Un fantasma

Quel mattino di fine settembre, quando il capo gli chiese di raggiungerlo nel suo ufficio, Alec non pose domande. Si alzò in silenzio ed eseguì l'ordine ricevuto.

I raggi di sole tiepido, che penetravano dalle ampie vetrate poste alle spalle del capitano, gli sferzarono lo sguardo all'istante, venando di smeraldi minuti i suoi occhi chiarissimi. Li strizzò leggermente, ma il volto rimase impassibile.

Scandagliò invece la stanza - con la maniera fulminea e discreta con cui misurava ogni cosa - trovandola immacolata come sempre, in singolare contrasto con l'atmosfera caotica che serpeggiava per l'intero distretto.

«Lightwood, entra e siediti.» 

Charles Leo Carter aveva rivolto le iridi d'acciaio verso la sagoma appena apparsa sulla soglia, sollevandole dalla scrivania in mogano ingombra di documenti. Da seduto, impregnava l'atmosfera circostante di autorità e della colonia decisa che era il suo marchio da sempre. 

Congiunse le dita sotto il mento, coriaceo come al solito, pronto a parlare non appena Alec avesse preso posto di fronte a lui.

«Stasera mi servi di turno. In borghese.»

«Agli ordini.» La voce di Alec non tremava mai in risposta al suo tono duro, e di questo Carter si compiaceva segretamente.

«Ti chiedo di non farne parola, è un'indagine riservata. Tienimi al corrente senza coinvolgere nessuno, siamo intesi?»

«Lo consideri fatto.»

Il superiore lo fissò: la sua espressione non tradiva esitazione, né impazienza. Attendeva quietamente, avvezzo a ricevere ordini, forse da prima che avesse memoria.

«Bene. Guarda qua.»

Gli porse lo schedario chiuso davanti a lui, senza aggiungere altro. Alec era lì da tempo sufficiente per intuire che il capo si sarebbe limitato a rispondere alle sue domande, senza rendergli le cose facili. Quell'uomo sfidava costantemente i propri detective: un addestramento continuo, che personalmente apprezzava e in cui generalmente non falliva. E non poteva fallire. Doveva dimostrare che la rapida promozione ottenuta fosse frutto esclusivo del proprio duro lavoro. A se stesso, innanzitutto. E a chiunque altro.

Aprì il fascicolo e ne scorse rapidamente il contenuto: una scheda anagrafica, documenti, svariate fotografie.

Lanciò un'occhiata fugace ai dati principali: "Magnus Bane, 34 anni, asiatico residente a New York, proprietario del Pandemonium Club". A quel locale si riferivano i numerosi rapporti stilati da Polizia e Vigili del fuoco: menzionavano presunti incidenti avvenuti negli ultimi sei mesi.

Erano decisamente troppi per essere imputabili al caso, a meno che l'uomo non fosse straordinariamente distratto. Ma neanche il più sprovveduto avrebbe infranto la vetrina o dato fuoco al portone d'ingresso della propria attività.

Sollevò per un istante lo sguardo, incrociando quello del capitano, e tornò a esaminare il materiale che aveva fra le mani. Si concentrò sulle foto. Ritraevano il locale e presumibilmente il titolare: scatti rubati in momenti diversi della sua quotidianità, da lontano.
Non l'ultima, però. In quella, il tizio compariva in primo piano, in abiti formali, forse ospite durante qualche serata di gala. Osservò con attenzione l'immagine e provò una sensazione inspiegabile.

«Mafia o cartello?» mormorò assorto, con la fronte aggrottata, nel tentativo di individuare la via d'accesso al caso.

«Non lo riconosci?» Carter non riuscì a trattenere la sorpresa.

Alec si limitò a scuotere il capo, gli occhi ancora fissi sulla fotografia.

«È uno degli uomini più ricchi dell'intera New York, possiede una catena di night club di lusso in tutto il mondo. La gente fa letteralmente la fila per entrare, ogni dannata sera.»

Sembrava troppo giovane per essersi fatto strada da solo, considerò Alec. Doveva essere uno di quei rampolli dell'alta società newyorkese, con la biografia contrassegnata dai privilegi.
Li conosceva, i tipi come lui.

Il capitano fece eco alle sue congetture: «Non sappiamo dove abbia trovato i soldi per mettere in piedi il suo impero, né come sia riuscito a fare fortuna. Stando alle informazioni in nostro possesso, non proviene da una famiglia ricca.»

Alec sollevò il capo con un lampo negli occhi. Era stato un guizzo fugace, quasi invisibile, ma forse non abbastanza.

«E scommetto che i suoi conti sono puliti.»

«Immacolati. È un filantropo, dona ogni anno decine di migliaia di dollari a diverse fondazioni.»

«Però questo non gli ha impedito di avere il locale trivellato di colpi. Ipotizza ritorsioni o aggressioni di altro genere?»

«Ho seguito personalmente i suoi movimenti negli ultimi mesi senza venirne a capo. È eccessivo, caotico, sregolato. Potrebbero esserci migliaia di ragioni.»

«E non ha intenzione di dirmi quali ha già scartato, non è così?»

Carter si lasciò sfuggire l'ombra di un sorriso, ma fu un attimo.

«Inizia a frequentare quel club, scopri a chi diavolo ha venduto l'anima per ottenere tanto successo e cerca di capire perché lo vogliono morto.»

«M-morto

L'altro lo inchiodò ancora con il suo sguardo, prima di rispondere.

«Gli incidenti sono avvenuti sempre negli orari di chiusura, e lui vive al piano di sopra. Dev'essere un bastardo fortunato, per uscirne incolume ogni dannata volta.»

Negli occhi del giovane detective Carter scorse un groviglio di ipotesi e qualcos'altro cui non riusciva a dare un nome.

«Non ha mai sporto denuncia, anzi ha subito fatto sparire eventuali prove. Si è limitato a... riarredare

Il tono di sottile dispezzo portò Alec a considerare quanto una personalità simile fosse distante dagli standard del capo, ma non commentò. 

«Scoprirò la verità, ci può scommettere.»

«Eccome se lo farai. Agisci come ritieni opportuno, ma tieni gli occhi aperti: quell'uomo è un narcisista convinto di essere il centro del mondo. È furbo e abituato a ottenere ciò che vuole, quando vuole. Se inizia a sospettare qualcosa, proverà a depistarti.»

«Non accadrà, glielo garantisco» replicò Alec, alzandosi.

Carter scrutò ancora una volta la rigidità della postura del giovane e, al contempo, la pacata forza che l'intera persona emanava.

«Ah, Lightwood, un'ultima cosa. Per cinque anni quest'uomo sembra essere letteralmente sparito dalla faccia della terra. Un fantasma.»

«Com'è possibile?» ribatté Alec, d'impulso.

«Questo è proprio ciò che devi scoprire.»

Eccoci all'inizio di un viaggio che spero saprà emozionarvi. Ricevere le vostre impressioni sarebbe un gran privilegio: se questa storia vive, è merito anche di chi continua a credervi.

La playlist di Fuoco e Diamante inizia con Closer dei King of Leons: un ritmo inquieto, come l'animo dei nostri personaggi.

Buona lettura a tutti!

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