12 ; Was ich liebe

Ksenia corse all'impazzata, la gamba sinistra che usciva completamente dallo spacco del vestito. Ad ogni passo rischiava di storcersi le caviglie a causa dei tacchi a spillo, ma il rischio non le era nemmeno passato per l'anticamera del cervello.
Si lanciò a terra, in ginocchio sul quel marchio nero impresso nel terreno, l'occhio al suo centro che la fissava e giudicava.
Dov'era Fhirdiad? Dov'era la sua casa?! Perché al suo posto c'era invece il simbolo di Agartha?
Gli urlò contro come se fosse senziente e lo colpì con un debole pugno. Imporci le mani non sortiva alcun effetto, la sua funzione sembrava diversa da quella delle porte a Shambhala.
Mentre i giovani, da lontano, osservavano la scena in completa confusione, lei dopo un po' riuscì a ricomporsi e calmarsi quel minimo che bastava per pensare a mente più lucida.
Appoggiò di nuovo i palmi al centro del cerchio e cominciò ad infondervi la sua magia, in un tentativo disperato di spezzare un sigillo o scatenarne gli effetti ma, di nuovo, nulla accadde e si ritrovò con un pugno di mosche e tantissime, infinite domande.
Cos'era successo in quegli ultimi vent'anni?
Dedue si fece avanti, i suoi passi erano pesanti e scuotevano il terreno. Le si affiancò, per poi circondarle il corpo minuto con la sua enorme zampa in un rudimentale tentativo di abbraccio. Era stanco di vedere tutte quelle lacrime bagnare il suo viso, un giorno dopo l'altro lei stava sempre peggio e non poterla consolare con la voce era per lui motivo di rabbia. Così grande, forte e letale, ma completamente incapace di sostenere la sua regina, la donna che aveva giurato di proteggere fino alla morte. Dimitri l'amava e, anche se lui non c'era più, il suo compito non si era esaurito.
Quando gli agarthei si presentarono sul campo di battaglia dopo dieci giorni, era stato lui stesso, agonizzante ed ormai sull'orlo di esalare l'ultimo respiro, ad indicare loro la posizione dei corpi dei due sovrani, con la convinzione che fossero morti, ma quando vide Ksenia, piena di ferite infette e vermi che la divoravano, respirare affannosamente con gli occhi semiaperti e la testa del marito stretta in grembo, capì che quegli uomini vestiti di nero cercavano proprio lei.
Uno di loro, con il lato destro del viso completamente fasciato ed un unico occhio azzurro ghiaccio, lo ringraziò personalmente per averlo aiutato a ritrovare sua figlia, come premio gli permise di seguirli e fece curare le sue ferite, arruolandolo successivamente come suo guardiano.
Il padre di Ksenia era un uomo particolare, con una voce profondissima, farfugliava spesso di "odiare i discendenti delle bestie", beveva giornalmente il sangue di sua figlia e rimaneva per ore chiuso nel suo laboratorio dal quale provenivano rumori atroci, ma con lei era sempre stato gentile, non le aveva mai fatto fare nulla contro la sua volontà e, soprattutto, era stato colui che l'aveva risvegliata da quello stato di torpore successivo alla riesumazione, quando tutti gli altri scienziati l'avevano data per spacciata. A quanto pare volevano trasformarla in una specie di dispenser di sangue incosciente, ma lui si era sempre opposto, "Anaxagoras può essere curata" diceva, ed aveva ragione, ci era riuscito. Avrebbe fatto più comodo avere una bambola, eppure si era rifiutato di perderla.

- Mamma. – Anche Aleksei si era avvicinato, inginocchiandosi davanti a lei. – Cos'è successo?-
- L'intera città... è scomparsa, addirittura le strade in pietra... Fhirdiad... Fhirdiad non c'è più, neanche le sue macerie. – Si asciugò una lacrima stropicciandosi l'occhio con la mano. – Può essere stata solo opera degli agarthei, questo è il loro sigillo. È intristo di magia... starci sopra fa risuonare quella presente nel mio corpo.
Solo spezzandolo potremmo avere della risposte.-
- Cosa c'entrano gli agarthei? Non è stata Edelgard a portarmi con sé quand'ero piccolo?-
- Il gruppo di persone che durante la guerra aveva agito in superficie veniva chiamato "Serpi delle Ombre". I suoi membri erano ovunque nel Fódlan, soprattutto nell'Impero, avevano uno stretto legame con l'imperatrice, probabilmente è stata lei ad ordinare questo scempio.-
- Ma perché? Quale vantaggio avrebbe dovuto trarre arrivare a tanto?-
- Lo ha fatto per te, Aleksei, adesso me ne rendo finalmente conto. Ciò che hai trovato ad Enbarr, la damnatio memoriae ed ora questo... è servito tutto a nascondere la verità, non saresti mai dovuto venire a sapere della tua vera identità.
Un preciso motivo non lo so, ma non credo che raccontare di aver rapito un bambino nella sua culla, dopo avergli ucciso i genitori, fosse considerabile una buona idea.-

Aleksei si strinse nelle spalle, rivolgendo al cielo il suo sguardo di ghiaccio. Perché ogni parola uscita dalla bocca di quella donna acquisiva sempre un senso per lui? Quando lo faceva, però, tutto il suo Io perdeva un pezzo, si sgretolava sempre più.
Sua madre si stava adoperando così tanto per distruggere la sua maschera e tirare fuori la sua vera identità...

- Mi spiace, a causa mia così tante persone innocenti stanno soffrendo, non avrei mai voluto una situazione del genere.-
- Aleksei, tu non sei né colpevole né causa, ma solo il mezzo, l'arma usata per compiere il delitto. Una spada non taglia mai una testa per propria volontà, serve qualcuno che la brandisca.-

Quelle parole erano state dette anche a lei, tanti anni prima, perciò aveva deciso di rivolgerle al figlio, pensava potessero essere più adatte a lui piuttosto che a lei, che un'effettiva colpa l'aveva.
Prese un profondo respiro, si asciugò meglio gli occhi ancora umidi di lacrime e raddrizzò la schiena. Ora era calma.

- Dobbiamo tornare subito ad Itha, ho bisogno di pensare ad un nuovo piano il prima possibile, quello attuale è fallito prima di cominciare.

Dopo il viaggio a ritroso, conclusosi ad ormai notte inoltrata, Ksenia aveva iniziato a comportarsi in modo strano. Fino al giorno prima era sempre stata tranquilla, dai modi posati, ma da quel momento era diventata agitata, non riusciva a stare ferma, camminava avanti e indietro e si martoriava le unghie delle mani con i denti. Artemiya lo notò e le domandò anche se stesse bene, ma lei la liquidò rispondendole di essere solo arrabbiata per doversi inventare un nuovo modo per cercare la reliquia di suo marito.
Successivamente tentò di rinchiudersi nella sua stanza -doveva pensare, doveva pensare, doveva dannatamente pensare!-, ma poco dopo il figlio si palesò al suo cospetto.
La trovò seduta sul bordo del letto, senza il velo sulla testa e le mani giunte. Di nuovo, non era felice; di nuovo, le sue speranze sparivano in una nuvola di cenere.

- È permesso? – Lei gli fece posto al suo fianco. – Volevo sapere come stavi, è da quando siamo ripartiti che ti comporti in modo strano.-
- Non è nulla, non preoccuparti, è solo rabbia la mia. Passerà.-
- Avevamo promesso di non avere segreti tra noi, perché stai mentendo?-
- Io non— – La donna sospirò rumorosamente, iniziando a tormentare la pelle immacolata delle sue dita. – In realtà... voglio fare le cose di fretta perché presto morirò. – Si strinse nelle spalle, le tremavano le mani.-
- Cosa?! – Lui rimase stralunato, i suoi occhi azzurri che correvano lungo la sua figura minuta alla ricerca di qualche indizio. – Sono state le ferite dell'altra notte? È una malattia?-
- La mia, anzi, la nostra malattia si chiama "Luna Crescente", Aleksei, il nostro Segno.-
- Vuol dire che anch'io morirò...? Perché lo possiedo?- Era una notizia terrificante.
- Non posso esserne sicura. Sei ancora molto giovane e porti anche quello di tuo padre, il quale rende il tuo corpo più robusto. Potresti sopravvivere più a lungo di me, ma non saprei quanto... – La donna si prese una pausa prima di ricominciare il discorso. – La Luna Crescente è falsa, frutto di macabri esperimenti da parte degli agarthei. È estremamente potente e spinge l'organismo a produrre immense quantità di magia, per questo motivo quando tentavano di trapiantarlo su bambini rapiti questi morivano in un istante.
Io sono l'unica sopravvissuta perché il sangue modificato era stato iniettato a mia madre mentre era incinta; io crescevo nel suo ventre e lei lentamente moriva, ha scambiato la sua vita con la mia tra atroci sofferenze. Io ho ucciso la mia vera madre... – Si fermò per un attimo. – lei era una donna influente nel Faerghus, perciò venne successivamente sostituita da un'agarthea che ne prese le sembianze. Mio padre è lo scienziato che creò il Segno e capo degli esperimenti di sangue, è stato lui a dirmi che, avendo una discendenza "debole, di coloro che sono nati dalle bestie", il mio corpo probabilmente non avrebbe retto oltre i cinquant'anni.-
- Mamma, sono solo congetture, stai pensando al peggio per la frustrazio—-
- No, non è così. Sarei dovuta arrivare a cinquant'anni, ma tutti gli shock che ho subito negli ultimi venti hanno accorciato drasticamente la mia vita, sono almeno cinque anni che sento di star perdendo il controllo e negli ultimi tempi la situazione ha cominciato a degenerare.
Non voglio lasciarti da solo prima di essere sicura che vivrai una vita serena e con ciò che ti spetta, perciò mi sto trattenendo il più possibile.
Con la mia magia avrei potuto far saltare in aria il sigillo posto a Fhirdiad, o direttamente l'intera Enbarr, ma questo avrebbe accorciato ancor di più il mio tempo... ho rischiato grosso per salvare Sera, mio padre era furioso.-
- Io... io non riesco a capire perché creare un Segno del genere se avrebbe ucciso il suo possessore, non ha senso...-
- Perché sarebbe dovuto essere per gli agarthei. Hanno ucciso i draghi e li hanno somministrati ai Dieci Campioni e a Nemesis, ma non a loro stessi.
Mio padre ha passato gran parte della sua vita a cercare un modo per rendere il suo popolo immortale perché in via di estinzione, un Segno capace di amplificare la magia in questo modo è perfetto per loro.-
- Per quale motivo hanno preso tua madre, allora? Lei non era agarthea.-
- Tu uccideresti mai qualcuno del tuo gruppo di amici? Cornelia era la cavia perfetta, una donna con grande potere decisionale ed enorme fonte di magia.
Io sarei dovuta servire a ripopolare Agartha, ma è scoppiata la guerra ed il re mi ha sposata, ero diventata intoccabile.-
- Hai avuto altri figli, ora che sei tornata nel tuo luogo d'origine?-
- No...-
- ... Meglio così, non avrei voluto combattere contro altri fratelli. – Sospirò, guardandola negli occhi. – Ho un piano, prometto che finiremo tutto in fretta.- Finita la frase, le prese una mano ed intrecciò le dita tra le sue, giocherellando con l'anello che portava all'anulare.
- Cos'hai in mente?- Lei lo guardò negli occhi, era estremamente serio.
- Andrò ad Enbarr e parlerò con Edelgard. Voglio dirle che non c'è più bisogno di nascondere così tante cose, ormai so la verità, e di dirmi come spezzare l'incantesimo a Fhirdiad.-
- No, non voglio che tu lo faccia, Aleksei, è pericoloso!-
- Ma hai le ore contate!-
- È meglio se sono io a morire, cosa potrebbero farti se ti presentassi da solo?-
- So difendermi, mamma.-
- Contro un intero esercito? Sei matto, non hai alcuna esperienza su un vero campo di battaglia, finiresti solo per soccombere!-
Le lasciò la mano, prendendola per le spalle con impeto.
- Ascolta... so che la odi per tutto ciò che ti ha fatto, ma se Edelgard ha deciso di allevarmi e salvarmi da morte certa... forse non è una persona tanto spregevole.
Si è guadagnata la nomenclatura di madre, voglio darle un'altra possibilità... è l'unica con cui non ho parlato di questa storia, devo sentire anche la sua versione.-
- Aleksei...-
- Hai ancora quei cristalli per il teletrasporto? – Lei annuì. – Ottimo, domattina partirò.-

Ksenia continuava ad avere un'espressione turbata, quasi di terrore. Lui le accarezzò il viso, le stampò un bacio sulla guancia e poi l'abbracciò stretta a sé; voleva farle capire che ormai era l'unica per lui, il loro legame si era consolidato, avrebbe fatto ogni cosa in suo onore.

- Tu sapevi della scomparsa di Fhirdiad?

Artemiya in quel momento si stava infilando la camicia da notte, ma a quella domanda si congelò, rimanendo svestita dalla vita in giù. Mitja, a gambe incrociate sul suo letto, alzò un sopracciglio.

- Io... ecco... no...?-
- Mimi...-
- Va bene, lo sapevo! Circa... tempo fa avevo origliato mio nonno che ne parlava con qualcuno, ma con "cancellata" pensavo solo si riferissero al suo essere stata data alle fiamme; non pensavo assolutamente di trovarmi davanti a quello spettacolo, mi ha fatto molto male vedere, anzi, non vedere la capitale ridotta in quel modo...- Si lisciò la gonna lunga con nervosismo.
- Mi dispiace, è chiaro che la situazione sia molto più complicata ed oscura di ciò che credevamo.
Le possibilità di riprenderci il Faerghus sono ancora meno.-
- Non possiamo arrenderci, Mitja... non voglio, non voglio...-

La ragazza si mise le mani nei capelli, quasi sull'orlo del pianto. A quel punto lui le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani.

- Va tutto bene, non azzardarti a versare alcuna lacrima, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutare questa causa.-
- Anche se non ti fidi di Ksenia, Aleksei e Sera?-
- Per te farei qualunque cosa, anche mettere da parte le divergenze ed affidarmi completamente a loro.-

"Andrò ad Enbarr, da solo."
Quella frase aveva quasi fatto svenire Sera, la quale dovette essere sostenuta per le spalle da Mitja, o sarebbe crollata sul pavimento come un sacco di patate.
Sua cugina -era così strano definirla sua parente- rimase spiazzata e cercò di farlo desistere, ripetendogli che ormai nella capitale imperiale non aveva più alcun alleato, che se ci fosse andato si sarebbe solamente messo in pericolo. Mitja non ne era turbato -nonostante avesse giurato di essere partecipe, il suo disprezzo era rimasto tale-, ma diede man forte ad Artemiya dicendogli che fosse l'idea più stupida da quando si erano conosciuti a quella parte.
L'unica a non dire nulla era stata Ksenia, rimasta impassibile, quasi apatica, fuori dal suo personaggio. Aveva preferito dissociarsi dalla situazione e pregare -nonostante non fosse mai stata credente-, sperare che tutto sarebbe andato per il meglio.
A malincuore, gli consegnò il dispositivo agartheo per il teletrasporto e gli spiegò il suo funzionamento. Il cristallo aveva però quasi esaurito la sua energia; escludendo l'andata, essa era necessaria solo per un viaggio, perciò si raccomandò di non sprecarlo e, se le cose fossero andate male, di tornare immediatamente ad Itha.
Aleksei rassicurò lei e Sera, la quale si era successivamente avvinghiata a lui sperando di farlo desistere – senza successo. Ormai una decisione l'aveva presa, la ragazza avrebbe dovuto sapere che, quando accadeva, essa era sempre definitiva.

Si teletrasportò poco fuori da Enbarr -comparire all'improvviso davanti all'imperatrice gli avrebbe solo scavato la fossa- e, cercando di distogliere alcun sospetto su di sé, attraversò la città a piedi.
Guardandola, ora gli faceva quasi vomitare; in giro era pieno di persone ingioiellate, un via vai immenso di mercanti, menestrelli che suonavano canzoni in ogni dove, il cielo terso ed il sole che scaldava gli animi. Tutto il contrario di Itha.
Il palazzo imperiale era come sempre gigantesco, svettante su ricchi e poveri, ancora faticava a credere di averci vissuto così tanti anni.
Salì le scale e, dopo essersi fatto riconoscere dai piantoni che gli diedero il bentornato, si inoltrò nel castello. Mentre attraversava i corridoi che conducevano alla sala del trono, tutto quel rosso aveva cominciato a dargli il mal di testa, era sempre stato così esageratamente lussuoso?
La sala del trono era la più ricca di tutte, a partire dal gigantesco portone in oro massiccio, i tappeti vermigli intarsiati, vessilli dell'Adrestia ed un gigantesco trono posto su un'altura.
Edelgard era seduta lì, con le mani sui braccioli, gli occhi viola che lo guardavano con estrema freddezza.
Il principe si inchinò al suo cospetto e lei si alzò in piedi. Come sempre era vestita di Rosso Adrestiano, coperta del sangue delle sue vittime -la frase di Artemiya gli rimbombava nella testa-, sulla testa un'immensa corona con quattro corna d'oro che si ricongiungevano ad una piastra riportante il Segno di Seiros, i capelli nivei perfettamente acconciati... era sempre la stessa donna che aveva chiamato "madre" sin dalla sua nascita, ma ora la sua persona gli dava sensazioni completamente diverse.

- Rimettiti in piedi, Benedikt, – "Chiamami con il mio vero nome." – non è necessaria tutta questa formalità, sono tua madre.-
Il principe eseguì gli ordini.
- Madre—-
- Dove sei stato? Eravamo tutti immensamente preoccupati.-
- ... sono stato ad Itha, volevo vederla con i miei occhi.-
- Per quale motivo ti sei interessato a quella landa desolata?-
- Perché voi mi avete nascosto tantissime cose, volevo sapere la verità.-
- E quale sarebbe questa verità, Benedikt?-
- Il mio vero nome, "Aleksei Irek Blaiddyd", la mia vera identità di principe del Sacro Regno di Faerghus, il mio vero padre, Dimitri Alexandre Blaiddyd.
Non sono qui per chiedere chissà quali motivazioni, voglio solo che restituiate il nord del Fódlan a chi ne ha il diritto.-

Un suono di applausi provenne da dietro di lui, facendolo voltare. Vide un uomo alto, con il viso scarno ed i capelli neri che gli coprivano un lato del viso, con lui c'erano sei corazzati in armatura completa. Hubert von Vestra, il braccio destro dell'imperatrice.

- Bel discorso, principe, davvero commovente, peccato che con "voglio", qui non si ottenga nulla. Le cose si guadagnano se ti comporti bene, e tu non sei stato un bravo bambino, mio caro.-
Non appena Hubert finì di parlare, i soldati gli si buttarono addosso, costringendolo a mettersi in ginocchio. Uno di loro gli mise delle manette dietro la schiena e subito si sentì più debole – probabilmente ne sopprimevano il Segno.
- Benedikt, capisci che non posso "restituire" proprio nulla? Io il Regno l'ho conquistato perdendo tantissimi soldati, non l'ho rubato. La guerra funziona così: ucciso il re, la terra è tua, dovresti averlo studiato all'Accademia Ufficiali.-
- Lasciatemi andare! Perché mi avete legato?!-
- È così che si fa con i traditori.- La voce calma dell'uomo alle sue spalle lo faceva solo arrabbiare.
- Io non ho tradito nessuno, la stirpe del Blaiddyd ha ancora un erede al trono, sono venuto a reclamare pacificamente ciò che mi spetta dalla nascita.-
- Benedikt, – La donna aveva ignorato totalmente il suo vero nome. – stai cercando di dirmi che, essendo tu ancora vivo, allora io non ho mai veramente conquistato il Faerghus?-
- Perché non lo facciamo ora, Lady Edelgard?- Nonostante non lo vedesse, Aleksei percepì comunque quel sorriso.
- Figlio mio, provavo così tanto affetto per te, e tu mi hai ripagata in questo modo... sei come tuo padre, voi Blaiddyd finite sempre per abbandonarmi, e nemmeno stavolta esiterò.
Hubert, fallo.-

In una manciata di secondi, una lama gli si appoggiò alla giugulare ed uno scatto felino gliela recise in profondità. Il sangue uscì subito a fiotti; gli macchiò la gola, i vestiti, le armature dei soldati, il tappeto rosso e dorato.
Il dolore era immenso, mai ne aveva provato tanto in vita sua. Tentò di urlare, ma il sangue gli stava riempiendo l'esofago ed i polmoni, stava affogando nei suoi stessi liquidi.
La vista si annebbiava lentamente, era quella la fine che il destino aveva in serbo per lui?

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