Alessandro
La vedo tremare, mi sfilo il giubbotto di pelle nero e glielo passo sulle spalle. Ormai il sole è tramontato e sopra di noi si intravedono le prime stelle.
«Andiamo dentro? Sto gelando...» dice piano Andrea.
«Sicura? Io posso anche andare...» rispondo con pochissima convinzione.
Non mandarmi via... ti prego.
«È tardi ed è buio, ci sono tante camere, non preoccuparti» mi dice sorridendomi per la prima volta.
La seguo mentre attraversiamo il lungomare, apre un piccolo cancellino in ferro battuto ed entriamo in un giardino rigoglioso, percorriamo un piccolo vialetto in pietra fino ad arrivare ad un patio e la casa si apre davanti a noi.
Bianca e bellissima, con degli splendidi infissi blu e decorazioni marine sui davanzali.
«È bellissima» le dico fissando estasiato la casa.
«Grazie, l'hanno fatta costruire i miei nonni» mi risponde sorridendo «mio nonno è un architetto, come te...».
«Si riconosce sicuramente la mano di un esperto» rispondo sorridendo.
La seguo fino a un portone marrone scuro sul lato ovest della casa e mi fermo «Sei sicura?» chiedo timido.
«Sì, entriamo» risponde aprendo la porta e facendomi strada dentro.
La casa è fredda ma un odore di mare e verbena mi colpisce subito.
Il salotto è bianco e blu, al centro troneggiano due divani anch'essi bianchi, il pavimento è un insieme di piccole mattonelle azzurre, al lato una grande libreria in mogano scuro riempie mezza parete.
«Accomodati, devo andare ad accendere il riscaldamento, qui dentro di gela» mi dice stringendosi nel mio giubbotto.
«Se hai bisogno dietro quella porta c'è il bagno» continua indicandomi una porta bianca alla mia sinistra.
«Grazie, hai bisogno di una mano?» chiedo.
«No, non preoccuparti. Torno subito» dice sparendo dietro un'altra porta bianca.
Resto da solo e mi guardo intorno, è veramente una casa bellissima, arredata con un gusto veramente sofisticato, penso passeggiando distrattamente per il salotto.
Un urlo richiama la mia attenzione, preoccupato mi precipito dentro la porta in cui è scomparsa prima Andrea.
Entro in quella che è la cucina, vedo una porta aperta ed esco fuori nella serata fresca.
Andrea è accucciata a terra, davanti alla caldaia.
«C'è un ragno» dice con i suoi grandi occhioni spalancati.
Sorrido e la aiuto ad alzarsi «Ci penso io, mi guidi te?» chiedo.
Annuisce e riapro lo sportellino accanto al ragno, che non mi fila nemmeno per sbaglio.
«Premi quell'interruttore blu, adesso la manopola verde portala sul simbolo del termosifone, l'altra invece sul simbolo della goccia d'acqua» dice guardando le mie mani troppo vicine all'aracnide.
«Finito?» chiedo voltandomi a guardarla.
«Sì, puoi richiudere lo sportellino?» mi chiede ancora un po' impaurita.
Lo richiudo e rientriamo dentro casa.
«Quindi hai paura dei ragni?» chiedo seguendola nuovamente in salotto.
«Sì, di base mi fanno un po' schifo tutti gli insetti, ma i ragni proprio non li sopporto» mi risponde sicura togliendosi il mio giubbotto e buttandosi sul divano a due posti, io mi accomodo su quello di fronte.
«Come mi hai trovata?» mi chiede d'un tratto cogliendomi alla sprovvista.
«Matteo mi ha dato il numero di Martina e lei...» rispondo.
«Piccola stronzetta ingrata» constata sorridendo.
«Ti dispiace?» chiedo spavaldo, ma terrorizzato dentro.
«No...» ammette abbassando lo sguardo.
La guardo mordersi e torturarsi il labbro inferiore, mentre fissa le sue mani piccole che intreccia e streccia continuamente.
«Ti va qualcosa da bere?» chiede senza guardarmi nemmeno negli occhi.
«Sì» rispondo, un po' di coraggio liquido non mi farà di certo male.
«Rosso o bianco?» dice alzandosi e dirigendosi verso la cucina, la seguo immediatamente.
Andrea
Entro in cucina, non mi ha ancora risposto sul tipo di vino che vuole, mi volto sentendo il suo sguardo su di me.
«Quindi?» chiedo di nuovo.
«È uguale, ma se il bianco è caldo, preferirei il rosso» risponde.
Un mix di tensione, ansia, emozione si stanno dando battaglia nel mio cuore e nel mio stomaco.
Cosa diavolo sto facendo? Andrea torna lucida!
«Vada per il rosso» rispondo prendendo una bottiglia dalla cantinetta di mio padre.
Mi alzo sulle punte dei piedi per prendere i calici nello sportello acquamarina in alto sopra la mia testa.
Un improvviso calore si irradia in tutto il mio corpo sotto il suo tocco che mi destabilizza.
È esattamente dietro di me, il braccio sinistro sfiora il mio fianco, appoggiandosi al bancone della cucina e il destro è sollevato sopra la mia testa. La sua faccia è vicino alla mia e riesco a sentire il suo profumo al bergamotto scombussolarmi i sensi.
«Ecco fatto» dice con voce roca prendendo i due calici e posandoli sul bancone.
«G-grazie» dico allontanandomi da lui e tornando a respirare.
Non mi ero nemmeno accorta di star trattenendo il respiro.
«Posso?» chiede prendendo il cavatappi e indicandomi la bottiglia. Annuisco.
Con un colpo deciso stappa la bottiglia, annusa il tappo e versa due calici abbondanti.
«Ti va di uscire fuori?» chiedo, pregustandomi già la sua faccia alla sorpresa che lo aspetta.
«Ma non eri te quella che aveva freddo?» risponde.
«Si, ma possiamo accendere il fuoco» ribatto sicura.
«Il fuoco?» mi chiede con una strana scintilla che gli attraversa gli occhi.
«Seguimi, credo ti piacerà» gli dico tornando in salotto e aprendolo la porta finestra sul patio.
«Puoi prendere il divanetto, la poltrona e i cuscini che trovi nella sala da pranzo? Mentre io preparo qui» gli chiedo.
Annuisce e sparisce dentro casa.
Prendo la chiave a stella e la inserisco nella serratura sul pavimento del patio facendola scattare.
Prendo le due maniglie e le faccio combaciare con i forellini appositi, a quel punto sollevo prima un'anta e poi l'altra, scoprendo così un braciere nel pavimento.
«No vabbè, ma che figata» esclama sorpreso Alessandro alle mie spalle.
Quanto è silenzioso quest'uomo?
«Ti piace?» chiedo sorridendo.
«Tantissimo!» risponde venendo al mio fianco.
«Posso accenderlo?» chiede curioso e felice come un bambino.
«Certo, la legna è in quel mobile, insieme a tutto il necessario. Io vado dentro a prendere la protezione» rispondo rientrando in casa.
È seduto sul pavimento a gambe incrociate, mentre getta piccoli legnetti nel fuoco che sta iniziando a prendere forma.
«Sei bravo però» dico alle sue spalle.
Lo vedo trasalire. Allora non solo l'unica...
«Sono sempre stato un piccolo piromane» risponde sorridendo.
«Buono a sapersi, ho scelto proprio bene» ammetto ridendo.
«Non ho mai bruciato niente più che qualche bistecca, ma c'è sempre una prima volta» dice voltandosi e facendomi l'occhiolino.
Butta due ciocchi di legno più grandi nella fiamma, posiziona la copertura a cupola in ferro battuto e si siede sul divano.
Arrivo da lui con i calici di vino, mi siedo al suo fianco e li sbattiamo insieme, i suoi occhi nei miei mi procurano questa sensazione di vuoto allo stomaco che mi uccide.
Abbasso lo sguardo e do una lunga sorsata al rosso che mi brucia la gola e lo stomaco.
«Vacci piano tigre, non hai mangiato nulla» mi rimprovera.
«A questo proposito, ordiniamo qualcosa? Non credo ci siano molte opzioni in casa. Pasta, qualche barattolo di pomodoro ma non molto altro» cambio di discorso.
«Sei tu l'esperta qui, mi va bene tutto ma non il pesce, ma credo tu sia d'accordo con me» sorride imbarazzato.
Se n'è ricordato.
«C'è una rosticceria qui vicino molto buona, dovrebbe essere ancora aperta, se prendiamo le bici ci arriviamo in nemmeno cinque minuti» propongo.
«E con il fuoco? Come si fa?» chiede subito.
«Mettiamo la copertura in vetro, che blocca l'afflusso di ossigeno, se ci mettiamo troppo lo troviamo spento e ci tocca riaccenderlo, ma almeno non rischiamo di fare casini» rispondo tranquilla.
«Ok, ci sto. Prendiamo questa copertura e le bici».
Posizioniamo la copertura, ci mettiamo il giubbotto e usciamo sul retro del giardino per prendere le bici.
Saliamo in sella a due grazielle, la mia bambina rossa Atala e Alessandro su quella nera di Giulio.
Apro il grande cancello e in strada vedo una bellissima Guzzi V7, mi fermo e la guardo affascinata.
«Ti piace?» mi chiede Alessandro fermandosi accanto a me.
«Da morire» rispondo sincera.
«È la mia bambina» risponde tronfio e fiero.
«È tua?» chiedo stupita «oddio sei venuto da Roma fino qui? Sei pazzo!» dico ridendo.
«Per la giusta causa, questo e altro» dice sbilanciandosi un po' troppo e noto subito che si è pentito della scelta delle sue parole.
«Oddio, ma devi metterla dentro, in strada sto in pensiero» dico cambiando discorso e salvandolo da sé stesso.
«Prima procacciamoci il cibo, poi al ritorno la metto dentro, ok?» risponde immettendosi in strada.
«Ok, seguimi» dico sorpassandolo.
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