«27»
Quando Delia rinvenne era ormai notte inoltrata. Sentiva ogni muscolo del suo corpo dolorante come dopo un'intensa attiva fisica. Aveva la gola secca e ogni volta che cercava di ingoiare sentiva della carta vetrata al posto della saliva. Ci mise una manciata di secondi per capire perché si trovasse su un letto d'ospedale con una flebo attaccata al braccio.
Cristian...
Il nome dell'uomo le apparì nella mente a caratteri cubitali, mentre i suoi occhi ritornarono ad inumidirsi. Si ricordò di essersi sentita male dopo il racconto del tenente Franco.
Cristian...
Chissà se erano riusciti a trovare i dispersi dalle macerie. Chissà se lui era ancora vivo. Non sapendo che altro fare si lasciò andare allo sconforto. Aveva finalmente trovato la felicità e ora gli veniva strappata via. Pregò che fosse tutto un incubo e che prima o poi si sarebbe svegliata nel proprio letto insieme al suo Cristian.
"Amo fare il vigile del fuoco, ma questo comporta dover affrontare spesso dei pericoli per salvare le persone e se c'è una cosa che ho capito in questi anni di servizio è come la vita possa essere sfuggente. Un attimo prima sei qui e quello dopo... Non abbiamo a disposizione un tempo infinito, quindi dobbiamo vivere ogni momento al massimo stando insieme alle persone a cui vogliamo bene. Non è forse questo il bello della vita, non sapere mai cosa ti riserva il futuro?"
Le parole del tenente Franco, durante il loro primo incontro, le tornarono prepotentemente in mente. Sentì gli occhi bruciare, forse non avrebbe più rivisto il vigile del fuoco. Non gli avrebbe avuto più la possibilità di parlargli. Si pentì di non avergli mai detto quel che provava per lui, non gli aveva mai espresso tutta la sua gratitudine. C'erano ancora tante cose che voleva dirgli e fare insieme a Cristian e forse non ne avrebbe mai più avuto l'occasione. Avrebbe dovuto cogliere l'attimo quando ne aveva l'opportunità. Avrebbe dovuto dirglielo che l'amava. Perché si, l'amava e anche tanto. Se fosse morto senza saperlo lei se ne sarebbe risentita per tutta la vita.
Mentre si crogiolava tra i "se" e i "ma" il sole cominciò a sorgere. Aveva ormai terminato tutte le lacrime quando qualcuno bussò alla sua porta.
«Avanti!» Esclamò la donna, mentre la parte più irrazionale di lei si immaginava l'entrata di Cristian vivo e vegeto. «Buongiorno dormigliona!» La voce di Francesca, la sua collega della reception, fece capolino prima della sua figura minuta. «Ciao...» Rispose l'altra, cercando di nascondere la delusione.
Stupida ingenua.
«Quando mi hanno detto che eri qui in osservazione, mi sono detta fra me e me: possibile che sia così stacanovista da voler passare pure la notte sul posto di lavoro?» Scherzò la collega accomodandosi sulla sedia vicino al letto di Delia. La donna cercò di farle un sorriso di cortesia, ma non doveva essere stato molto convincente vista l'espressione preoccupata con la quale Francesca la fissava.
«Sai se ci sono novità? Sull'incidente alla fabbrica... dei pompieri dispersi...» Chiese Delia flebilmente. Non aveva acceso la televisione in camera per paura di quel che avrebbe detto il telegiornale. Non era pronta a reggere una brutta notizia in quel momento, la voragine che sentiva in mezzo al petto l'avrebbe risucchiata. Non sapere però le sembrava quasi peggio.
Francesca le prese delicatamente la mano per confortarla. «Hanno estratto altri corpi, ma erano tutti operai. Dei soccorritori e delle persone che erano con loro al piano interrato nessuna notizia.» Spiegò lentamente accarezzandole la mano dolcemente. Delia sospiro rassegnata. Quante ore erano passate? Da quanto tempo il suo Cristian era sotto terra? Troppo ore, troppo tempo.
«Ehi!» La destò la collega dai suoi pensieri. «Non tutto è perduto, ok? Dicono che, prima che si interrompessero le comunicazioni, i vigili avessero trovato riparo in una zona sicura. Non devi smettere di sperare, almeno questo glielo devi.» La incoraggiò stringendole la mano. Delia annuì titubante. Il suo pessimismo cronico le impediva di sperare. Stava sprofondando nuovamente nello sconforto quando Francesca lasciò la sua mano per incrociare le braccia al proprio petto e guardarla severa. Istintivamente si girò ad osservarla per capire a cosa fosse dovuto quel comportamento.
«Quindi è questo che intendi fare?» La rimproverò alzando un sopracciglio. «Startene qui a poltrire mentre l'ospedale è pieno di pazienti che hanno bisogno di te e del tuo lavoro?» Aggiunse indicando la stanza stizzita. Delia la guardò sconvolta, non aveva mai considerato la donna una sua amica, ma nemmeno credeva potesse essere così insensibile. Cristian poteva essere morto, lei aveva almeno il diritto di soffrire, no?
«Il tuo uomo è entrato in un'edificio pericolante per salvare dei perfetti sconosciuti e tutt'ora è lì che cerca di tirarli fuori. Mentre tu che fai? Svieni?» L'accusò gesticolando. «No, Delia! Tu ora ti alzi e fai quello che sai fare meglio! Salvi vite!» Concluse. «Ma, io...» Delia non sapeva che ribattere.
«Niente "ma"! I vigili del fuoco rischiano la vita tutti i giorni e quando portano qua in ospedale le persone sanno che noi ci prenderemo cura di loro. Noi non rendiamo vano il loro sacrificio, capisci?» Francesca stava sfoggiando una grande dote da oratrice, in ogni parola esprimeva la propria convinzione, tanto che Delia non poté che trovarsi d'accordo. La receptionist notò il cambiamento negli occhi della collega.
«Ora ci siamo! Forza alza quelle chiappe e ributtati nella mischia!» Se avesse avuto dei pon-pon a portata di mano li avrebbe sventolati come una matta. Delia le sorrise rincuorata. Cercò di mettere da parte il suo pessimismo e si concentrò sul presente. Doveva aiutare quelle persone, le stesse che magari Cristian ed i suoi colleghi avevano tratto in salvo. Francesca aveva ragione, almeno questo glielo doveva.
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