Lo baciò con la forza di chi viene toccato per la prima volta, con la carne che brucia e una frenesia incontenibile, dirompente e distruttiva.
Non ci fu sua madre, né il prete, né la legge, né l’inferno quella sera. Ci fu solo un bisogno fisico, carnale, e una foga impossibile da esprimere a parole.
Gennaio.
Erano passati due mesi da quando Raffaele lo aveva iniziato a quel fantastico fenomeno detto orgasmo, e Nuru, da bravo adolescente, ci era affogato come una droga.
Del resto, si era sempre trattato di una battaglia persa in partenza. Sua madre, Dio e lo stato avevano cercato di tenerlo in riga facendo leva sui sensi di colpa e sulle privazioni, regalandogli frustrazione, una baracca di lamiera e secchiate di acqua gelida. Quello che Raffaele e i Fontana gli offrivano era serenità, una casa con un vero tetto, l’acqua corrente, l’aria condizionata e i piaceri del sesso.
La realtà era che tra le due opzioni non c’era mai stata partita.
In quel momento si trovavano a scuola, a ricreazione. Nuru aveva il suo sacchetto di mabuyu, e parlottava con Hassan del compito di storia.
Ogni tanto, di sfuggita, lanciava un'occhiata veloce a Raffaele, che chiacchierava con Karim e Rahim vicino al cancelletto che portava al cortile femminile.
Il suo inglese era diventato fluido, ed era alla fine riuscito a fare amicizia con qualche suo compagno di classe, con cui si intratteneva a parlare all’intervallo e contro cui giocava a FIFA online alla sera.
Come ogni volta sentì il cuore irrigidirsi, farsi piccolo e duro come un sasso. Sapeva che non era giusto essere gelosi, che Raffaele aveva tutto il diritto di frequentare i suoi amici come Nuru frequentava Hassan e Qaali, ma condividere le attenzioni del ragazzo non gli era mai piaciuto.
Non mentiva a se stesso, sapeva di aver preferito i momenti in cui Raffaele era appena arrivato a Mombasa e vedeva soltanto lui.
«Mi stai ascoltando, almeno?» chiese Hassan con uno sbuffo, dando un morso al suo chapati.
«Uh, sì, scusa, che hai detto?»
«Si può sapere che hai?»
«Non ho niente, mi ero solo distratto, tutto qui.»
«Riesci a esserci domani, almeno?»
Il giorno dopo sarebbe dovuto andare a casa sua per finire di guardare la terza stagione della serie How I met your mother, che avevano iniziato dopo aver concluso FRIENDS.
A Nuru piaceva uscire con Hassan, andare a casa sua e guardare le serie con lui. Negli ultimi tempi però, il loro tempo passato insieme si era ridotto, perché Nuru aveva dovuto conciliarlo con quella nuova parte della sua vita.
«Certo che ci sono. Te l’ho promesso.»
«Guarda che si mi dai buca anche questa volta...»
«Ho detto che ci sono e ci sono!»
«Va bene, non c’è bisogno di arrabbiarsi...»
«Non sono arrabbiato. Solo, non c’è neanche bisogno di ripetere le cose diecimila volte...»
«Non è colpa mia se non vieni mai! Stai sempre con quello e io... mi sembra... a volte mi sembra che pensi che non ti servo più.»
«In che senso, scusa?»
«Beh, prima venivi sempre da me, e pensavo che ti facesse piacere. Stare insieme, intendo. Invece ora che hai trovato un’altra casa dove guardare la TV e caricare il telefono non vuoi più uscire con me.»
«Tu pensi che uscissi con te solo per guardare la TV e caricare il telefono?»
«Che altro dovrei pensare?»
Mandò giù i mabuyu, poi prese un respiro profondo. Quell’insinuazione aveva fatto male, ma non avrebbe voluto fare degenerare la situazione. «Non ti rispondo neanche.»
«Scusa, ma puoi biasimarmi? Puoi davvero biasimarmi se lo penso?»
Beh, dal momento che lo chiedeva così… «Sì. È offensivo, e sciocco e io... certo che mi fa piacere stare con te! Sei mio amico e… e non ti ho mai chiesto niente! Sei tu che me l’hai offerto, saresti mio amico anche senza quelle cose! E il fatto che tu non lo sappia... il fatto che tu non lo sappia è una cosa brutta.»
«Allora dimostrami che mi sbaglio e considerami un pochino! Perché sembra che ora che non ti servo più mi abbia buttato via.»
«Sei incommentabile, Haz.»
«Ah, io sarei incommentabile? Davvero?»
«Che succede?»
I toni dovevano essersi un po’ alzati, perché alcuni loro compagni li stavano guardando.
Karim, Rahim e Raffaele si erano avvicinati, vide gli occhi azzurri preoccupati cercarlo attraverso il cortile.
«Non succede niente. È tutto a posto» tagliò corto Hassan.
«Invece non è tutto a posto. Non avresti dovuto dirlo, non te la cavi così.»
«Io quello che ti dovevo dire te l’ho detto. Ora, se vuoi scusarmi...» disse, e spostando Karim di lato tornò dentro la scuola verso la classe, per mettere spazio tra loro.
«Fanculo» mormorò Nuru, dando un calcio a un sasso sulla terra battuta.
Alzò lo sguardo e notò che Raffaele lo stava ancora guardando. Sembrava impensierito, e Nuru sapeva che gli avrebbe chiesto cosa fosse successo quella sera stessa, quando si sarebbero incontrati alla villa. Pensò a come raccontargli quello scambio ingiusto appena avvenuto, quando la campanella di fine della ricreazione suonò.
Karim gli batté una mano sulla schiena, esortandolo a entrare, e lui obbedì. Arrivato in classe, trovò Qaali che lo osservava, forse già informata da Hassan sull’accaduto.
«Non voglio parlarne» borbottò, lasciandosi cadere sulla sedia accanto a lei.
Lei lo osservò di sottecchi. «Beh, forse dovresti, invece.»
«Dai ragione a lui?»
«Non ho detto questo. Dico solo che ti saresti potuto mettere un po’ nei suoi panni...»
«E lui non si sarebbe potuto mettere un po’ nei miei?»
«È come parlare al muro» sbuffò Qaali, alzando gli occhi al cielo.
L’arrivo della professoressa Harunani sedò la discussione, zittendo i ragazzini ancora in chiacchiere.
Fu così che si ritrovò su quel letto quel pomeriggio, con Raffaele che giocava coi suoi capelli e disegnava ghirigori sulla sua pelle nera con le dita.
«Hai considerato l’idea che Hassan potrebbe aver ragione?» domandò, senza guardarlo negli occhi, continuando a disegnare.
«Anche tu?» chiese, sbattendo le palpebre incredulo. «Credi davvero che abbia smesso di uscire con lui perché ora ho un altro posto dove caricare il telefono?»
Lo disse in un sibilo indignato, con il cuore che iniziava a incrinarsi. Se anche Raffaele lo avesse creduto così egoista, una sanguisuga che frequentava gli altri solo per i favori che potevano fargli, quello sì che avrebbe fatto male. E, certo, il fatto che Raffaele fosse benestante lo aveva aiutato a trovarsi sereno e comodo nella sua casa, ma lui non lo frequentava per questo. Lo frequentava perché era dolce, e bellissimo, e brillante, e lo faceva ridere, e–
«Non lo penso. Quello che penso è che tu abbia smesso di uscire con lui perché ora stai uscendo con me, e lui non se lo spiega. Crede che tu l’abbia sostituito con me.»
«Ma è ridicolo!»
«Ma lui non lo sa, come potrebbe?»
Nuru sollevò gli occhi al cielo. Raffaele continuava con la sua cattiva abitudine di farlo pensare anche quando non ne aveva nessuna intenzione.
«Quindi cosa dovrei fare?»
«Gli vuoi bene?»
«Certo che gli voglio bene. È il mio migliore amico.»
«E allora qualche volta consideralo, scegli un po’ anche lui. Fallo sentire un po’ la tua priorità. Dimostragli che si sbaglia.»
«Tu vuoi che ti dia buca per uscire con Hassan?»
«Io ti terrei qui anche tutti i giorni, lo sai. Ma non voglio che ti isoli e smetti di frequentare i tuoi amici solo per me. È sbagliato. Fagli capire che gli vuoi bene… anche lui ha bisogno di cura e attenzioni.»
«Mh» commentò, poco convinto. Fermò la mano che continuava a tracciare segni immaginari e intrecciò le dita con le sue. «Ci penserò.»
«Non è questo quello di cui volevo parlarti.»
«Volevi parlarmi di una cosa?»
«Sì. Ti ho chiesto di venire qui perché avevo bisogno di parlarti.»
«Cosa c’è? È successo qualcosa?»
Raffaele alzò le spalle, in silenzio. Si morse il labbro e continuò a non guardarlo negli occhi. Nuru avrebbe dovuto capire che c'era qualcosa che non andava, avrebbe dovuto capirlo subito, ma era stato tanto turbato dalla discussione con Hassan da non averlo nemmeno notato.
«Dimmi che hai. Dimmi che hai o vado nel panico, ti avviso.»
Raffaele sospirò. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. «Siamo a gennaio. A luglio ci diplomiamo.»
Nuru si sentì invadere dal sollievo. Era una questione scolastica, dunque. «Sì, lo so. Vedrai che ce la farai, devi solo metterti un po’ sotto e...»
«Mio padre dice che non posso fare l'università qui e io... io sono d'accordo. Vado a fare l’università in Italia. A settembre mi ritrasferisco in Italia. Sarò lontano dai miei, ma ho mia nonna su a Milano, quindi un appoggio per le emergenze ce l’ho. Andrò a vivere da solo, avrò un appartamento mio e... oh Nuru, mi dispiace, ma io...io...»
Lui lo guardava, fisso e rigido come una statua.
A settembre mi ritrasferisco in Italia.
«No» mormorò, e sentì qualcosa dentro di lui che si sbriciolava. «No, non è vero. Non è vero.»
«Mi dispiace. Mi dispiace. Ma è così che deve andare. È deciso.»
«Non puoi lasciarmi qui. Non puoi farmi questo.»
«Io devo vivere la mia vita. Non posso permettermi di restare indietro... neanche per te. Sai quanto ci tengo, lo sai, però… non posso rinunciare al mio futuro per questo.»
Nuru si sentì mancare. La testa gli ronzava, aveva male al petto e gli mancava il respiro.
Raffaele non poteva avergli fatto questo. Non era tanto crudele, lui lo conosceva. Non gli avrebbe regalato quel fazzoletto di libertà per strapparglielo via così.
«Dimmi che è uno scherzo. Ti prego, dimmi che è uno scherzo. Non ce la faccio.»
Raffaele sbrigliò la mano che Nuru ancora teneva stretta alla sua e gli accarezzò il volto. Un tocco leggero, quasi impercettibile, che lo bruciò come una lingua di fuoco.
«Sai che tu mi rendi felice, però–»
«Però non abbastanza. Non è così?»
«Non è questo il punto.»
Nuru scosse la testa forte, e strizzò gli occhi. Sarebbe rimasto indietro, quello era il suo destino, la felicità gli sarebbe scappata di mano come sempre, perché non la meritava. Si era illuso di poter ottenere qualcosa di bello dalla vita… che stupido. Davvero ridicolo, questo era. Non sarebbe mai stato niente più che un povero illuso.
Marzo.
I mesi passavano, e Nuru faceva il conto alla rovescia con un peso che gli schiacciava il petto e non lo faceva respirare.
Si trovava sulla spiaggia in quel momento, Raffaele amava andarci, e lui amava accontentarlo, le ultime volte che avrebbe potuto farlo.
Anche se il colpo aveva fatto male, non era riuscito a separarsi da lui prima dell’inevitabile.
Aveva tutta l’intenzione di passare con lui ogni momento che gli restava, di non perdersi un attimo, ed era proprio quello che stava facendo allora, seduto sulla sabbia, osservando il ragazzo coi piedi a mollo nell'acqua che guardava verso il mare.
Raffaele si voltò, non tirava un filo di vento e faceva caldo. Sorrideva. Quel giorno era di buon umore, più del solito, e Nuru non riusciva a capire perché.
Una parte di lui era infastidita da questo, dal ragazzo che stava per lasciarlo e sembrava che non gli importasse. L’altra parte, quella che sembrava averla avuta vinta, era solo felice che lui fosse felice, nient’altro.
Lo vide avvicinarsi, poi sedersi sulla sabbia accanto a lui. «Io amo il mare» disse, quando le loro spalle si sfiorarono. «Mi mancherà.»
Nuru non stentava a crederci. La distesa di sabbia candida, l’acqua cristallina, la barriera corallina e l’immensità dell’Oceano Indiano erano uno spettacolo difficile da lasciare andare.
«E a te? Mancherebbe il mare? Pensi che potresti vivere lontano dal mare?»
Nuru soffocò una risata nervosa. Lui non avrebbe mai lasciato il mare. Era nato a Mombasa e là sarebbe morto, non aveva possibilità di scappare.
«Non lo so» rispose soltanto. «Non me lo sono mai chiesto.»
«E se ci fosse un modo per scoprirlo?»
«Ma non c’è. Non mi mancherà mai il mare. Sono chiuso qui, come un ratto del cazzo. Tu te ne andrai, conoscerai qualcuno e ti dimenticherai di me. E io starò qui a struggermi come un idiota, a mangiarmi il fegato e ad arrostire.»
«Forse non deve andare così per forza.»
«Smettila, per favore. Smettila di prendermi in giro.»
«Mi guardi, almeno? Mentre ti parlo?»
«No.»
Raffaele sospirò, ma Nuru non si voltò comunque. Il mare era piatto, senza vento, e il sole e era basso sull’orizzonte, erano circa le sette e in spiaggia non c’era nessuno.
Erano a Nyali, la zona turistica, che in quel periodo dell’anno diventava un mezzo deserto.
Lui osservò le rifrazioni del sole sull’acqua, una galassia di punti dorati che scintillavano al placido movimento della corrente. Sentiva la sabbia sotto di lui, non era bollente perché era tardi e il sole era basso, ne percepiva la consistenza sotto le dita, le braccia abbandonate accanto al suo corpo.
C’era silenzio, anche Raffaele aveva smesso di parlare, e poteva udire solo il morbido risciacquo della risacca e un lontano sottofondo di auto che veniva dalla strada.
Desiderò prendergli la mano nella sua ma non lo fece, era rischioso in pubblico, e si chiese se anche Raffaele provasse desiderio di farlo.
«Vieni con me» sussurrò, rivolto verso il mare. «Vieni in Italia con me.»
«Ah» rispose Nuru, con un sorrisino di scherno. «Sì, certo.»
«Non scherzo. Ne ho parlato con papà e lui si è informato. C’è un’associazione qui che si occupa di inserimento allo studio di ragazzi meritevoli del posto. Tu hai tutte le qualifiche. Si chiama Furaha.»
«La conosco. È quella che mi dà la borsa di studio per Tumaini.»
«Beh, funziona anche per l’università. E sono gemellati con alcune università europee, una sta a Milano. Potrebbero pagarti la retta. E i documenti non sono un problema, mio padre si occuperà di tutto.»
«E come sopravvivo in Italia? Loro mi pagheranno la retta, ma ci sarà un affitto da pagare. Mi servirà cibo per vivere. Non ho tutti quei soldi.»
«I miei hanno casa là, quella dove abitavo prima. Ora non c'è nessuno lì. Potremmo andarci insieme. Nessun affitto. E sulla spesa, quella posso farla io. Una persona in più non mi pesa. Papà è d’accordo.»
«Non lo so, io... non voglio vivere sulle tue spalle.»
Le parole di Hassan di qualche mese prima gli avevano trafitto il cuore, anche se era passato del tempo ed era tornato tutto a posto tra loro, merito del consiglio di Raffaele.
L’idea che Raffaele potesse pensare come Hassan che lui lo frequentava solo per i soldi lo tormentava. E poi c’era la sua famiglia, chissà se sua madre sarebbe stata d’accordo. E che facoltà avrebbe scelto? Non aveva mai pensato che sarebbe potuto andare all'università.
«Guardami, dai.»
Nuru si voltò, contro ogni istinto che gli gridava di continuare a osservare il mare. Raffaele aveva gli occhi nei suoi, e ci lesse dentro che era convinto davvero. Credeva sul serio che avrebbero potuto fare questo insieme.
«Non sei un peso sulle mie spalle. Sei quello che voglio. Non voglio andarmene senza di te. Nuru, vuoi... vuoi venire a vivere con me? In Italia?»
Nuru se l’immaginò allora. Si immaginò cosa volesse dire alzarsi al mattino e farsi una doccia vera. Vedere la neve magari, lui che non l’aveva mai vista. Si immaginò cosa volesse dire avere un vero tetto sulla testa, studiare qualcosa che gli piaceva, costruirsi un futuro. Ma, soprattutto, si immaginò come fosse andare a letto ogni notte con il suo qualcuno, la persona che voleva, come fosse svegliarsi ogni mattina con quella persona accanto, in un posto dove non avrebbe dovuto nasconderlo a nessuno. Essere libero.
Così rispose nell’unico modo in cui fu capace di farlo.
«Sì.»
Note autrice
Si va a Milano amici!
Ebbene sì, la seconda parte sarà ambientata laggiù. Lasceremo la nostra amata metropoli di Mombasa per tornare in lidi più familiari.
Ma torniamo a voi, siete eccitati? Siete contenti di partire per Milano o avreste preferito continuare a Mombasa?
Comunque Nuru resta un ragazzo keniota, quindi se vi dispiacerà tranquillə, non la abbandoneremo del tutto. Ci torneremo, non dobbiamo dirle addio, giuro. Ci torneremo e ne evidenzieremo problemi che non abbiamo potuto evidenziare nella prima parte...
Invece, per quanto riguarda Raffaele... non si esprime più come un idiota! Siete contenti che abbia imparato l'inglese in questi mesi, o avreste preferito continuare come prima? Era adorabile, a suo modo, secondo me. Però poterlo far esprimere normalmente è stato un sollievo!
Per venire invece al titolo... questo libro si chiama Furaha perché la borsa di studio che ha fatto conoscere Nuru e Raffaele, e che porterà Nuru in Italia, si chiama Furaha?
Gneh. Non proprio. Diciamo che sia la borsa di studio che il titolo si chiamano così per lo stesso motivo, ma sono due effetti, non una causa e il suo effetto. Vedrete!
Grazie di essere qui e a venerdì!
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