È vero, mi importa
Il mattino seguente la sveglia suonò decisamente troppo presto. Quella notte era stata un susseguirsi di sogni assurdi e di risvegli concitati. Di occhi rivolti al soffitto e di pensieri martellanti.
L'indagine, innanzitutto. Gli spari della sera prima chiarivano in maniera inequivocabile che non si era mai trattato di incidenti. Non che ci avesse creduto, d'altronde. A questo punto, però, poteva escludere definitivamente quella pista. Magnus era coinvolto in qualcosa di illecito? Era un criminale? O veniva minacciato? Ma da chi, e perché?
Non osava dirselo apertamente, ma forse temeva questa possibilità più della prima.
Non voleva saperlo in pericolo.
Ecco, questa considerazione insopportabile si insinuava ogni volta nel logico corso delle sue riflessioni, facendo crollare il castello di carta della propria razionalità. Aprendo le porte ai ricordi della sera prima, che avanzavano irriguardosi e senza permesso.
Non aveva mai avuto un sonno così disturbato. Anche nelle situazioni più difficili, aveva sempre saputo come destreggiarsi, con calma invidiabile. Ora per la prima volta era disorientato, senza punti di riferimento né termini di paragone. In alcuni istanti credeva di percepire ancora sulla propria pelle il contatto dell'altro e non riusciva a nasconderselo: era una sensazione bellissima.
Ma si trattava comunque di un errore bruciante, a cui bisognava rimediare: nessuno doveva saperlo, così nessuno gliene avrebbe fatto una colpa. Per un attimo aveva dimenticato di essere il primogenito della dinastia militare forse più in vista della costa orientale e che era suo dovere recarle "Lustro e Onore". Questo motto paterno aveva scandito ogni tappa della sua vita fino a quel momento e lui lo avrebbe onorato fino in fondo, anche a costo di privarsi di qualcosa che, in ogni caso, non era poi così importante.
Perché non lo era, giusto? No, o almeno così aveva deciso molti anni prima.
Fece rapporto al capitano, soprattutto in merito agli spari. Cercò di essere oggettivo, senza addentrarsi nel terreno pericoloso che aveva scelto di evitare. Il superiore sembrò soddisfatto, invitandolo a proseguire.
Veniva adesso la parte più difficile: capire di che serata si trattasse e dunque cosa indossare. Non era mai stato un tipo che badava a queste formalità, ma stavolta era... diverso. Sinceramente non riusciva a spiegarsi perché Magnus lo avesse invitato, né tantomeno perché si fosse avvicinato a lui. Di certo, però, quello era un uomo alla moda, famoso, abituato ad avere il meglio, e in qualche modo voleva essere all'altezza della situazione.
Chiamò la sorella, l'unica a cui rivolgersi in situazioni simili. E la sola con cui avrebbe potuto parlare quasi liberamente. Magnus lo aveva definito "un Golden Party esclusivo" e lui era suo ospite, non poteva certo metterlo in imbarazzo presentandosi vestito in maniera inadeguata.
«Ehm... Izzy, ciao...»
«Ciao...?» rispose lei, divertita dal tono strano del fratello.
«Sei impegnata? Volevo chiederti... uhm... chiederti solo... c-cosa si indossa a un Golden Party... e-esclusivo?»
«Un Golden Party esclusivo?» Ecco, ora rideva apertamente. «Alec, ma tu non vai ai Golden Party!»
Si interruppe di colpo, capendo improvvisamente a cosa il fratello si riferisse: «Ahhh, QUEL Golden Party! Magnus Bane ti ha invitato, non è vero?»
Il silenzio divenne quasi palpabile per un attimo, finché Alec non ebbe abbastanza animo di ribattere: «Co-come fai... Come puoi... dire che è lo stesso, o che mi ha invitato? Potrei essermi procurato il bigliett-», stava concludendo brillantemente, a suo parere.
«QUEI BIGLIETTI» lo interruppe lei con aria saputa, «sono finiti da settimane, io stessa li ho cercati invano. Quindi sei stato per forza invitato dal diretto interessato, non può essere altrimenti.»
Allora Magnus gli aveva detto la verità, i biglietti erano sold out.
«Quindi diciamo che, se stessimo parlando dello stesso evento... e se fosse per te, diciamo... FONDAMENTALE...» proseguì abilmente la sorella, facendo una gran quantità di pause significative, «potrei cercare di liberarmi dai miei numerosi impegni e aiutarti. Altrimenti mi dispiace, Alec, oggi sono proprio occupata.»
Era combattuto, quella manipolatrice lo stava incastrando. Non occorreva averla davanti per sapere esattamente quale fosse la sua espressione e cosa volesse da lui. Ma aveva alternative concrete?
Chiuse gli occhi, sospirando sconfitto, e si prese un attimo prima di esclamare a denti stretti: «Mi importa, dannazione, sei contenta? Non voglio fare brutta figura!» Cercò di abbassare la voce, per non farsi sentire dai colleghi che, ignari di tutto, continuavano a lavorare.
«Perfetto, Romeo», esultò la sorella, «ci vediamo in pausa pranzo nel negozio vicino al distretto. E voglio i dettagli!»
Benissimo, ancora una volta si era fatto fregare come un idiota.
Quella sera trovò Magnus ad attenderlo davanti al locale. La calda occhiata di evidente ammirazione che gli stava lanciando lo ripagava di ogni singolo istante di imbarazzo provato quel pomeriggio con la sorella, che per tutto il tempo non aveva smesso di lanciargli frecciatine e di fare allusioni più o meno velate.
Con fare cavalleresco, Magnus gli tese la mano sorridendo, simulando un rapido baciamano quando Alec gli porse la sua. Lo trascinò in un vortice di colori, suoni, profumi più intenso di quello del giorno precedente.
«Ti piace?» gli stava dicendo all'orecchio, per farsi sentire al di sopra della musica.
Ancora una volta, percependolo così vicino, Alec andò in confusione.
«Meraviglioso» mormorò, girandosi di scatto inavvertitamente. Bastava che uno dei due facesse il più piccolo movimento per annullare di colpo quella breve distanza.
L'attimo fu interrotto dal tipo bizzarro di nome Ragnor, che richiamò l'attenzione di quest'ultimo dicendo: «Magnus? È ora di iniziare!»
Quello si riscosse quel tanto da rispondergli: «Arrivo, arrivo», ma senza smettere di guardare Alexander negli occhi e raccomandandogli: «Ti ho riservato un tavolo davanti al palco, Catarina ti mostrerà dove sederti. Fatti servire ciò che preferisci, sei mio ospite. Tornerò presto.»
Gli fece un occhiolino e si allontanò fra la folla.
Alec si incamminò verso gli eleganti tavolini neri che erano stati sistemati davanti al palco. Quella serata il locale aveva uno stile marcatamente retrò, con un mobilio anni '30 che conferiva un'aria elegante e sofisticata. Ad Alec ricordava certi film ambientati all'epoca del proibizionismo, con quelle luci soffuse e i motivi geometrici bianchi, neri e oro che si rincorrevano sui pezzi d'arredamento dando un risultato fastoso e ricercato. Il proprietario sembrava incarnare nella sua persona il medesimo gusto, indossando una giacca in satin bronzo dalla fantasia stilizzata nera, che richiamava gli aderenti pantaloni di pelle, le scarpe e la cintura di vernice con delle borchie in tinta.
Su qualsiasi altra persona quell'outfit stravagante, completato da tre o quattro collane di diversa lunghezza, vistosi anelli alle dita e smalto nero alle unghie, sarebbe parso esagerato, ma non su di lui, che invece brillava come il sole a mezzanotte. Anche il make-up luminoso degli stessi colori della giacca, che avrebbe ritenuto assolutamente fuori luogo su un altro uomo, non faceva che accrescere la grazia felina di quei tratti orientali, marcando il suo sguardo già penetrante.
Alec continuava a far danzare nella sua mente l'immagine di Magnus, rubandogli occhiate da lontano e cercando al contempo il proprio nome tra i tavoli, quando una giovane donna nera dall'apparenza cordiale si avvicinò a lui.
«Ciao, devi essere Alexander, io sono Catarina. Magnus mi ha mandato a mostrarti il tuo tavolo.»
«Ciao, chiamami Alec», la corresse istintivamente lui.
Non gli piaceva sentire il proprio nome completo, perché gli ricordava troppo il richiamo militaresco con cui il padre lo apostrofava sin da bambino. Tranne, a dire il vero, quando lo pronunciava Magnus, perché la sua cadenza aggraziata faceva vibrare la l e la r tra le labbra in maniera sensuale.
«Ti ringrazio per l'aiuto.»
Catarina lo condusse in un tavolino in prima fila, al centro, da dove avrebbe avuto la visuale migliore. Il ragazzo si sorprese a sorridere per quella piccola premura, tanto più quando vide il biglietto, scritto in una grafia elegante, posto vicino al proprio nome.
"Spero che tu possa trascorrere una piacevole serata, Alexander."
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