3. Articolo 42B
Alex dovette attendere il tramonto prima di avvicinarsi al punto che le due donne avevano grossomodo indicato dal treno. Dopo aver origliato la loro conversazione era sceso alla fermata successiva, nonostante il suo biglietto coprisse il viaggio per almeno altre tre città dopo quella. Ottenere degli indizi concreti su come raggiungere una comunità fuorilegge già al suo secondo giorno di fuga, e senza nemmeno cercarla, aveva dell'incredibile: sarebbe stato uno stupido a non approfittarne. Certo, la probabilità che si trattasse del gruppo che firmava quei volantini con la sigla IVC era bassa (un colpo di fortuna decisamente non da lui), ma avrebbe accettato qualsiasi aiuto che chiunque potesse fornirgli. Sapeva che i fuorilegge spesso si davano una mano tra loro, si nascondevano e coprivano a vicenda, che fossero i Ratti (ammesso che esistessero davvero e non fossero piuttosto solo una leggenda metropolitana), piccoli gruppi di fuggiaschi, rinnegati o proprio gli IVC.
La distanza percorsa in treno in quindici minuti richiese quasi un giorno intero di cammino a piedi, soprattutto perché Alex dovette seguire strade apparentemente parallele ai binari che spesso allungavano di parecchio il suo tragitto. E in tutto ciò preoccuparsi anche dell'atteggiamento da assumere a beneficio degli sguardi che potevano posarsi su di lui: per un tratto era stato una persona che si stava spostando da un posto a un altro come da routine, poi uno studente che aveva perso il treno, poi qualcuno a cui avevano dato buca a un appuntamento. Oltre alla fatica fisica, la tensione costante e la paura di essere scoperto l'avevano sfiancato. Sperò che al campo ci fosse ancora qualcuno e che ci fosse del cibo, perché non era riuscito a procurarsi nulla da mangiare ed era quasi ora di cena: il panino comprato nel bar di un paese che aveva attraversato verso le tre di pomeriggio era tutto ciò che aveva ingerito dalla colazione.
Raggiunta la destinazione rimase in attesa un'altra mezzora che il sole scendesse ancora un po', per lasciare che a illuminare il capannone visto dal treno fosse la sola debole luce del crepuscolo. Si fece quindi coraggio e camminò verso l'ignoto, oltre una siepe i cui rami erano spezzati in più punti e un tappeto di foglie ancora verdi distese su una stradina sterrata. Girò intorno al capanno e sul retro notò tracce di attività: stracci che faticava a distinguere come vestiti o coperte, delle scarpe, resti di cibo, cartoni ammassati sulla parte esterna del capanno, buste, mucchietti di legna. Ma nessuna persona: forse se ne erano andati tutti senza più tornare. Se solo fosse scappato un giorno prima! Ma in quel caso non avrebbe preso quel treno e quindi captato nulla riguardo al posto in cui si trovava. O peggio: se fosse arrivato un giorno prima sarebbe stato presente quando i militari dell'ordine avevano fatto irruzione e così avrebbero portato via anche lui. Chissà dove. Che fine avevano fatto i ragazzi che erano stati presi? Raccolse un foglio da terra. Era sporco di fango, macchiato di qualche liquido che intanto si era asciugato lasciando un grosso alone, ma c'era ancora abbastanza luce da capire cosa ci fosse scritto: al centro c'era un grosso pesce dalla forma allungata e sotto, scritta in modo netto e rimarcata più volte, la frase "No agli sgombri". Il gioco di parole con il pesce lo fece sorridere e forse fu quello il momento in cui abbassò la guardia e che la persona che lo stava osservando nascosta dietro una parte di siepe ancora in piedi aspettava per palesarsi.
«Chi sei?»
Alex lasciò immediatamente cadere il foglio e si voltò verso quella voce. Perché non aveva portato una torcia con sé? Aveva preso della biancheria pulita (e non aveva ancora avuto modo di lavarsi) e delle stupide riviste, ma non una dannata torcia elettrica.
«Identificati» insistette quella voce, con tono autoritario.
«Io...» Non aveva pensato nemmeno a delle generalità fittizie da dare in eventualità simili. Quanto posso essere stupido? Inventa un nome, un nome a caso. Un nome di un compagno di classe. No, un compagno no, potrebbero risalire a me. Il nome di un attore famoso. No, un attore famoso no, se lo conosco io lo conoscono anche gli altri.
«Te lo chiederò una terza volta, ma sarà l'ultima. Identificati. Secondo l'articolo 42B del Codice, ogni agente, di qualsiasi ordine faccia parte, è obbligato a fornire il proprio codice identificativo a un collega o a un civile, se richiesto, pena la detenzione e la perdita dei gradi.»
«Non sono un poliziotto» rispose con la bocca secca.
«Di qualsiasi ordine faccia parte» ripeté la voce, che ora Alex riusciva a identificare provenire da una persona di sesso femminile.
«Sono un civile» riuscì a dire, terrorizzato e immobile, ad eccezione della bocca, che restando aperta nel tentativo di incamerare più aria possibile, si stava seccando. Continuando così non sarebbe più riuscito a pronunciare niente, nemmeno un nome fittizio. Aveva per caso un'arma puntata contro? Lo stavano per arrestare o malmenare?
«Generalità, prego. E motivo per cui sei qui.»
«Sto solo tornando a casa, ho perso il treno» mentì.
«Non ci sono strade che portano a centri abitati da qui.»
«Mi sono... perso?» quasi lo chiese, come se volesse indagare sulla possibilità che quella risposta potesse andare bene o no.
«Lo chiederò un'ultima volta.» E a quel punto Alex sentì chiaramente il rumore di un ramo spezzato a terra provenire dalla sua destra, dietro una siepe più alta di quella che aveva attraversato. E no, non era un topo, uno scoiattolo o un gatto selvatico, ma qualcosa di molto più grande, se lo sentiva. Di lì a poco gli avrebbero sparato, la sua fuga sarebbe finita lì. Credeva di essere intoccabile perché alla sua famiglia il marchio dei giusti aveva garantito una vita felice, ma era evidente che non lo avrebbero mai saputo: il dispiacere provato per il suo abbandono sarebbe stato tutto ciò che di brutto avrebbero sperimentato nella loro vita. Quindi, se fossi rimasto a casa, non avrei fatto questa fine. Sarei stato infelice ma vivo. Forse, però, è meglio così. Forse ho trovato il modo per non farli star male e mettere fine anche alle mie sofferenze. Chiuse gli occhi e si preparò al peggio. Sono pronto.
«Non essere ridicolo. Nessuno è pronto per una cosa del genere.»
Come? Lo aveva detto ad alta voce? Era convinto di averlo solo pensato. Riaprì gli occhi di scatto, giusto in tempo per vedere quella persona uscire dal suo nascondiglio e avanzare verso di lui. Dal punto in cui aveva sentito il rumore del ramo spezzato, però, non si mosse nulla. Chiunque fosse nascosto lì dietro lo stava tenendo d'occhio ed era pronto a intervenire a un suo passo falso.
«Ho detto di non essere ridicolo. Se pensi di essere pronto per una cosa simile sei davvero stupido.»
La guardò qualche istante. Non riusciva a capire se avesse i capelli molto corti o se fossero raccolti sotto il cappuccio della felpa. Una felpa strana, nera, con sopra il disegno in giallo di una faccia stilizzata con delle x al posto degli occhi e la lingua di fuori, e poi una scritta che, per le pieghe del tessuto, non riusciva a capire. Era forse la divisa di qualcosa? Leggeva van al centro, forse una N all'inizio, ma nulla di più. Come se la ragazza potesse leggergli la mente, cosa che ormai credeva assurdo ma possibile, tirò gli angoli della scritta per permettergli di vedere meglio.
«Che cos'è una Nirvana?» chiese Alex leggendo bene quel nome, con attenzione.
«È musica» rispose lei, mantenendo una certa distanza. Lo guardava con sospetto, ma non sembrava avere paura di lui. Certo, non con chiunque ci fosse nei paraggi a guardarle le spalle.
«Musica che viene dallo Stato F?» le chiese, pur consapevole che portare avanti una conversazione simile in quel momento era surreale. Davvero non c'erano cose più importanti di cui parlare?
«Viene da... un'altra parte» rispose lei bruscamente, per poi riportare effettivamente il discorso su argomenti più rilevanti, cosa che Alex era incapace o aveva paura di fare: «Perché sei qui? Cosa cerchi? E non mentire. So riconoscere una bugia».
Immagino di sì, pensò. E la ragazza annuì e Alex capì che ormai era inutile mentire. «Ho il marchio nero,» confessò. «Sono scappato prima della condanna. Sto cercando...» Si sfilò lo zaino delle spalle per prendere il volantino, ma quel gesto allertò sia la ragazza sia i suoi compagni. Sentì degli scricchiolii molto più nitidi tra i cespugli e per un attimo pensò a come era iniziata la sua giornata, con quel suono accanto a sé.
«Prima di continuare,» provò il tutto per tutto, «identificati. Identificatevi tutti. Se siete degli agenti, di qualsiasi ordine facciate parte, dovete identificarvi. È la legge.» Parlò volutamente al plurale, sottolineando che sì, aveva capito che la ragazza non era lì da sola e che lui era meno stupido di quanto avessero pensato.
La ragazza sorrise e Alex pensò che ci fosse qualcosa di sgradevole in quel sorriso, era carina, ma quella smorfia non le si addiceva. «Ti sembro uno sbirro?»
«E io ti sembro uno sbirro? Eppure, mi hai chiesto di identificarmi.»
«Perché non si sa mai.»
«Potrei dire lo stesso. Quindi?»
«Sono una civile,» disse lei con una punta di orgoglio e aggiunse un «anche io» che fece sentire Alex un po' più al sicuro. Se non lo ritenevano una minaccia forse non gli avrebbero fatto del male.
«Non mi hai ancora detto perché sei qui.» chiese nuovamente lei.
«Ho trovato dei volantini firmati IVC, sto cercando quelle persone e quel posto, se esiste, per chiedere rifugio.»
A quelle parole lei ridacchiò e borbottò un «Auguri!» che Alex non seppe come interpretare. Significava che non li avrebbe trovati? La ragazza restò un po' in silenzio, come se fosse in ascolto di qualcosa nell'aria, poi aggiunse: «Fammelo vedere».
«Il volantino?»
«Conosco quello stupido volantino. Il marchio. Fammi vedere il marchio.»
Nessuno gli aveva mai chiesto di mostrarglielo e lui si era guardato bene dal farlo spontaneamente. Non aveva nemmeno avuto l'occasione di spogliarsi e levarsi la maglietta insieme a qualcuno, prima di quel momento. Sentì che stava arrossendo al pensiero di farlo e le sue mani, posato lo zaino a terra, afferrarono il bordo della maglietta sotto la giacca con una certa incertezza.
«Ho già visto anche uno stupido uomo senza maglietta, quindi non fare troppe storie.»
Alex alzò lo sguardo verso di lei e nonostante non riuscisse a vederla chiaramente cercò di mettere nella sua occhiata tutto il senso di fastidio e di sfida che stava provando; quindi, sollevò la maglia per mostrare il suo marchio, sul fianco sinistro. Lei fece tre passi verso di lui, con estrema lentezza, mentre intorno a loro le altre persone sul posto smettevano di nascondere la loro presenza e preoccuparsi di non fare rumore. Quanti erano in tutto? La ragazza guardò il marchio qualche istante, poi annuì e a quel segnale Alex li vide uscire dall'ombra per avvicinarsi a lui.
Spazio autrice
Di solito non mi concedo lo spazio autrice, ma in questo caso ci tengo a sottolineare un tema a cui tengo particolarmente che può essere sfuggito. È chiaro come il mondo in cui vive Alex sia un mondo imperfetto, una realtà molto lontana dalla nostra, in cui si hanno meno diritti e meno libertà. Eppure, lì, il codice identificativo degli agenti delle forze dell'ordine è obbligatorio. Ecco, in una distopia, ho voluto mettere un po' di utopia, sperando che, prima o poi, questa cosa diventi realtà anche per noi, per un mondo davvero più sicuro per tutti, a prescindere dagli ideali di ognuno, da me che scrivo e da voi che state leggendo.
Questo dettaglio, comunque, tornerà nella storia, quindi ci tenevo a evidenziarlo in ogni caso, non solo come riflessione personale.
Grazie per l'attenzione, buon proseguimento.☺
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top