Mostrami chi sei

Ricordate: manca un capitolo prima di "Mostrami chi sei".
Lo troverete presto disponibile.

Senza dire un'altra parola, Magnus lo condusse per mano al centro della pista, reggendo ancora il proprio cocktail con l'altra. E lui, divenuto creta a quel tocco, lo seguì.

L'uomo cominciò a muoversi a ritmo di musica, vicino, troppo vicino ad Alec, che si sentiva paralizzato. Restava lì fermo, con il cuore in gola, sperando di disintegrarsi all'istante. Maledetta indagine e maledetto lui. Voleva trovare la forza di allontanarsi da lì, dalle decine di occhi che sicuramente lo stavano guardando, additando, giudicando...
In guerra saresti già morto, idiota.
Eppure, come una falena irretita dalla luce, continuava a osservare lo spettacolo di quel corpo sinuoso da cui non riusciva a sottrarsi. Anzi. Con la guida esperta di Magnus, anche lui iniziò timidamente a muovere qualche passo incerto, e si sentì stranissimo.
Stava ballando.
Con un uomo.
In pubblico.

Con il passare dei secondi, si sentiva sempre più lontano da se stesso, dalla gabbia dei propri pensieri, dalla ferrea razionalità. Percepirlo così vicino era inebriante. Poteva sentire i suoi muscoli sodi attraverso i vestiti, sfiorare la sua pelle bollente, respirare sul proprio viso il caldo profumo del suo fiato che sapeva di menta e di alcool. Si sentiva impazzire.

Non aveva ballato così con nessuno, mai, e quello era indubbiamente l'uomo più sexy che avesse mai visto. Sentì i jeans stringersi, e provò imbarazzo, ma l'altro gli sorrise e gli offrì un sorso di Martini dal proprio bicchiere.

Alec non poteva certo avvertire la battaglia che infuriava all'interno della mente di Magnus, che lottava contro l'istinto animale di trascinarlo di sopra nella propria camera.

Con la coda dell'occhio Magnus vide che tutti i clienti erano andati via, e che il locale era già perfettamente in ordine. Solo Raphael, quel bastardo depravato, continuava a suonare canzoni sempre più spinte guardandoli con un ghigno beffardo e divertito.

Con un'occhiata gli intimò di andare via, e quello mise un cd. Dopo vent'anni d'amicizia non avevano certo bisogno delle parole per capirsi.

Erano soli, adesso, e il ragazzino era tutto suo.

L'improvviso cambio di musica sembrò riscuotere Alec dal piacevole torpore in cui era piombato. Si staccò da Magnus e si guardò intorno, vedendo il locale vuoto. Da quanto tempo ballavano?
Ma soprattutto, cosa diavolo stava facendo?
Tremò al pensiero di cosa avrebbero detto di lui il capitano, i suoi colleghi, suo padre.

«Sì è fatto tardi, il locale è chiuso e io sono ancora qui, mi dispiace. Immagino sarai stanco e vorrai andare a dormire. Buonanotte e grazie per la serata.»
Fece per andarsene, e di corsa, ma venne trattenuto per il polso.

«Aspetta! Che ne dici, prima, di un altro drink? Non mi hai ancora detto come ti chiami.»

A quelle parole il ragazzo sorrise. Un sorriso dolcissimo che gli sciolse qualcosa dentro.

«Alexand... Alec.»

«Un nome bellissimo per un ragazzo bellissimo... Alexander

Un rossore diffuso imporporò il volto del bel giovane, come se davvero non fosse avvezzo a ricevere complimenti. L'uomo non lo credeva possibile, perché Alexander era splendido e aveva certamente folle di ammiratori ai propri piedi. Forse è semplicemente modesto.
Sì, concluse, doveva essere così.

Il soggetto dei suoi pensieri stava nel frattempo cercando le parole per articolare una risposta, ma evidentemente rinunciò, perché tacque. Era però ancora lì, e Magnus prese ciò come una vittoria, dirigendosi al bancone per preparare personalmente i cocktail. D'altro canto era un maestro, in quello.

A un tratto sentì Alec gridare: «Attento!»

Si voltò allibito, giusto in tempo per vedere il ragazzo scagliare un coltellino, che aveva preso da chissà dove, nella mano di uno sconosciuto che impugnava una pistola, deviando il colpo. Il potenziale assassino scappò via, fulmineo e silenzioso com'era entrato, lasciando dietro di sé alcune gocce di sangue.

Tutto era avvenuto in un attimo, tanto da far quasi credere a Magnus di averlo immaginato. Tuttavia sentiva lo sguardo interrogativo del ragazzo su di lui e questo lo distolse dal suo stordimento.

«Stai bene?» gli stava chiedendo Alec.

«Sì... grazie a te», si affrettò a rispondere. «Sei stato un fulmine. E che mira... hai centrato il colpo da tre metri di distanza!»

«Faccio tiro con l'arco da quando ero bambino, sono abituato a colpire un bersaglio.» E sono un tiratore scelto, avrebbe voluto aggiungere il detective, ma ovviamente non poté. Disse invece: «Sai chi era quell'uomo?»

Magnus scosse il capo. «Non ne ho idea.»

L'impercettibile esitazione nella sua voce sembrò tradirlo, almeno agli occhi di Alec. Stava mentendo, ci avrebbe scommesso. E lui, come un idiota, si era lasciato distrarre. Proprio come aveva detto il capitano.

Il detective fremette al ricordo di ciò che aveva appena fatto. Sembrava essersi ricordato improvvisamente della ragione per cui si trovava in quel locale, e di certo non era per ballare con il proprietario.
Questo genere di cose a lui non accadevano, perché la legge, il dovere, il proprio lavoro venivano prima di tutto.

Era stata sicuramente colpa dell'alcool, che non era abituato a bere, e di tutto quel dannato frastuono, che lo aveva disorientato. La sua confusione non aveva niente a che vedere con l'uomo maledettamente attraente dinanzi a sé.

I due rimasero un istante di più a guardarsi negli occhi, cercando di scorgere la verità in quelli dell'altro.
Studiandosi, per carpire segreti che non avevano voglia di rivelare.

A un certo punto Alec vide Magnus sgranare lo sguardo e gettarsi su di lui con un balzo fulmineo, come per toglierlo dalla linea del fuoco. Si udì un secondo sparo echeggiare per il locale deserto e colpire il punto in cui si trovavano in precedenza.

Era il suo turno di essere sorpreso: l'uomo aveva agito con la medesima prontezza e fluidità di movimenti che lui stesso aveva più volte sperimentato negli addestramenti dei Marines. Avevano fatto un balzo di due metri in maniera così repentina da non accorgersene, quasi.

Si trovava adesso inchiodato sotto il corpo di Magnus, che gli proteggeva il capo con la mano sinistra, mentre con l'altro braccio gli fasciava la schiena, per attutire il colpo. Capì di stringerlo in maniera simile e si mosse per alzarsi.

Ma prima.
Fu solo un attimo.
Un minuscolo, infinitesimale attimo.

Un secondo, in cui gli occhi di Magnus accarezzarono i suoi con intensità tale da fargli desiderare di sentire quelle labbra.
Scosse il capo impercettibilmente, per impedire a quell'immagine di formarsi.

L'altro sembrò quasi leggere i suoi pensieri, perché si tirò su di colpo, porgendogli una mano in silenzio per aiutarlo.

Alec aveva, se possibile, ancora più domande. Chi erano i tizi che volevano ucciderlo? E perché? E come mai sembrava così abile a sfuggire alla morte?

«Dovresti denunciare l'accaduto alla polizia», provò a dirgli cautamente.

«No», rispose immediatamente l'uomo, categorico.

«Perché no? La polizia ti aiuterebbe, troverebbe i colpevoli. Stasera hai rischiato di morire due volte, Magnus.»

«Non ho bisogno di aiuto o di protezione e non voglio che il locale venga associato a questo genere di cose. Per favore Alexander, non insistere.»

Lui si limitò ad annuire, consapevole che la polizia fosse già al corrente di tutto. Fece per andarsene.

«Domani sera festeggerò l'apertura della stagione invernale, ho programmato una serata d'eccezione. Un Golden Party esclusivo, i biglietti sono sold out già da settimane. Mi faresti l'onore di essere mio ospite?»

Alec si voltò, non riuscendo suo malgrado a trattenere un gran sorriso. Un sorriso splendido, che ancora una volta a Magnus parve quello di un angelo.

«Ci sarò» disse, e scomparve nella notte.

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