Identità
Airis si svegliò di soprassalto. Le sembrò che il cuore stesse per sfondarle la cassa toracica, per quanto batteva forte. Si passò una mano sul viso madido di sudore e si stropicciò gli occhi più volte per scacciare le ultime ombre dell'incubo: la testa di suo padre conficcata su una picca, il sangue che scorreva lungo il legno e le iridi senza vita che la fissavano, ricordandole la sua colpa, il suo peccato. Si portò le gambe al petto, appoggiando la fronte alle ginocchia, quasi volesse chiedere perdono per ciò che sarebbe stata costretta a fare, ma d'altronde era una via obbligata, un atto che doveva portare a termine per non perdere la sua umanità. Strinse i pugni, affondando le unghie nei palmi fino a quando non sentì il sangue imbrattarle le dita. Alzò lo sguardo e scrutò nell'oscurità quelle piccole mezzelune vermiglie che si rimarginavano lentamente senza lasciare traccia. Sorrise amara, contemplando con aria distaccata quello spettacolo innaturale, un processo che il suo organismo innescava automaticamente ogni volta che le veniva inflitta una ferita.
Erano passati più di cinque anni da quando era morta e Lysandra l'aveva accolta tra i suoi servi; cinque anni in cui aveva ucciso senza requie, con indifferenza, eseguendo alla perfezione gli ordini che il demone le imponeva, solo per paura di perdere il lume della ragione e diventare un involucro di carne morta soggetta ai folli desideri di un Lich.
Distese le gambe e chiuse gli occhi, ascoltando il respiro regolare dell'elfo che dormiva nel letto a accanto al suo. Purtroppo la camera di Melwen era l'unica stanza in cui era stato possibile allestire un piccolo pagliericcio e guarda caso era la stessa che ospitava anche Ledah. All'inizio si era dimostrata piuttosto contrariata all'idea di condividere l'alloggio con lui, soprattutto per come l'aveva osservata durante la discussione con Copernico, in quel modo insistente e pieno di sottintesi, ma alla fine aveva acconsentito a condividere la stanza con l'elfo, più per non destare sospetti che altro.
Il suo compito era ritrovare Ledah e ci era riuscita, poi avrebbe dovuto consegnarlo a Lysandra, per quanto lo stomaco le si attorcigliasse al solo pensiero.
''È un mostro. È la cosa giusta da fare. Il suo destino non mi riguarda."
Da quando l'aveva visto trasformarsi in quell'essere spaventoso, ad Alfheim, non riusciva più a guardarlo senza provare un leggero senso di timore. Anche se non c'era una così grande somiglianza, ormai sapeva che Ledah era figlio di Lysandra e che dentro di lui albergava un potere mostruoso, una furia cieca capace di scatenarsi senza alcun preavviso, come era accaduto nel tempio del Signore della Foresta. Eppure, quel giorno, quando Airis aveva creduto che fosse giunta la sua ora, Ledah si era fermato. L'aveva risparmiata.
Sospirò e ricordò la ferocia che svaniva da quegli occhi cremisi, che lentamente tornavano del loro colore naturale e riacquisivano la consapevolezza di ciò che aveva compiuto. Le aveva lanciato uno sguardo triste, carico di angoscia e terrore. Terrore per quello che era diventato, per quello che aveva fatto. E poi c'era stato quel gesto inaspettato, quella carezza che l'aveva sorpresa più dell'improvvisa trasformazione.
Si toccò la guancia e con i polpastrelli sfiorò la cicatrice di un taglio, lo stesso che la lama magica dell'elfo le aveva inferto quando si era andata a conficcare nella colonna dietro di lei. Avrebbe potuto ucciderla, prendersi la sua personale rivincita sul Generale che lo aveva umiliato e che aveva trucidato molti dei suoi compagni, ma Ledah aveva preferito fuggire, forse perché non voleva essere catturato da Lysandra. Probabilmente aveva realizzato di essersi scoperto troppo, aveva avvertito l'imminente pericolo e aveva voluto evitare un faccia a faccia con la madre, conscio della fine che avrebbe fatto se l'avesse incontrata. Tuttavia, l'unico che poteva rispondere a quelle domande era Ledah stesso. Avrebbe dovuto parlargli prima o poi.
Scrutò la sua figura dormiente immersa nell'oscurità della notte, disegnando nella propria fantasia il profilo ben noto del suo viso, il primo che aveva scorto il giorno in cui le era stata ridata la vista.
"Cosa sei davvero, Ledah di Llanowar?"
Se lo chiese tra sé e sé, impaziente di carpire il segreto celato dietro quell'apparente maschera di normalità. Ma la domanda rimase inespressa, al sicuro nella sua testa.
Airis distolse l'attenzione dall'elfo e osservò il cielo fuori dalla finestra. Delle nubi minacciose avevano ricoperto la volta celeste, oscurando la luna e le stelle. Con amarezza, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare di nuovo nell'oblio del sonno, constatò che l'indomani avrebbe piovuto ancora.
La mattina dopo si alzò di buon'ora. Il sole stava sorgendo, ma i suoi raggi riuscivano a malapena ad oltrepassare la coltre di nuvole che stazionava sulla piccola città. Di recente il tempo non aveva fatto altro che peggiorare, caricando l'aria di un'umidità soffocante che si appiccicava ai vestiti e penetrava in maniera irritante fin nelle ossa.
Si tolse la camicia da notte e si infilò nel vestito che la moglie di Copernico le aveva gentilmente posato sulla sedia la sera addietro, prima di congedarsi. Accettare di rimanere lì era stata una scelta logica, ma non le aveva giovato granché dopo quello che aveva scoperto di dover fare. Il pensiero di dover uccidere un uomo gentile come Copernico la faceva star male, ma non poteva agire diversamente. Non era la prima volta che ammazzava un innocente e quella del mago sarebbe stata solo una delle tante vite che avrebbe stroncato per una causa maggiore. Continuava a ripeterselo, eppure il suo umore non migliorava. Le sue mani intrise di sangue sarebbero rimaste per sempre le mani di un assassino, indipendentemente dalla sua volontà.
"Una vita in più o in meno non fa differenza."
Si aggrappò febbrilmente a tale convinzione, la recitò dentro di sé numerose volte fino alla nausea, così da sconfiggere quella parte di se stessa che ancora cercava di opporsi agli ordini insensati di Lysandra, ordini che di certo un giorno avrebbero polverizzato tutti i sacri giuramenti che aveva fatto come Cavaliere.
Si chiuse velocemente il corpetto e uscì dalla camera in punta di piedi. La casa era silenziosa e, a parte i soliti cigolii, non percepiva alcun suono provenire dalle altre stanze, salvo i respiri regolari degli altri inquilini. Scese le scale lentamente, diretta verso la porta d'ingresso: se fosse andata via, forse quel senso di oppressione l'avrebbe finalmente abbandonata e sarebbe riuscita ad ideare un piano concreto, grazie al quale sarebbe stata in grado di portare a termine la sua missione senza incidenti. O almeno così sperava.
- Siamo mattinieri, eh? -
Sobbalzò per la sorpresa e impallidì, mentre il cuore le schizzava in gola.
- Tranquilla, mica ti mangio. -
Copernico sbucò fuori dalla cucina con in mano una tazza fumante. A giudicare dall'odore doveva trattarsi di un infuso alle erbe, anche se il colore verdognolo non era particolarmente invitante.
- Sì. - si stiracchiò ostentando una calma che non provava, - Non sono una che dorme molto. -
- Oh, immagino. - sorseggiò il liquido bollente, ma immediatamente contrasse la faccia in una smorfia disgustata, - No, d'accordo, lo fa meglio mia moglie. Avevo intenzione di offrirtene un po', ma non vorrei pensassi che voglia avvelenarti. - ridacchiò divertito.
Indossava una tunica blu scuro, chiusa in vita dalla stessa cintura elaborata che portava il giorno precedente. Un medaglione recante uno strano simbolo era adagiato sul petto e oscillava ad ogni suo passo e i capelli neri erano legati in una coda che gli accarezzava una spalla.
La sera addietro Airis aveva avuto modo di osservarlo da vicino e ancora non riusciva a capacitarsi del motivo per cui Lysandra lo volesse morto. Anche se stava indagando su di lei, le sarebbe bastato poco per depistarlo. Insomma, per quale ragione un Lich avrebbe dovuto temere un essere umano, benché esperto di magia?
"E' davvero così potente come dice?"
Inclinò la testa e lo squadrò meglio per capire cosa potesse aver allarmato Lysandra talmente tanto da ordinarle di toglierlo di mezzo, e pure con una certa urgenza.
- Ho qualcosa in faccia? - le chiese il mago, toccandosi il viso con espressione dubbiosa.
- No, no! È che... - si morse il labbro, cercando le parole giuste, - ecco, mi chiedevo come fai a sapere tutte le cose che mi hai rivelato ieri. Ho incontrato molti maghi nella capitale e tu... mi sembri così giovane... -
Copernico inarcò un sopracciglio, ma pochi istanti dopo scoppiò a ridere. Airis inarcò un sopracciglio, stranita dalla sua reazione. L'uomo le fece cenno di seguirlo in soggiorno e andò a sedersi sulla sedia dove aveva preso posto la sera prima. La guerriera esitò, ma poi si accomodò di fronte a lui.
- Ah, non ti ho chiesto se vuoi qualcosa per colazione. Forse sono rimasti un paio di biscotti o una fetta di torta alle more. -
Airis scosse la testa: - No, grazie. Non ho molta fame.-
Copernico la fissò perplesso. Un secondo più tardi si alzò, si diresse in cucina e prese dalla credenza un piatto di biscotti con l'uvetta, che posò al centro del tavolo. Tornò a sedersi con aria pacifica e indicò il piatto alla sua ospite.
- Beh, chissà che poi non ti venga la tentazione di assaggiarne uno. - ammiccò bonario, poi ne rubò uno e cominciò a masticarlo con gusto, - Buoni. Uhm, tornando a quello che mi hai chiesto... non pensare che i maghi siano tutti vecchi e barbuti come quelli delle favole. Non sono molti i giovani che decidono di votare la loro vita all'arte magica, soprattutto perché tra gli umani è raro trovare gente con questa predisposizione. Però ce ne sono. - afferrò un altro biscotto e lo spezzò in due con aria meditabonda, - Pochi, ma ce ne sono. -
- E tu sei uno di questi. - affermò Airis, appoggiando i gomiti sulla superficie di legno del tavolo per osservarlo meglio.
- Non proprio. - borbottò, pulendosi la veste dalle briciole che vi erano cadute sopra.
"Non capisco... non ha senso uccidere una persona così normale. Un mago sconosciuto che vive in una cittadina remota di Esperya non può rappresentare un pericolo per Lysandra."
- Comunque, effettivamente non assomiglio molto a un mago, non posso darti torto. Il mio nome è sconosciuto e alla capitale, anche se cerchi negli albi dei maghi, non troverai traccia di me. - i suoi occhi azzurri si posarono su di lei e le scoccò un sorriso sghembo, - Ma scommetto che se ti faccio il nome di Xerxas Ascrocell, qualcosa ti viene in mente... -
Airis lo fissò corrucciata: - Sì, ho sentito parlare di lui. Secondo molti era il più grande e potente mago della capitale cinquant'anni fa. Ma questo cosa c'entra? -
Copernico sorrise di nuovo e si mise in piedi, toccandosi il petto all'altezza del cuore. Una luce bianca guizzò nelle sue iridi e, sotto la faccia sbalordita di Airis, il suo aspetto cambiò: le orecchie si allungarono verso l'alto, diventando più appuntite e sporgenti, mentre i capelli si schiarirono, tingendosi di un colore argenteo, simile a quello dell'acciaio. Infine, due occhi cremisi si posarono su di lei. La guerriera si allontanò di scatto e istintivamente portò la mano al fianco, alla ricerca della spada, ma le sue dita strinsero il vuoto. Copernico non era umano, era un elfo! Un elfo pure piuttosto famoso, anche se non per i suoi meriti.
- Non è possibile... tu sei quel Xerxas Ascrocell...? - balbettò frastornata.
Copernico sorrise, divertito dalla sua reazione: - Siediti, siediti. Sembra quasi che tu abbia appena visto un fantasma. -
Si accomodò di nuovo e la invitò con un cenno del capo ad imitarlo. Notando che Airis rimaneva imbambolata ad ammirarlo, esalò un sospiro, si passò una mano sul volto e scosse la testa.
- Posso spiegarti tutto, stai tranquilla. -
Lei lo squadrò diffidente, però alla fine la curiosità di sapere perché uno degli uomini più importanti del regno fosse lì, di fronte a lei, ebbe il sopravvento.
Restarono in silenzio per alcuni istanti, studiandosi l'un l'altra, finché il mago non prese la parola.
- Spero tu abbia tempo, perché sarà una cosa un po' lunga. Ma credo che a quest'ora del mattino tu non abbia molte faccende da sbrigare. -
- Oh, no, no. Anzi, sono proprio curiosa di conoscere il motivo per cui un traditore si sia mostrato ai miei occhi. - ringhiò di rimando.
Airis si appoggiò allo schienale della sedia, incrociò le braccia al petto e gli regalò un'occhiata ostile. Copernico schioccò la lingua, ma, vedendo che la guerriera non accennava a cambiare il suo atteggiamento di palese astio, decise di non indugiare oltre.
- Sono sicuro che ne sei già al corrente, ma nel regno di Esperya non esistono solo popoli di razza, per così dire, "pura". Anche se solo in alcune zone isolate, determinati popoli si sono mischiati tra loro e dalla loro unione sono nati dei bambini che non si possono classificare come semplici umani, nani o elfi. Sono creature a metà, ibridi, a cavallo tra i due mondi dai quali provengono. La capitale non li ha mai perseguitati, anche se non ha mai neanche incoraggiato l'unione tra le varie razze. Nessuno ama dirlo esplicitamente, però si sa che alla gente non è mai piaciuta l'idea di avere dei "mezzo sangue" in giro per le strade delle loro città. - serrò le labbra in un sorriso amaro e scrollò le spalle.
Avendo vissuto per molto tempo a Sershet, Airis sapeva che il mago diceva il vero. Nonostante l'apparente tolleranza, gli organi più influenti della città si erano asserragliati sui loro vecchi privilegi, disprezzando tutti coloro che avevano tentato di portare una ventata di novità. La caccia all'ibrido era pratica comune, per quanto barbara.
- Tuttavia, questi esseri "impuri" ci sono sempre stati. Per lo più venivano lasciati vivere in pace e il Consiglio dei cinque Cavalieri non ha mai preso provvedimenti ufficiali, accettando la loro presenza con una certa riluttanza. Tuttavia, solo i bastardi di una certa razza non venivano tollerati. - alzò lo sguardo su di lei e nei suoi occhi Airis intravide una grande tristezza, - Costoro erano i figli degli "sporchi" elfi. Non era pensabile che un umano provasse amore per un essere "inferiore", pericoloso, misterioso, capace di piegare la natura ai propri scopi attraverso l'uso della magia. Già all'epoca, i rapporti tra i due popoli erano molto tesi e la nascita di bambini ibridi non fece altro che spingere il Consiglio dei cinque Cavalieri a desiderare di ripulire il territorio da tutti quelli che rispondevano alla descrizione dei "Ferirael", i mezzelfi, individui caratterizzati da capelli argentei e occhi color sangue. -
La guerriera rimase interdetta. Aveva sentito raccontare quella brutta storia da alcuni suoi superiori, quando ancora era una recluta, ma pensava fossero solo dicerie.
- Difficile da credere, eh? È arduo concepire che un orrore simile sia stato perpetrato da coloro che tu continui a servire, eppure è così. L'unica mia fortuna è stata quella di nascere in una famiglia nobile. Mio padre mi ha sempre appoggiato durante la mia ascesa politica, mi ha sempre protetto. -
Agguantò l'ennesimo biscotto dal piatto e cominciò a mangiucchiarlo, puntando lo sguardo su un punto imprecisato alle spalle di Airis.
- E quando finalmente sono diventato un membro del Consiglio del re mi hanno accusato di averlo ucciso. -
- Perché, non l'hai fatto forse? Tutti i peggiori traditori affermano di essere innocenti. - sbottò brusca, senza celare una vena di sarcasmo nella voce.
Copernico si esibì in una smorfia e la sua espressione si fece cupa e scostante: - Non ho motivo di negare le mie responsabilità dopo così tanti anni. Sejrel Varaldien non era solo il mio sovrano, era anche un amico. Io... l'ho visto morire senza avere la possibilità di fare nulla. Mai gli avrei fatto del male. Mai. -
Airis si tormentò una ciocca di capelli rossi, assorta nelle proprie riflessioni. Era assurdo.
"Mi sembra che, da quando sono tornata in vita, ogni cosa abbia preso una piega davvero originale."
- Ipotizzando che quello che mi stai dicendo sia la verità, - esordì, cercando di mantenere un tono calmo e controllato, - non capisco perché tu me lo abbia rivelato. Potevi rimanere nascosto in questo paesino dimenticato dagli dei e vivere una vita serena, senza più ficcare il naso negli intrighi di corte. -
Copernico picchiettò le unghie sul tavolo e le scoccò un'occhiata gelida. D'un tratto, del calore che aveva addolcito i suoi lineamenti sino a quel momento non v'era più traccia.
- Il compito di un Consigliere consiste nell'aiutare il proprio re a costruire un regno prospero, dove il popolo possa vivere in armonia con le altre razze. Sejrel fece molto per Esperya, tentò in tutti i modi di far sì che elfi, umani, nani e tutte le altre creature riuscissero a convivere gli uni con gli altri. Molti credettero in lui e nel suo sogno di vedere finalmente tutte le terre unite sotto un solo vessillo. Ma quella donna, Elladan, gli portò via ogni cosa, persino la volontà di combattere per ciò a cui teneva di più al mondo. -
Airis inclinò la testa di lato corrugando la fronte, ma l'altro parve non accorgersene.
- Tu sai chi è Elladan di Sheelwood? - le chiese.
La guerriera scosse la testa, anche se quel nome invece le era assai familiare, visto che se ne parlava nel diario di cui era entrata in possesso.
- Era una delle più grandi e abili arciere delle fila elfiche. Nelle sue vene scorreva il sangue di Arawan, il grande re elfico che sconfisse Aaesir, il re dei Drow, nella battaglia sulle pianure del Rashar. Venne data in sposa al capo sacerdote del tempo, un elfo di nome Haldamir. Nessuno allora seppe spiegarsi come mai una guerriera bella e di stirpe regale come lei avesse deciso di accettare di convolare a nozze con un sacerdote, per quanto illustre. Ma, sai, a volte l'amore è cieco... -
Le lanciò un'occhiata eloquente, ma Airis non colse il sottinteso, poiché stava riflettendo su ciò che Copernico le aveva appena raccontato. Si morse il labbro inferiore, nervosa, mentre un brivido freddo le correva lungo la schiena.
- Elladan di Sheelwood diede alla luce una bambina. - proseguì il mago, - La piccola Aiwen era la gioia di entrambi i genitori e, non appena nacque, Haldamir pregò la moglie di non andare più in missione, nel timore che potesse accaderle qualcosa. Lei accettò e si ritirò dalla vita militare, dedicandosi anima e corpo a crescere la figlia, addestrandola nell'arte della guerra e iniziandola alla magia della natura. Non era raro vederle assieme mentre si allenavano o passeggiavano per la foresta. La loro somiglianza era più che evidente e, quando Aiwen crebbe, non era raro che venissero scambiate per sorelle. La bambina aveva ereditato gli stessi capelli biondi e i medesimi occhi azzurri della madre, così come la carnagione chiara, i lineamenti delicati e l'eleganza nel portamento. Erano entrambe così belle da sembrare delle dee lunari. Per uno come me, una creatura a metà tra due mondi, era inconcepibile l'idea di poter riuscire a stringere un legame con loro. Eppure sia Aiwen che Elladan mi trattarono da subito come uno di loro, regalando a me e a mia madre un affetto e un calore che ho sperimentato di nuovo solo quando ho conosciuto la mia dolce Margharet. -
Riaprì le palpebre e per un istante ad Airis parve di vedere un velo di lacrime ricoprire quelle iridi scarlatte.
- Poi, un giorno, Elladan scomparve. Da allora non si seppe più niente di lei. Haldamir la cercò disperatamente, appellandosi persino agli ex commilitoni della donna, ma le loro ricerche si rivelarono vane. Era come se fosse stata inghiottita nel nulla. -
Fece una breve pausa e sospirò passandosi la mano sulla fronte, tormentato dai ricordi. Scostò con un gesto secco una ciocca argentea che gli era caduta davanti al viso e lasciò vagare lo sguardo per la stanza.
- Trascorsero all'incirca tre mesi, durante i quali il sacerdote continuò a battere la foresta, senza mai darsi per vinto, ignorando le voci che ormai la davano per dispersa. Anche la famiglia di mia madre partecipò alle ricerche. Poi, quando molti stavano per gettare la spugna, Elladan tornò con l'arco da guerra rotto sottobraccio, le vesti stracciate e sporche e gli occhi spenti, vuoti come quelli di un cadavere. Raccontò di essere uscita di casa, quel fatidico giorno, perché le era parso di sentire delle voci di uomini poco distanti dal Signore della Foresta, così era andata a vedere. -
Si stropicciò gli occhi, forse per tergersi le lacrime. Rivangare quelle memorie lo stava mettendo a dura prova e la sua voce aveva cominciato a tremare già da qualche minuto, facendosi più incerta. Inoltre, mentre narrava la storia, Copernico aveva preso a fare sempre più pause, segno che non trovava affatto piacevole discutere di quegli avvenimenti.
- Dalla sua versione, venne fuori che era caduta in un'imboscata e che degli uomini avevano abusato di lei per giorni interi. Una volta stufati, l'avevano abbandonata in uno stato pietoso e lei aveva vagato sola nella foresta, cercando un modo per nascondere il seme che era germogliato nel suo ventre dopo la violenza. Tuttavia, dopo giorni di vagabondaggio era tornata, vinta dal desiderio di rivedere i suoi cari. -
Un brivido corse lungo la schiena di Airis: - Mi stai dicendo che era...? -
- Già. - Copernico si alzò e si avvicinò alla finestra, intrecciando le dita dietro la schiena, - Alla fine, decise di partorire quel figlio, ma quando lo strinse tra le braccia gli diede un nome crudele, un nome che significa "colui che distrugge": Ledah. -
La guerriera sbarrò gli occhi e avvertì le viscere contrarsi dolorosamente: - Le circostanze della sua nascita sono orribili... non avrei mai immaginato che... -
Durante le spedizioni a cui aveva partecipato aveva assistito a violenze d'ogni genere, ma il solo pensiero che l'elfo fosse venuto al mondo in quel modo la faceva rabbrividire.
Copernico scosse la testa, si umettò le labbra e osservò le leggere goccioline d'acqua che si infrangevano e scivolavano lungo il vetro della finestra. All'esterno si era scatenato un temporale e la stanza era piombata in una semioscurità, un grigiore che gettava sull'ambiente un alone grigio e cupo.
- Ancora oggi mi chiedo il perché di un tale nome. Il piccolo era innocente, non era sua la colpa per ciò che quei bruti avevano fatto a sua madre. -
Il mezzelfo aveva uno sguardo assente e Airis non poté non chiedersi per quanto avesse portato sulle spalle il peso di quei ricordi. La sua faccia era una maschera di totale impassibilità, che in qualche maniera lo faceva sembrare più vecchio, logorato nel corpo e nell'anima dai segreti che era stato costretto a seppellire in fondo a se stesso.
- Comunque, prima che mio padre mi portasse alla capitale, successe qualcosa in quella famiglia, qualcosa che rese grande e venerato Haldamir, tanto da essere soprannominato "Il Salvatore". Purtroppo non ebbi tempo per indagare sulla questione, ma sentii delle voci che tacciavano Elladan di tradimento e che c'era solo una possibile fine per una donna come lei... ma a quale fine si riferivano? -
- Quindi... Elladan morì? - chiese un po' titubante Airis.
- Lo pensai. Non seppi mai cosa accadde veramente, ma doveva essersi macchiata di un grave reato, perché nei giorni precedenti alla mia partenza non udii nemmeno un canto funebre in suo onore. Era come se tutti volessero dimenticare che fosse esistita. -
Airis sbuffò e si massaggiò le tempie nel tentativo di immagazzinare tutte le informazioni che Copernico le aveva riversato addosso. La testa le doleva e faticava a mettere insieme tutti i tasselli di quell'immenso mosaico. Ma doveva, voleva sapere. C'era ancora qualcosa che non le aveva detto, un particolare importante che le avrebbe permesso di afferrare il nesso tra l'elfa Elladan e il demone Lysandra. Lo studiò di sottecchi e notò che la stava fissando con un'intensità inquietante, come se avesse già intuito ciò che lei voleva domandargli.
- Ti stai chiedendo perché ti ho raccontato tutto questo, giusto? - la interrogò senza interrompere il contatto visivo.
- Sì. -
- Elladan non è morta. L'ho vista con i miei stessi occhi a palazzo, cinquant'anni fa, alla destra del mio sovrano, mentre si aggrappava al suo braccio e camminava al suo fianco come se fosse la sua regina. - sibilò e la sua figura si irrigidì, quasi cercasse di trattenere una furia cieca, distruttiva, - Si faceva chiamare Lysandra, all'epoca. Era... era la donna più bella che fosse mai giunta a corte e nessun uomo poteva resistere al suo fascino "esotico", così simile a quello delle elfe. Per quanto difficile da credere, per quanto, in un certo senso, fosse diversa, senza dubbio era lei, era la stessa Elladan che da bambino avevo visto insieme ad Haldamir, la medesima arciera di cui i bardi decantavano le gesta. Stessi lineamenti delicati, stesse labbra carnose, stessi capelli color della cenere. Solo gli occhi erano cambiati: azzurri, ma con una sfumatura sanguigna. -
A quelle parole Airis sussultò, mentre percepiva il sudore bagnarle i palmi delle mani: - Mi... mi stai dicendo che la donna che poi divenne la regina di Esperya, e che lo è tutt'ora, è un'elfa? Cioè, è Elladan? Capisco perché abbia deciso di cambiare nome, ma... è assurdo! Perché non se n'è mai accorto nessuno? Come è riuscita a passare inosservata per tutti questi anni? Non l'ho mai incontrata di persona, ora che ci penso... -
Se Lysandra era Elladan e anche la regina, l'intera faccenda era più complicata di quanto immaginava.
"Accidenti, sono la schiavetta della regina..."
- Non è più un'elfa, ma un Lich. A differenza dei non-morti, che non hanno un'aura in quanto non sono in grado di usare la magia, i Lich sono più simili a demoni. Quando mi imbattei in lei, percepii subito la sua magia oscura, che lasciava fluire intorno a sé come se niente fosse. Ogni giorno avvertivo i suoi sguardi carichi di derisione sulla pelle. Sapeva che l'avevo riconosciuta, ma non mi temeva, perché se avessi tentato di sollevare la corte contro di lei, avrebbe svelato la mia identità di mezzelfo e allora nemmeno il re avrebbe potuto proteggermi. Sarei stato giustiziato senza neanche un processo. - esalò a mezza voce.
Accavallò le gambe e si spostò una ciocca argentea dietro l'orecchio.
- E' stato per causa sua che è scoppiata questa maledetta guerra. -
- Per causa sua? Non sono stati gli attacchi elfici alle città di confine? - Airis lo fissò interdetta.
- No. Quella è stata solo una scusa che vi è stata propinata per indurvi a prendere le armi. Inoltre, nutro seri dubbi che il popolo elfico abbia veramente attaccato quelle città. Lysandra, cioè Elladan, voleva lo scontro ed era disposta a tutto pur di ottenerla. È stata lei ad uccidere Sejrel e poi si è sbarazzata di me, convincendo tutti che ero io il colpevole. Poi, una volta sul trono, si è risposata con l'attuale re, un sempliciotto incapace persino di allacciarsi i sandali. -
- A-aspetta... - la guerriera protese le mani avanti per zittirlo, - Anche se fosse, ripeto che mi sembra impossibile che nessuno si sia accorto di nulla! Un Lich non può invecchiare e dall'inizio della guerra sono passati più di cinquant'anni. A quest'ora dovrebbe avere l'aspetto di una vecchia! -
Copernico alzò un sopracciglio, squadrandola da capo a piedi, poi rispose pacato: - Tra gli umani ci sono ben poche persone in grado di padroneggiare la magia. Come io ho celato il mio aspetto per tutto questo tempo, anche lei lo ha fatto. Inoltre, creare una copia di se stessi più anziana non è molto difficile, sai? -
"Per gli dei... sono agli ordini della donna che ha fatto scoppiare una delle guerre più sanguinose della storia di Esperya. È un incubo, vero?"
- Come faccio a sapere che mi stai dicendo la verità? - chiese ad un tratto con palese diffidenza.
- Ti ho appena raccontato tutta la mia vita, senza celarti nulla. -
- A-ah... quindi io dovrei crederti sulla parola. - schioccò la lingua e storse il naso, - Sai, non mi viene particolarmente facile dare la mia fiducia ad un uomo che, fino a qualche minuto fa, ritenevo essere il peggiore traditore del regno. -
Egli sorrise accondiscendente: - Ti servono altre prove? -
- Voglio solo essere sicura. -
Copernico si alzò e si accostò a lei: - E sia, Cavaliere del Lupo. Ti mostrerò cosa è successo quel giorno di cinquant'anni fa. -
Le afferrò la testa con fermezza e fissò gli occhi nei suoi. La guerriera rimase immobile, mantenendo il contatto visivo. Per alcuni momenti non accadde nulla e pensò che l'altro volesse solo spaventarla. Poi la realtà sfumò e davanti a lei si dipinsero le immagini di quello che era accaduto, ciò che Copernico aveva visto e non era riuscito a fermare.
Vide la camera privata del sovrano, con quadri enormi appesi alle pareti e arazzi di pregiata fattura. Vide Lysandra, il suo corpo fasciato da un abito nero come la notte, mentre calava la lama nella schiena di Sejrel Varaldien. Si guardò intorno alla ricerca di Copernico, chiedendosi perché non fosse lì ad aiutare il suo re, quando a un tratto lo scorse riverso a terra, a pochi metri di distanza, con le braccia bloccate sul pavimento da delle catene nere. Egli assisté impotente alla scena e guardò con occhi pieni di dolore e disperazione il giovane re contorcersi nei suoi ultimi spasmi di vita, la bocca schiusa in un grido di supplica. Non appena il corpo cadde a terra, insieme al pianto sommesso del mezzelfo Xerxas Ascrocell riecheggiò anche la risata di trionfo di Lysandra.
All'improvviso le visioni svanirono e intorno ad Airis si delinearono nuovamente i contorni del soggiorno. Copernico aveva ritirato la mano e adesso la fissava, in attesa.
La guerriera sbatté le palpebre e annuì debolmente. Il mago sorrise e si risedette di fronte a lei.
- Non è stato per niente bello... - commentò, massaggiandosi le tempie.
Aveva l'impressione che la testa potesse scoppiarle da un momento all'altro, la sentiva pulsare senza sosta e fitte lancinanti le attraversavano il cervello, talmente forti da sembrare le unghiate feroci di una belva.
- Lo so, ma era l'unico modo per dimostrarti che non stavo mentendo. Inoltre, ho un favore da chiederti. -
La ragazza lo studiò con aria interrogativa.
- Vorrei che ti prendessi cura di Ledah. Non devi permettere che cada nelle grinfie di Lysandra. -
- Per-perché? -
- Perché quell'elfo è la chiave di tutto. È suo figlio e ha dentro di sé un grande potere, un potere oscuro e distruttivo. Scommetto che pure tu te ne sei accorta. -
Airis annuì, sentendosi per la prima volta profondamente a disagio al cospetto dell'arguzia e della sensibilità di quel mezzelfo. Ledah aveva passato sotto silenzio la sua perdita di controllo ad Alfheim, eppure Copernico era già al corrente di tutto, forse lo era sempre stato. Allora comprese come mai Lysandra lo voleva fuori dai piedi: era troppo intelligente e conosceva troppe cose per essere lasciato in vita.
- Se Ledah cadrà nelle sue mani, probabilmente per Esperya sarà la fine. - aggiunse sporgendosi verso di lei, d'un tratto ansioso, - Non devi permetterglielo, Airis. Rimangono molti interrogativi, ma sono certo che Lysandra sia la diretta artefice dell'esplosione che ha raso al suolo Llanowar. -
- E... cosa dovrei fare? Difenderlo a spada tratta? - domandò sarcastica.
- No, voglio solo che tu lo protegga. Se i demoni dovessero nuovamente attaccare, fa' in modo che non lo catturino. E' di vitale importanza che lui si salvi. -
Airis rimase perplessa di fronte a quella richiesta. Non poteva rifiutare quell'incarico, non ora che sapeva quanto Ledah giocasse un ruolo fondamentale nei piani di Lysandra. Non che prima fosse ignara di tutto, aveva capito che l'elfo le serviva per un rito allo scopo di riportare in vita Aesir, ma ora tutto stava cominciando a farsi chiaro. D'altro canto, doveva assolutamente adempiere alla missione che il Lich le aveva affidato, se voleva restare viva. Strinse i pugni, divisa tra ciò che riteneva giusto fare e la paura di quello che le sarebbe accaduto se non si fosse sbrigata a uccidere quel mago.
"In qualunque caso, non posso allontanarmi da Ledah. Lysandra vuole che la sua anima si danni a sufficienza per il rito."
Sospirò, alternando lo sguardo tra Copernico e la finestra. Stirò le labbra in un tenue sorriso, mentre un'idea si faceva strada in lei.
- E sia. Proteggerò Ledah. - dichiarò decisa.
- Grazie. - sorrise il mago.
- Certo che sei strano... accogli in casa il figlio di un Lich e cerchi di proteggere un reame che ti ha ripudiato. Perché? -
Copernico sbatté le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di elaborare le sue parole.
- Vedi, non si è Consigliere del re solo quando si indossa una stola purpurea e ci si esibisce in un'arringa davanti ad altri illustri colleghi. - gli occhi e i capelli si scurirono, di nuovo mascherati dall'illusione della magia, - Quando si ricopre un ruolo così importante è per tutta la vita, capisci? Sono doveri che anche a distanza di anni senti ancora come parte integrante di te. Certo, non ho mai calpestato i campi di battaglia e non ho mai avuto un omicidio sulla coscienza, ma ho affiancato il mio sovrano in ogni suo passo sostenendolo nella lotta contro le serpi della capitale, coloro che opprimevano i più deboli per un tornaconto personale o che alimentavano l'odio, allargando ancora di più la voragine che separa i vari popoli. In tutti questi anni ho continuato a proteggere Esperya nell'ombra, perché questa è la mia terra, la stessa terra che un giorno sarà delle mie figlie e dei loro discendenti. Non voglio che i miei nipoti soffrano ciò che ho patito io, non voglio che nascano in mezzo agli orrori della guerra e che debbano sacrificare i loro sogni per arruolarsi e andare a morire. Non mi interessa se in ogni angolo del regno sono considerato un traditore, non mi interessa se il mio nome è stato infangato dall'infamia. Desidero solo realizzare il sogno in cui Sejrel credeva, per dare un futuro a tutte quelle persone che tra uno, dieci o cento anni cammineranno sotto il cielo di Esperya. Questo è il compito di un Consigliere del re, questo è il mio compito. -
Airis rimase di stucco. Non aveva mai incontrato un uomo così devoto, così determinato a portare a termine un incarico. Lo guardò con nuovi occhi, traboccanti di stima e ammirazione. Si alzò in piedi e rimise a posto la sedia, sorridendo dietro le ciocche rosse che le incorniciavano il viso. Copernico era veramente una persona straordinaria.
- Quindi sei tu che hai sempre protetto Luthien dalle incursioni umane ed elfiche?-
Il mago annuì: - Anche se sono stato costretto a ritirarmi, sono pur sempre un mago e dentro di me sono rimasto un Consigliere. Per fartela breve, so come trattare con gli alti capi dell'esercito come con quelli del governo. In più ho stipulato un patto con gli elfi, quando sono giunto qui. Ho fatto in modo che non si avvicinassero alla città, nonostante essa si trovi ai confini meridionali della foresta di Llanowar. Così, quando è scoppiata la guerra, Luthien è stata risparmiata. -
- E non hai mai temuto che qualcuno sospettasse qualcosa sulla tua identità? Girano molte guardie del re in queste terre. -
- Anche se fosse, nessuno ricorda le fattezze del mio viso. Sono passati molti anni dal giorno in cui ho lasciato la corte e altrettanti da quando hanno smesso di braccarmi, dandomi per morto. Se adesso vado in giro per le strade, vedo solo soldati giovani, arroganti e pieni di sé. Nessuno mi ha mai riconosciuto. E nel caso decidessero di trasformare questa città di pescatori in un avamposto militare, userei qualche precauzione in più, ma non ho intenzione di abbandonare i suoi abitanti. Desidero preservare e proteggere Luthien a tutti i costi, anche perché qui ci vive la mia famiglia. È la nostra casa. -
Airis lo squadrò piacevolmente colpita.
- Ahh, mi sono lasciato andare alla vecchia dialettica, eh? - ridacchiò grattandosi la nuca, - Alcune abitudini sono proprio dure a morire. -
La guerriera sorrise: - Forse. Comunque, hai troppa fiducia nell'umanità. -
L'altro inarcò un sopracciglio, confuso: - Perché dici questo? -
- Beh, chi ti dice che io non sia una spia di Sershet venuta a trascinarti di fronte al Consiglio? -
- Lo sei? - la stuzzicò.
In un istante il viso di suo padre si sovrappose a quello di Copernico e Airis ebbe un tuffo al cuore.
- Non credo che ne saresti capace. - rispose il mago al suo posto e le mise una mano sulla spalla, facendola sussultare.
- Come fai ad esserne certo? -
Le regalò un altro sorriso pieno di dolcezza. Airis notò che Copernico aveva assunto la medesima espressione serena che tempo addietro il suo caro padre era solito assumere in sua presenza.
- Io lo vedo. Tu non sei come gli altri Generali e politici, uomini assetati di potere e pronti a tutto per saziare la loro avidità. I tuoi sono occhi come quelli di chi ha conosciuto il dolore da vicino, di chi sa cosa significa essere incolpati di qualcosa di cui non si è responsabili. Il Consiglio mi ha accusato di aver ucciso il mio sovrano, l'uomo che più di tutti si era battuto per far sì che in questa terra, lacerata dall'odio e dalla paura, tornasse la pace. E io credo che la stessa cosa sia successa a te. Chiamiamola pure empatia. -
Si allungò verso di lei e le sfiorò la guancia, accarezzando le leggere abrasioni intorno alle palpebre.
- Dimmi, Airis, chi sei tu? Cosa ti è capitato di tanto brutto da costringerti a sotterrare la tua vera identità, come ho fatto io e come fece Elladan? -
La guerriera scattò indietro come se si fosse scottata e rabbrividì. Aveva abbassato la guardia e Copernico, grazie al suo intuito, ne aveva approfittato per sbirciare dentro di lei. Era stata incauta.
Rimasero entrambi a guardarsi negli occhi per un tempo interminabile. Poi il mago fece spallucce e con noncuranza prese un altro biscotto.
- Un giorno spero me lo racconterai. Ora scusami, devo andare a prepararmi per la partenza. -
- Parti? E dove hai intenzione di andare? - chiese sudando freddo.
Se Copernico si fosse allontanato per troppo tempo, Lysandra non ne sarebbe stata affatto contenta.
- Mi dirigerò verso sud, da un amico che ha un certa dimestichezza con i catalizzatori magici. Lui mi saprà sicuramente dire qualcosa di più sul frammento che mi avete portato. - abbozzò un sorriso sghembo, - Tranquilla, non ti lascio nelle mani di Melwen per troppo tempo. Sarà una cosetta veloce. -
- Non ci so fare con i bambini... - sbuffò.
Prima che potesse aggiungere altro, il mago si avviò verso le scale, sparendo alla vista. Airis si appoggiò al muro e scivolò verso il basso, nascondendo il viso tra le mani e cercando di scacciare l'immagine degli occhi del padre, così simili a quelli del mago. Quel mago che, di lì a poco, avrebbe dovuto trovare il coraggio di uccidere.
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