QUINDICI

Andrea

Arrivo davanti alla casa della mia famiglia, lascio la macchina parcheggiata in strada ed esco, inspirando il salmastro che brucia quasi i miei polmoni, dopo due ore di guida senza sosta.

L'aria è calda, il vento porta con sé i profumi di una stagione estiva alle porte.

Adoro questa sensazione, mi fa sentire così bene.

La casa è identica a quando io e Giulio eravamo piccoli, tutto è rimasto esattamente allo stesso posto. È una delle ultime case sul lungomare di Castiglione della Pescaia, in Toscana.

Una villetta indipendente a due piani, comprata dai miei nonni negli anni ottanta per la propria vecchiaia e i nipotini.

È uno dei miei posti preferiti al mondo, un rifugio in mezzo alla tempesta.

È qui che sono scappata quando, dopo aver saputo di aspettare Azzurra, Stefano se n'è andato, lasciandomi da sola ad affrontare la sfida più grande.

I muri bianchi, gli infissi blu scuro, il tetto bordeaux, i grandi alberi che racchiudono la casa su tutti e quattro i lati che permettono di vederci attraverso solo dall'interno.

Le aiuole fiorite, il pratino all'inglese, il grande patio con il dondolo.

E in un attimo torno ad avere dieci anni e Giulio sei, corriamo sul cotto bollente mentre nonno Armando ci chiama per avvisarci che il pranzo è pronto.

Apro la porta d'ingresso, una zaffata di odore di chiuso mi invade le narici. Sono svariati mesi che nessuno viene, penso guardandomi intorno e constatando l'ordine che regna assoluto ma anche la polvere.

Il grande salone si apre davanti a me, i due divani sono coperti da teli bianchi, il grande tappetto con le stelle marine blu è arrotolato in un angolo, la libreria in mogano è colma di libri e guide nautiche della nonna, il tavolo in legno da esterno è ripiegato al muro che da sulla sala da pranzo.

Apro la grande finestra che si affaccia sul patio e lascio che l'aria fresca e la luce entrino a riscaldare questa casa.

Tolgo un telo dal divano più piccolo, sollevando una nuvola di polvere e mi ci abbandono, come abbracciata e cullata da un caro che non vedi da troppo tempo.

Quante notti abbiamo trascorso qui io e Giulio un po' troppo sbronzi per andare su, quante risate, quanti film...

Salgo al piano superiore ed entro in quella che ormai da sempre è la mia camera e adesso anche di Azzurra.

Apro la portafinestra che da sul terrazzo sopra il patio per scacciare questo forte odore di stantio.

La luce invade la stanza mostrandomi il mio letto matrimoniale, il lettino singolo di Azzurra, l'armadio bianco ad angolo e il cassettone della mia vecchia camera di casa dei miei e un mobiletto pieno di giochi di Azzurra.

Sopra la testiera del mio letto un enorme foto mia e di Azzurra di spalle al tramonto troneggia su tutto.

Ce l'ha scattata Giulio, qualche anno fa, quanto mi manca il mio fratellino.

Dopo aver arieggiato tutta la casa, mi cambio velocemente ed esco in spiaggia. Ho voglia di fare una passeggiata e di affondare i miei piedi nudi nella sabbia ancora fredda.

Attraverso la strada, scendo la scala in pietra e sono già in spiaggia, mi sfilo velocemente le All Star, mi infilo le Airpods, premo play e inizio a camminare, lasciando che l'acqua gelida lambisca le mie caviglie e la musica la mia testa.

Arrivo infondo alla spiaggia, vicino all'ingresso del porto, velocemente mi sciacquo i piedi e vado a prendermi un pezzo di pizza, che mi mangio seduta sotto il faro, un forte senso di malinconia mi assale, quante pizzette così ho mangiato quando tutto era più semplice, quando la mia vita era fatta solo di inverni turbolenti, estati felice e esami da dare.

Continuo a camminare per il paese e per le strade che hanno accolto i miei primi amori estivi, i primi baci, le prime serate in discoteca, i primi passi di Azzurra e ogni estate della mia vita. Ogni stradina è colma di ricordi, ogni angolo mi riporta alla mente una pagina del mio passato.

Intorno alle 18.00 con il sole che ha già iniziato la sua lenta discesa, rendendo arancione ogni cosa, mi incammino verso casa, sempre passando dalla spiaggia ormai semideserta.

Solo una coppietta, riparata dalle cabine, amoreggia tranquilla distesa sopra un telo.

«Oggi scappiamo al mare, è la giornata perfetta» ribatte sicuro.

«Amore io devo studiare, ho un esame a breve» controbatto la sua proposta.

«Portati i libri e andiamo a casa tua, ce lo meritiamo» dice sicuro.

«Non aprirò libro, lo so già» dico scoraggiata.

«Giuro che ti faccio sudare... ehm volevo dire studiare» dice ammiccando.

«Sei un porco Stefano» dico ridendo.

«Oh piccola, lo so che mi vuoi» dice sfiorando la mia guancia ormai in fiamme.

«Vado a preparare la borsa, maniaco» dico sorridendogli.

La mia mente vaga lontana, immersa nei ricordi, frammenti della mia infanzia felice, della mia adolescenza turbolenta e ribelle, le fughe con Stefano, ma soprattutto il mio complicato presente.

Arrivata più o meno davanti casa, mi siedo sulla sabbia, abbraccio le ginocchia e fisso il mare, nella speranza di trovare le risposte alle mie domande. Nella speranza di trovare un po' di pace nella turbolenta tempesta che impervia nel mio cuore e nella mia mente.

Rabbrividisco alle piccole folate di vento freddo che arrivano da ovest.

Sono talmente tuffata nei miei pensieri che non mi accorgo di una figura scura che si siede accanto a me.

«Ei...» sussurra appena riportandomi violentemente alla realtà.

Salto sul posto dallo spavento e mi volto piano, terrorizzata.

Un timido sorriso si apre da quella bocca carnosa, circondata da una leggera barba scura, lasciando intravedere i denti bianchissimi. Gli ultimi raggi del sole mettono in risalto quella spruzzata di lentiggini sopra il naso e gli occhi verdissimi mi guardano con timore.

«Tu... tu che ci fai qui?» dico piano cercando di far tornare il battito del mio cuore normale dopo lo spavento.

«Non lo so» dice passandosi una mano nei capelli scuri nervosamente.

«Avevo voglia di vederti» continua timido sospirando.

«Ok...» rispondo.

«Forse ho fatto una cazzata» dice alzandosi.

«Forse...» rispondo «ma ormai sei qui» dico alzandomi a mia volta e pulendomi i jeans sporchi di sabbia.

I miei occhi per l'ennesima volta si incatenano ai suoi e tutto scompare, la sua mano trova la mia intrecciando le dita e per un tempo indefinito restiamo così.

Un uomo e una donna che si fissano in riva al mare, cercando di dirsi con gli occhi tutto ciò che non hanno il coraggio di dirsi con le parole, cercando di trovare una verità che ancora neanche loro conoscono.

Alessandro

La guardo intensamente, è bellissima ed è talmente assorta nei suoi pensieri da non accorgersi nemmeno di me.

Ho paura a parlare, perché non voglio disturbarla, ma lei nonostante siano passati dieci minuti non si è ancora accorta della mia presenza.

«Ei...» sussurro piano.

La vedo letteralmente schizzare sul posto e trasalire dalla paura. Cazzo!

Si volta verso di me e spalanca gli occhi scuri, non si aspettava di vedermi, decisamente non si aspettava di vedermi e non riesco a capire se le fa piacere.

Coglione... dice la vocina dentro la mia testa.

Cazzo l'ho davvero spaventata o forse... non è possibile sia contenta di vedermi, ora forse mi urlerà contro.

«Tu... tu che ci fai qui?» chiede piano con il petto che si alza e si abbassa velocemente.

«Non lo so» dico passandosi una mano nei capelli scuri nervosamente, la vocina dentro di me urla per tutte le cose che dovrei dirle e invece non dico.

«Avevo voglia di vederti» dico dando fiato alla bocca senza nemmeno pensare a quello che sto dicendo.

«Ok...» risponde fissandomi.

Merda! Merda! Cretino! Coglione!

«Forse ho fatto una cazzata» dico alzandomi, devo andarmene da qui, non posso continuare ad umiliarmi così.

Dai Ale cazzo, avevamo smesso di farsi trattare così, mi ripeto.

«Forse...» risponde «ma ormai sei qui» dice alzandomi e piazzandomisi davanti, incatena lo sguardo con il mio, mi perdo completamente in quei buchi neri che ormai mi risucchiano come vortici e prende la mia mano, che trema visibilmente.

I capelli lunghi scompigliati al vento, le guance arrossate, la pelle d'oca sugli avambracci scoperti dalla felpa tirata su, le dita lunghe e affusolate con lo smalto rosso unite alle mie, gli occhi scuri fusi con i miei che cercano un appiglio in questo caos.

Ero terrorizzato all'idea di presentarmi qui così, non sapevo cosa avrebbe detto, se mi avrebbe cacciato via, sicuramente non mi aspettavo questo, il nostro silenzio e solamente il rumore delle onde e dei nostri cuori che battono forte.

Quando Claudia ha chiamato Matteo per farsi dare il numero di Martina, la sua amica, l'ho infamata tantissimo per avermi fatto passare come lo sfigato di turno.

Martina invece era entusiasta di questa improvvisata, io ero semplicemente nel panico più totale. Nonostante tutto però sono montato in moto e ho guidato per un'ora e quaranta per arrivare in questo paesino sperduto nella costa toscana.

Disperato, sfigato e pure un po' coglione mi sono chiamato per tutto il tragitto, ma adesso, che la guardo, sono disposto a passare per qualunque cosa pur di sentirmi così un minuto in più.

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Ciao a tutt*!

È la prima volta che apro un piccolo spazio autore sotto questa storia, ma ci tenevo a dirvi due paroline...due, promesso 🤭

Cosa ne pensate della storia per adesso? Andrea e Alessandro vi stanno piacendo? La trama, vi sta prendendo?

Fatemi sapere cosa ne pensate, cosa che per me è importantissima e se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina ⭐️⭐️⭐️

Non ho creato la playlist con le canzoni di questo libro, mi domandavo ma vi interesserebbe? La vorreste?

Da qualche giorno ho aperto un profilo ig dedicato alle mie storie, potete trovarmi come

@ccclaudia_writing ♥️ (https://www.instagram.com/ccclaudia_writing/)

Oggi abbiamo lanciato un nuovo scambio --> Lo Scambio degli Avengers, lo trovate sul mio profilo!

Un bacio grandissimo,

Clau

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