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"Sono un uomo fortunato." stava pensando Cristian spostando il peso da un piede all'altro agitato. Si girò verso le sue sorelle in piedi accanto a lui e gli sorrise nervoso. Rachele gli fece la linguaccia per alleggerire la tensione, mentre Rebecca alzò gli occhi al cielo divertita dalla sorella.

Il vigile tornò indietro con la mente a sei mesi prima, al giorno dell'incidente in quella fabbrica. Era entrato senza pensarci due volte in quell'edificio in fiamme, a lui e alla sua squadra avevano comunicato di soccorrere alcuni civili nel seminterrato. Si ricordò ancora il calore che sentiva nonostante la divisa e la poca visibilità data dal fumo. Avevano sceso le scale alla cieca finché non avevano udito gridare. Senza pensarci un attimo lui e suoi compagni erano accanto a quei lavoratori. Sembrava stessero tutti bene cercavano solo di ripararsi naso e bocca con qualcosa per non respirare il troppo fumo. I vigili avevano subito coordinato l'evacuazione fornendo ossigeno a chi ne aveva più bisogno. E lì che sentirono il primo scoppio.

La scala crollò, si alzò un gran polverone e qualche pezzo di intonaco cadde dal soffitto. Le vie d'uscita erano tutte bloccate. Riuscirono a contattare l'esterno tramite le radio del loro equipaggiamento. Gli venne comunicato, cartine alla mano, che a qualche metro di distanza c'era una cella frigorifera che non veniva usata da anni dotata di un condotto d'areazione a parte che dava direttamente all'esterno. Confidavano che nonostante l'incendio fosse rimasta illesa e non contaminata dal fumo.

Riuscirono a trovare il posto indicato dai compagni e come da ordini rimasero lì in attesa dei soccorsi. All'interno, essendo rimasta sigillata, il calore ed il fumo non erano entrati, ma la ventilazione lasciava un po' a desiderare. L'impianto di aerazione non era stato costruito con la consapevolezza di dover provvedere ad almeno una ventina di persone, ma solo ad un gruppo di 2 o 3 alla volta.

E poi il secondo scoppio, ancora più forte del primo nonostante fosse attutito dalla pareti d'acciaio della stanza. Le comunicazioni con i compagni all'esterno cessarono improvvisamente. Inutili i tentativi di ripristinarli, non rimaneva altro che attendere.

Passarono le ore successive a passarsi le maschere d'ossigeno centellinando ogni respiro. Quasi 24 ore erano rimasti là sotto. Non tutti ce l'avevano fatta.

In quei momenti i suoi pensieri andarono tutti a Delia ed a Gaia. Ora che le aveva ritrovate era condannato a perderle di nuovo. Immaginò il dolore delle due donne alla notizia della sua morte. No, non poteva mollare. Ripensava anche alla sua famiglia, le sue sorelle, suo padre, sua madre... sua mamma, le sarebbe venuto un colpo. Lui era il piccolo di casa e sua madre gli era sempre stata particolarmente attaccata. Una classica mamma chioccia che adora il suo bambino a prescindere dall'età. Quante lacrime aveva versato quella donna quando lui le aveva comunicato la decisione di diventare un vigile del fuoco. "Torna sempre a casa." Si era raccomandata. E lui sarebbe tornato a casa. Lo doveva a lei ed a tutta la sua famiglia. Lo doveva anche a Delia ed a Gaia che era ancora troppo piccola per sopportare il dolore di una perdita.

Le immagini dei suoi cari gli avevano riempito la testa e non poteva fare a meno di pensare che tutte le persone che ora condividevano quell'esperienza orribile insieme a lui avevano qualcuno a casa che ne aspettava il ritorno.

E poi la luce... era salvo.

Studiando la piantina dello stabile, la sua squadra, avevano individuato quella stanza. L'unica in cui dei vigile ben addestrati avrebbe potuto portare le persone per aumentare le probabilità di sopravvivenza. E così era stato. Li avevano tirati fuori tutti. Prima i più gravi che necessitavano di cure, poi tutti gli altri. Lui era stato fortunatamente tra gli ultimi. A parte aver respirato un po' di fumo, stava bene. 

Vennero portati tutti in ospedale per dei controlli. Lui prego di arrivarci il prima possibile solo per poter rivedere ancora gli occhi nocciola che tanto amava. Non fece nemmeno in tempo a chiedere di lei, che l'amore della sua vita gli era saltato letteralmente addosso e lo aveva baciato. Aveva poi detto quelle magiche paroline che lo avevano fatto sentire ancora più vivo.

Era un uomo fortunato non c'erano dubbi.

I suoi colleghi lo avevano preso in giro per giorni, ma a lui non importava. Aveva lei ed ora avrebbero sancito il loro "si" davanti alle persone a cui volevano bene.

Suo padre e sua madre erano nei banconi davanti della chiesa, la donna lo aveva accompagnato all'altare e in quel momento si stava asciugando con un fazzolettino lacrime che non riusciva a trattenere.

Sono lacrime di gioia mamma, le uniche che ti lascerò versare.

Gaia fece il suo ingresso nella navata della chiesa con il suo vestitino bianco. Da un cestino lasciava cadere petali di rosa bianca sul pavimento mentre si avvicina a lui. La bambina gli sorrise raggiante, mentre la madre faceva il proprio ingresso.

In quel momento il mondo di Cristian smise di girare. Una luce, la sua luce, arrivava lentamente verso di lui. Tutto intorno a lui sembrò prendere vita improvvisamente. La chiesa nella penombra si riempì di colori sgargianti.

«Ti amo.» Le mimò lei, mentre sottobraccio della madre gli si avvicinava.

Lui le sorrise, non riuscendo a far altro senza perdere il controllo sui suoi condotti lacrimali. Quando arrivò davanti a lui, prima baciò sulla guancia la signora Renata, poi prese per mano Delia per condurla versa la loro nuova vita insieme. Una vita in cui lei sarebbe stata sua moglie.

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