Ero innocente

Definire "piacevole" quella serata sarebbe stato assurdamente riduttivo: il palco accolse buona musica, ottimi artisti e soprattutto la personalità magnetica e frizzante del proprietario, che si rivelò un abile intrattenitore. Con il suo amico Ragnor a fargli da spalla, ammaliò gli ospiti con il proprio fascino, la propria irriverente ironia e la verve istrionica che sembrava contraddistinguerlo. Guardandosi intorno, Alec capiva di non essere l'unico assolutamente stregato da Magnus Bane.

Questo è il segreto del suo successo, pensò, il motivo per cui il locale è sempre pieno.
È LUI.

Durante quelle ore non c'erano state molte occasioni per parlare veramente, la scaletta era serrata e Magnus veniva reclamato sul palco ogniqualvolta provava ad avvicinarsi per scambiare due chiacchiere. Non aveva smesso di guardarlo da lontano, però.

Soltanto adesso, verso la fine della serata, stava finalmente arrivando al suo tavolo con due calici di champagne, proponendo un brindisi. Alec aveva colto sguardi curiosi e in qualche caso anche gelosi, da uomini e donne stupiti che questa fortuna stesse capitando proprio a lui. Dopotutto aveva letto che Magnus
non faceva certo distinzioni fra i propri accompagnatori, facendo parlare di sé per le frequentazioni numerose ed eterogenee. Questa considerazione lo colse di sorpresa e lo infastidì, ma cercò di scacciarla rapidamente per accogliere con un sorriso l'altro, che si avvicinava con passo felino.

«A te», gli sorrise Alec, sollevando il bicchiere verso di lui.

«A noi, Alexander. Mi dispiace di averti lasciato da solo, ma non sono riuscito a venire prima.»

«Scherzi... questa serata è una bomba ed è tutto merito tuo. Sei bravissimo.» si complimentò Alec sinceramente.

«Stasera mi sento ispirato» gli rispose l'altro con un caldo sorriso, rivolgendogli uno sguardo ammiccante che accarezzò il suo intero corpo, per poi tornare a posarsi sul viso.

A quelle parole Alec si limitò ad arrossire, non sapendo davvero cosa ribattere, quando la folla iniziò ad acclamare Magnus a gran voce, chiedendogli un'esibizione.

Con le mani alzate in segno di resa e un ghigno ironico sul volto, come a volersi scusare di essere nuovamente interrotti, l'uomo si avviò camminando all'indietro, per non perdere il contatto visivo con lui.

La curiosità di Alec aumentava man mano che l'altro si avvicinava al palco, e ancor più quando scomparve dietro le quinte. In che genere di performance poteva mai esibirsi?

Si meravigliò vedendolo tornare con una chitarra semiacustica nera, lucida, mordendosi il labbro concentrato. Non poteva credere che quell'uomo fosse pure un musicista. Impossibile.

Magnus avanzava verso il centro del palco prendendo posto sullo sgabello che Ragnor aveva appena preparato per lui, senza staccargli gli occhi di dosso. Non che durante la serata avesse guardato altrove, ma ora il suo sguardo era diverso, ancora più intenso, se possibile, come ad avvertirlo che quell'esibizione era solo per lui.

Alec riconobbe la canzone dalle prime note, e il cuore iniziò a battergli forte nel petto.

Peer pressure di James Bay era la perfetta descrizione di un incontro imprevisto da cui non si tornava indietro. Mentre si accendeva sotto lo sguardo ardente del cantante, sentendo la sua voce roca, calda e melodiosa mandargli un brivido, Alec fu tradito dalla tentazione di salire su quel palco e baciarlo con un desiderio che non mai aveva sperimentato prima.

Le note rimbombavano nella sua testa come una tortura sublime e quelle parole graffiavano la sua anima inconsapevolmente bisognosa d'amore, scombussolandolo. Capiva che era sbagliato, irrimediabilmente sbagliato, eppure non riusciva a sentirsi del tutto colpevole di provare quelle sensazioni. Non poteva credere che Magnus fosse un criminale, che fosse invischiato negli illeciti ipotizzati dal capitano. Il suo sguardo era pulito, forse un po' misterioso, ma non cattivo. Alec si fidava del proprio istinto, fino a quel momento non si era mai sbagliato.
E quelli non erano gli occhi di un malvivente: nessuno poteva emanare tale calore e al contempo essere capace di atti di crudeltà. Voleva disperatamente lasciarsi andare, abbandonarsi per una volta ai sentimenti che troppo spesso la ragione soffocava e metteva da parte.
Si ritrovò a sorridergli apertamente, senza imbarazzo, senza paura.

Maybe I'm scared, I don't care, I'm addicted.

Non aveva mai ceduto alle pressioni altrui, ma quasi... Quasi voleva cedere a Magnus, senza ripensamenti. Al diavolo.

"When we met, innocent

Now I'm dead every time you're touchin' me

You're dancing around on my mind every second

I'm under control till you're in front of me

Maybe I'm scared, I don't care, I'm addicted

I'm in it"

"Vi sono dentro"... e nella calda confusione di quell'istante onirico Magnus percepì che era vero, in qualche modo. Quando aveva visto Alexander per la prima volta, era stato colpito immediatamente dalla sua eccezionale bellezza e in generale dal suo aspetto prestante. Aveva provato un impulso repentino di avvicinarlo a sé e di farlo suo. Poi però era rimasto affascinato dai suoi modi schivi, ma diretti e gentili, dalla sua forza d'animo, percepibile malgrado l'imbarazzo che tradiva in sua presenza e che a tratti lo faceva balbettare in maniera adorabile. Già, adorava quel sorriso aperto e quasi ingenuo, che mostrava i denti perfetti e gli illuminava l'intero volto, quei rossori, che aveva scoperto di provocare con le sue battutine e i complimenti.

Quella sera, poi, era assolutamente mozzafiato nella sua giacca color crema dalla delicata sfumatura dorata, che esaltava il candore del suo incarnato e contrastava in maniera impeccabile con il papillon e i pantaloni neri che indossava.

Sobria ed elegante, proprio come lui.

In quel momento, mentre si perdeva nel suo sguardo limpido e appassionato, talmente trasparente da rivelare tutta la sua delicata purezza, non poteva negare che ciò che stava provando per lui andava oltre il desiderio di contatto fisico. Voleva conoscerlo, voleva corteggiarlo, voleva averlo vicino. Voleva svegliarsi vicino a lui e preparargli la colazione, tenerlo per mano mentre ridevano spensierati a Central Park.

E fu colpito dalla forza di emozioni che mai aveva provato, e che pure dovevano esistere da qualche parte dentro di lui. Quasi non lo conosceva, eppure era come se la propria anima l'avesse scelto, e stesse lasciando che quel ragazzo gli scavasse nel profondo, squarciando le tenebre che la ricoprivano e irraggiandola con un po' della sua luce.

Guardandolo negli occhi, credette di riuscire di nuovo a respirare, per la prima volta dopo moltissimo tempo. Istintivamente intuì che, se gliel'avesse permesso, Alexander sarebbe potuto diventare importante e questa nuova consapevolezza, che all'inizio lo aveva riscaldato, lo raggelò.

In un'altra vita lo avrebbe corteggiato discretamente fino a quando non avesse accettato di uscire con lui. Lo avrebbe sorpreso con piccoli atti di galanteria che gli avrebbero strappato forse un sorriso, illuminando le sue iridi delicate dal colore cristallino. Gli avrebbe mostrato il caos indistinto della propria anima, lasciando che lui vi mettesse ordine.

Pregandolo, anzi, di metterla in ordine.

In un'altra vita, pensò amaramente. Perché questa vita era troppo nera, troppo incasinata, troppo dannatamente ingarbugliata per coinvolgere Alexander. Era pericoloso per il ragazzo stargli vicino, e non solo emotivamente.

Magnus vi era dentro, ma non poteva permettere che vi entrasse anche lui.

Le parole della canzone di James Bay hanno un'importanza centrale per lo sviluppo dei pensieri di Alec e Magnus in questo capitolo, quindi ne suggerisco l'ascolto o la lettura. Qui inserisco quantomeno la traduzione degli estratti citati o a cui faccio riferimento.

"Di solito non cedo alle pressioni esterne, ma cederò alle tue".

"Quando ci siamo incontrati ero innocente, adesso sono morto ogni volta che mi tocchi. Stai danzando dentro la mia mente ogni secondo, sono sotto il tuo controllo finché sei di fronte a me. Forse ho paura, non mi importa, sono dipendente. Vi sono dentro".

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