Prologo:La Maledizione

Gennaio 1882,Dragon Mountains

Le Dragoon Mountains si stagliavano all'orizzonte. Frastagliate, cupe, disegnavano profili severi contro il cielo infuocato del tramonto. Sembrava quasi che artigli giganteschi graffiassero il firmamento, mentre un silenzio denso, di quelli che ti pesano sul petto, avvolgeva ogni cosa. Un silenzio tale che persino il vento, di solito così impetuoso in quelle lande desolate, pareva trattenersi, quasi avesse paura di romperlo.

Gli Apache le chiamavano Usen Nugget, le "Montagne che Parlano agli Spiriti". E quella notte, con la luna piena alta nel cielo, nell'aria vibrava un'inquietudine palpabile, quasi una scossa elettrica che serpeggiava tra le valli silenziose.

Tom Ster, un cercatore d'argento con la faccia segnata dalla vita di frontiera, sentiva il sudore freddo imperlargli la fronte, nonostante la fatica lo stesse piegando in due. Le sue mani, ruvide come la corteccia di un albero vecchio e screpolate dal lavoro massacrante, stringevano con forza il piccone.

Scavava nell'oscurità che pareva inghiottirlo, nella miniera che sapeva di umido e di chiuso. La luce fioca della lanterna proiettava ombre danzanti, quasi vive, sulle pareti di roccia. E lì, incastonato nella pietra viva, l'argento luccicava con un bagliore strano, quasi sinistro, ipnotico come gli occhi di un serpente che lo spiavano dall'ombra.

"Fermati, fratello," lo supplicò Running Bear, lo sciamano Apache. La sua voce era grave, profonda, carica di un presagio oscuro che Tom avrebbe dovuto ascoltare. "Questa terra non è tua. È intrisa di sangue, di memorie antiche, dolorose. Lascia che riposi in pace."

Ma Tom rise, una risata roca, sguaiata, che si perse nell'eco cavernoso della miniera. Sventolò una pepita d'argento grossa come il suo pugno, un trofeo di avidità. "Il sangue lo verserò io, se qualcuno proverà a fermarmi. Questa ricchezza è mia, di chi ha il coraggio di prenderla."

In quel momento di cieca arroganza, non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto le parole dello sciamano si sarebbero presto trasformate in una verità spietata, in un destino dal quale non avrebbe potuto fuggire. Eppure, Running Bear aveva provato a spiegargli con pazienza le leggi sacre di quella terra Apache, le antiche credenze tramandate di padre in figlio, sussurrate di generazione in generazione.

L'argento che Usen Nugget custodiva gelosamente nel suo grembo non era un semplice metallo. No, era considerato il sangue sacro della terra, un dono degli spiriti. Chiunque lo avesse strappato via con violenza, macchiandolo con l'avidità e la mancanza di rispetto, avrebbe invocato una maledizione ancestrale, un castigo terribile.

Le parole della maledizione, incise nella pietra del tempo, sussurrate da sciamano a sciamano attraverso i secoli, risuonavano sinistre come un rintocco funebre: "La terra reclamerà ciò che è suo, e il sangue degli avidi nutrirà le sue radici. Ma la maledizione agirà più rapidamente e con maggior virulenza su coloro il cui animo è puro e non contaminato dall'avidità, poiché la terra rifiuta con forza chi la profana con cuore innocente."

Un semplice contatto con quell'argento maledetto, anche solo attraverso una ferita aperta o possedendolo per troppo tempo, avrebbe trasferito la maledizione al profanatore, come un marchio indelebile. E la morte del maledetto non avrebbe spezzato quel ciclo infernale, ma lo avrebbe trasmesso a chiunque avesse assorbito l'argento, direttamente o indirettamente, come un veleno invisibile che si diffondeva nel tempo, di generazione in generazione.

La notte si lacerò all'improvviso. Lo sceriffo Davidson e i suoi uomini irruppero nella miniera, le loro figure cupe, minacciose, riempirono l'angusto passaggio. Tom, preso alla sprovvista, tentò di barattare la sua vita, con la voce che gli tremava per la disperazione. "Vi darò metà del filone! È più di quanto possiate immaginare!"

Ma Davidson, con un sorriso gelido che non arrivava ai suoi occhi di ghiaccio, sollevò la Colt, puntandola tra le scapole di Tom, un gesto che non ammetteva repliche. "Metà? No, amico. Io preferisco tutto."

Tre colpi secchi, brutali, squarciarono l'aria densa e polverosa della miniera, mescolandosi al rombo lontano di un tuono, presagio di una tempesta che si stava avvicinando. Il corpo di Tom si accasciò senza un lamento, rotolando in una pozza d'acqua stagnante che rifletteva la luce morente della lanterna, creando un'immagine macabra. Davidson, senza rivolgere uno sguardo al cadavere, raccolse la mappa della miniera caduta a terra, macchiandola con il sangue ancora caldo di Tom, un gesto di puro disprezzo.

Turner era lì, immobile nell'ombra, silenzioso come un fantasma. Non aveva sparato, aveva solo osservato la scena con un silenzio di pietra, le labbra serrate in una linea sottile di disapprovazione, gli occhi fissi sul corpo inanimato. "Non doveva finire così," mormorò, la voce appena udibile, un sussurro nel vento. "Era mio amico."

Davidson rise, un suono duro, senza un briciolo di calore umano, e gettò la mappa insanguinata nelle mani di Turner, un gesto sprezzante. "Non ci sono amici, Turner. Solo chi prende e chi resta con niente. Impara la lezione."

Fu in quel momento che Running Bear apparve all'ingresso della miniera, la sua figura austera, imponente, illuminata dalla luna piena. Il suo volto era solcato da ombre rituali, gli occhi brillavano di una luce strana, quasi sovrannaturale. Senza dire una parola, tracciò un cerchio di polvere rossa attorno al cadavere di Tom, un confine sacro tra il mondo dei vivi e quello dei morti, un gesto di rispetto.

Poi, con un coltello di ossidiana affilato come il dolore, incise il petto di Davidson, un taglio netto, preciso. "Hai versato sangue Apache su terra Apache," sibilò, la voce un sibilo carico di rancore antico. "D'ora in poi, chiunque cerchi quest'argento morirà solo e tradito. La terra reclamerà ciò che è suo."

Davidson rise di nuovo, una risata sguaiata, ma la risata si trasformò in un rantolo agonizzante quando la ferita sul petto iniziò a pulsare, irradiando un nero innaturale, come carbone ardente. In lontananza, un coyote ululò, un lamento lugubre che si fuse con il vento crescente. Era l'inizio della maledizione, il primo atto di una tragedia che si sarebbe dipanata nel tempo, inesorabile come il destino. Turner guardò Davidson contorcersi, il suo corpo scosso da spasmi violenti. Abbassò lo sguardo sulla pepita che Tom stringeva ancora tra le dita rigide, un ultimo, disperato tentativo di aggrapparsi alla ricchezza.

Con un gesto delicato, quasi reverenziale, gliela tolse dalla mano. Per un attimo, vacillò, indeciso se lasciarla cadere nella polvere, liberarsene per sempre. Ma poi, spinto da un impulso oscuro, irrazionale, la strinse nel pugno, un gesto di sfida. "Non credo nelle maledizioni," sussurrò tra sé, cercando di convincersi, ma la sua mano tremava impercettibilmente, tradendo la sua paura.

Nel preciso istante in cui la sua pelle nuda entrò in contatto con l'argento maledetto, la maledizione iniziò a fluire in Turner, invisibile e silenziosa come un veleno che si insinua nelle vene, un contagio inarrestabile.

Mentre gli uomini si allontanavano in fretta, lasciando la miniera alle tenebre e al silenzio opprimente, la lanterna di Tom si spense, gettando l'antro nell'oscurità più completa. Ma nelle tenebre, una voce sussurrò all'orecchio del morto, un eco lontano, quasi impercettibile: "Tuo fratello verrà. E pagherà per tutti."

Turner si voltò di scatto, il cuore che martellava nel petto, i sensi all'erta. Per un attimo, giurerebbe di aver sentito il suo nome sussurrare nel vento, un presagio inquietante, un avvertimento. La pepita nella sua mano sembrò pulsare con un calore strano, vibrante di una forza oscura e sconosciuta, un richiamo irresistibile.

Turner e Davidson si allontanarono dalla miniera, lasciandosi alle spalle la maledizione appena invocata. Ignari di essere osservati, Will Ster, il fratello minore di Tom, aveva assistito all'intera scena nascosto tra le rocce, il cuore in fiamme per il dolore e la rabbia. Aveva visto uccidere suo fratello, aveva ascoltato le parole della maledizione, aveva visto Davidson prendere la mappa. La vendetta era l'unico pensiero che gli bruciava nella mente.

Seguì i due uomini nell'ombra, muovendosi con la furtività di un fantasma. Sapeva che recuperare quella mappa era l'unico modo per onorare la memoria di Tom e, forse, per fermare la spirale di violenza che si era appena innescata. Quando Turner si separò da Davidson, allontanandosi solitario lungo un sentiero isolato, Will vide la sua occasione.

Balzò fuori dall'ombra, rapido e silenzioso come un puma. Turner, colto di sorpresa, non ebbe il tempo di reagire. Will lo atterrò con un placcaggio violento, facendolo cadere a terra. La mappa insanguinata scivolò dalle mani di Turner nella polvere. Will la afferrò con decisione, ignorando le proteste furiose e i pugni rabbiosi di Turner.

Con la mappa stretta al petto, Will scomparve di nuovo nell'oscurità, lasciando Turner solo e furibondo, divorato dalla rabbia e dalla sete di vendetta. La mappa era sua ora, la chiave per la ricchezza maledetta e, Will sperava, per la giustizia che cercava disperatamente. La maledizione era stata invocata, ma la sua vendetta era appena cominciata.

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