19. Una su tre
Tutto di quella giornata era surreale. Dopo la strampalata conversazione avuta con Lev in cucina ora si ritrovava a passeggiare con Greta in quello che aveva tutta l’aria di essere un paese deserto. Dalla cima della piccola collina su cui era stata costruita la casa in cui alloggiava, discesero lungo il quartiere di villette dove aveva accompagnato Lara la sera prima e proseguirono attraverso il centro, poi verso una zona più artigianale e commerciale.
«Dove sono tutti?»
«Tutti chi?» Greta mise su un sorriso ironico.
Alex sbuffò, la sua tolleranza nei confronti della ragazza ormai ridotta ai minimi termini. «Abbiamo passato ameno venti case, dove sono le persone che ci abitano?»
«Al lavoro. Sai, la comunità non si tiene in piedi da sola eccetera eccetera.»
Eccetera eccetera? Ma che risposta è? «Certo, le occupazioni quotidiane, i lavori che molto liberamente hanno scelto di fare.»
Greta si fermò e anche Alex smise di camminare, visto che lei era a tutti gli effetti la sua guida in quel posto. «Sei forse in grado di fare qualcosa di concreto? Hai studiato per svolgere un mestiere in particolare? Mi risulta che tu sia uno studente e, lasciatelo dire, nemmeno così brillante. Ho visto i tuoi test scritti, sai?»
Alex avvampò, ma cercò di darsi un contegno. «Non… non era un test di cultura generale. Non ti sono piaciute le mie risposte a quanti fratelli e sorelle ho detto addio o se credo negli alieni?»
«Non è quello.» Lo sapeva già, ma aspettò comunque di sentirselo dire. «È che scrivi come un bambino di sette anni, quindi cosa vorresti, magari un lavoro di segreteria o d’ufficio?»
«Cosa c’entra con quello che ho detto?» Anche se aveva urlato nessuno venne fuori dalla casa davanti alla quale si erano fermati a discutere, che a quel punto poteva essere anche una scenografia per un film, per quel che sembrava.
«Ma hai fatto quella battuta sullo scegliere liberamente il lavoro. Notizia per te, Max o come cavolo ti chiami davvero: qui le cose sono un po’ diverse che là fuori, non ci sono tutti i lavori del mondo e non puoi scegliere quello che preferisci.»
Gli venne da ridere, di un’ironia molto amara. «Anche io ho una notizia per te: questa cosa per me vale anche lì fuori!» Si tirò su la felpa per mostrarle il marchio sul fianco del torace, poi la rimise a posto. «Quindi scusami se sono scappato da un destino deciso da altri per finire in un altro posto dove decidono per me cosa dovrei fare per il resto della mia vita!»
«Se le cose non ti piacciono allora vattene, nessuno ti trattiene, avremmo tutti un problema in meno. Lo sai quanti marchi verdi e rossi devono restare qui per ogni marchio nero che accogliamo?»
Alex ripensò alla spiegazione di Rick della sera prima: Sistema a somma zero, l’aveva definito così. Per non essere un peso per la sua famiglia era finito per essere a tutti gli effetti un peso per quella comunità, tanto quanto lo era Rick. A differenza sua, l’uomo, almeno, aveva un lavoro utile; in che modo lui avrebbe potuto contribuire? Annuì debolmente, incapace di ribattere oltre.
«Credi che qualcuno si strapperà i capelli se te ne vorrai andare? Io no di sicuro.» Greta sferrò il suo ennesimo attacco, a cui questa volta Alex non seppe ribattere. Si limitò ad abbassare lo sguardo al suolo. Sapeva di essere l’ultimo arrivato, di aver passato poco tempo con le persone che aveva appena conosciuto, ma forse con il tempo sarebbe riuscito a farsi apprezzare, se gliene avessero dato la possibilità. Non ambiva a essere importante o speciale per loro, ma almeno accettato, ben voluto. Aveva parlato con i suoi coinquilini e avuto un appuntamento con una ragazza, non erano forse gli inizi per creare dei legami? Visti da fuori dovevano essere episodi così piccoli e insignificanti che non riuscì a usarli in sua difesa contro la messa al muro da parte di Greta, che incentivata dal silenzio, continuò a borbottare contro di lui: «Maledetti nuovi, siete tutti uguali, arrivate qui e pretendete la casa migliore, il lavoro che volete voi…!»
«A me piace la casa dove sto adesso, non voglio andare altrove.» Da qualche parte trovò il coraggio di dire almeno quello. «E poi… se non vuoi persone nuove perché metti in giro quei volantini?
La confusione che la ragazza mostrò sul suo viso gli fece realizzare che aveva appena parlato di qualcosa di cui non doveva essere a conoscenza. Non sapeva come fare marcia indietro su ciò che gli era appena scappato e la sua interlocutrice era una statua di sale, incapace di ribattere. Sembrava stesse persino trattenendo il respiro. Perlomeno, aveva trovato il modo di placare il suo fiume di parole e metterla a tacere per un po’.
«Co… co… come fai a… dirlo?» gli chiese appena riprese a respirare.
Bella domanda. Come faceva a saperlo? Benché non ci fossero dubbi sul fatto che il suo marchio fosse autentico, aveva capito dal colloquio con Emma che le persone dotate di capacità fuori dal comune non erano ben volute lì. Quindi inventarsi di aver avuto in prima persona un sogno “magico” era fuori discussione. Ma se avesse raccontato la verità avrebbe compromesso gli sforzi dei ragazzi che lo avevano aiutato, trovare la persona che stavano cercando sarebbe diventato ancora più difficile, se non impossibile, e la causa sarebbe stata lui.
«Rispondi!» sibilò Greta. «Dormivi quando io e Lara ne abbiamo parlato.»
«Vi ho sentite, dopo aver parlato con Emma. È vero, stavo dormendo prima, ma poi mi sono svegliato un momento e vi ho sentito parlare.»
Greta rilasciò l’aria tutta in una volta, poi fece un gesto con le mani per liquidare il discorso, ma Alex notò che a dispetto della disinvoltura mostrata dalla ragazza, le tremavano. «Te lo sei sognato, allora. Io non c’entro niente e sarebbe meglio che la smettessi di andare in giro a dire cose del genere.»
Ma Alex voleva sapere, non avrebbe mollato tanto facilmente, non quando Greta sembrava aver abbassato la guardia ed essere scesa di qualche gradino morale su cui si era eretta, rispetto a lui. «Perché li fai? Voglio sapere solo questo. Io credevo fossero ufficiali, che la comunità volesse allargarsi e accogliere più persone.»
«Ti ho già detto che non è opera mia!»
«E io ti ho detto che vi ho sentite!»
«Parlavamo piano e la porta era chiusa, è impossibile che tu…» D’un trattò sembrò arrendersi e capire che discutere sul come lui l’avesse scoperta non li avrebbe portati a nulla. «Senti, se proverai a dirlo in giro metterai nei casini anche Lara. Hai detto tu che ci hai sentite parlare. Anche se omettessi questa informazione… lei è la mia migliore amica da tutta la vita, credi che non la incolperanno di essere mia complice? Forse la esilieranno e sarà tutta colpa tua. Credi che avrai ancora qualche speranza, con lei, dopo? Anche se fosse così folle da permetterti di seguirla, tra tutti i ragazzi che potrebbe scegliere, lì fuori, credi che starebbe con un marchio nero, e per giunta come te?»
«Cosa vorrebbe dire “come me”?»
«È quella la parte più importante? Davvero? Sei ancora più superficiale di quanto avessi pensato.»
«E tu sei una ricattatrice e una…» come descrivere ciò che aveva fatto? Alex non sapeva nemmeno a cosa servissero quei volantini e in che modo potevano ledere il gruppo, ma voleva provare a ricambiare, per quanto possibile: «… una tipa losca!»
«Uh, una tipa losca? E il modo in cui sei comparso qui davanti con quello strano cartello appeso al collo? Quello non è losco, vero?»
«Be’, ma se è per questo tu sei anche una stronza!»
Greta scosse la testa. Nemmeno quello sembrava ferirla, anzi, i tentativi di Alex di offenderla a sua volta la divertivano. Cambiò del tutto espressione quando il suo sguardo cadde dall’altra parte della strada. Alex si voltò appena per capire cosa ci fosse alle sue spalle in grado da pietrificare Greta in un secondo e vide Emma avvicinarsi ai due. Tornato a guardare la ragazza, la vide concentrare tutti i muscoli del suo viso alla disperata ricerca di un sorriso di circostanza, anche se tra le labbra mormorò: «Se le dici qualcosa ti vengo a uccidere nel sonno, hai capito?»
Un attimo dopo la donna era già a un passo da loro. «Ciao ragazzi, tutto bene? Stavo andando in ufficio quando vi ho visto fermi in mezzo alla strada. Sembravate discutere.»
«No, mamma, figurati.» Greta rispose all’istante, tirando il suo sorriso ancora di più, se possibile.
«Bene. Avete finito il giro di orientamento?»
«Quasi.» Rispose Greta. In realtà non avevano nemmeno iniziato, avevano solo attraversato la zona residenziale fino a quella in cui si trovavano, senza però ricevere indicazioni su negozi e attività che potessero essere utili. Più che guidato era stato scortato, Greta aveva solo deciso il tragitto ed evitato che lui lo deviasse. Ma preferì non lamentarsi e annuire.
«Allora potresti venire un attimo con me? Abbiamo avuto qualche intoppo per l’incontro di domani.» la donna si rivolse prima a Greta, poi direttamente a lui: «Max, è un problema se ti lasciamo da solo d’ora in poi? Hai i riferimenti nel fascicolo, da qui in poi è impossibile perderti.»
Se per questo, era impossibile perdersi anche fino a qui. Accompagnarmi è stata una formalità senza senso. «No, certo. Posso farcela.» Prese la cartellina dalle mani di Greta, sollevato di non dover passare altro tempo in sua compagnia. Lei non lo guardava più e aveva un’espressione indecifrabile, di una neutralità che ad Alex mise i brividi. «Grazie.»
Quando le due furono abbastanza lontane aprì il raccoglitore e tirò fuori il primo foglio, in cima a tutti gli altri. C’erano poche parole al suo interno, scritte a mano in una calligrafia regolare e precisa:
- Officina Rick
- Pane da Tom
- Tubi
Difficile dire se fosse un caso, se fosse dovuto ad aver dimostrato scarse competenze linguistiche nei test o se fosse fortuna e non aveva nulla contro il pane di Tom o i tubi di chiunque fosse il gestore dell’attività di idraulica, ma prima ancora di aver valutato le altre due opzioni, sapeva di aver fatto la sua scelta. Una su tre.
***
L’officina era al piano terra di una palazzina bianca un po isolata dagli altri edifici, con l’intonaco tendente al grigio e una grossa insegna luminosa con la scritta: “Officina” e sotto, più piccolo “Rick.”
Già nell’avvicinarsi alla porta del garage poté sentire la voce roca dell’uomo imprecare e prendersela ora con “questo fottuto pezzo” ora con “il maledetto gancio” e altri termini che Alex dimenticò all’istante, troppo concentrato sul trovare un modo per palesare la sua presenza. Provò con il buon vecchio metodo del colpo di tosse, ma quando andò a vuoto provò a battere le nocche su un armadietto di lamiera posizionato accanto alla porta. Niente. «Ehi» provò a voce. «Rick!» Non lo vedeva, ma immaginò che da un momento all’altro sarebbe venuto fuori da sotto una macchina su uno di quei carrellini tipo brandina con le ruote, come aveva visto in tanti film e pubblicità. Una volta aveva accompagnato suo padre dal meccanico, ricordava che l’avevano fatto stare in un ufficio con le pareti trasparenti, a giocherellare con una penna multicolor, mentre gli adulti parlavano tra loro di pezzi di ricambio e guasti e altre cose che lui non avrebbe capito.
Anche Rick venne fuori da una porta che sembrava aprirsi su un ufficio. Ma di macchine nemmeno l’ombra.
«Ehi a te, Max.» Si pulì le mani su uno straccio raccattato dal pavimento di cemento (e questo Alex lo aveva visto fare davvero da qualche meccanico in TV). «Di cosa hai bisogno?»
«Sono venuto a sbirciare dove lavori.»
«Vorresti darmi una mano?»
«Non so nemmeno come si accende una macchina.»
Rick rise, di lui, di sicuro, visto che ciò che lui aveva detto non gli sembrava così divertente.
«Bene, allora visti i tuoi ottimi requisiti…» guardò l’orologio appeso al muro di destra, sopra la finestra che indicava quasi le due e un quarto «direi che sei qualificato per la pausa pranzo, se non hai già mangiato.»
«Oggi ho solo fatto colazione con Lev, se così si può dire.»
Sul viso di Rick comparve un sorriso affettuoso, che ad Alex sembrò quasi paterno «Scommetto che era in ritardo e ha trangugiato qualcosa in piedi, sbriciolando dappertutto.»
«In realtà no. Cioè, sì, era un po’ di corsa perché aveva paura di fare tardi. Ma si è comunque seduto con me a fare due chiacchiere, mi ha spiegato che lavoro fa e…» non sapeva se intavolare quel tipo di conversazione o se il luogo fosse adatto, ma ci provò comunque: «e del perché.»
«Oh. Quello.» Rick abbassò lo sguardo sulle sue mani, che iniziò a pulire con più vigore. «Sì, be’, non credo questo sia il luogo più adatto per parlarne.» Iniziò a raccogliere gli attrezzi sparsi sul pavimento.
«Allora a pranzo?»
«Nemmeno. Hai avuto i risultati dei tuoi test? Sai se resterai?»
«Sì.» Gli sventolò davanti la cartellina verde. «Sembra che io sia idoneo a lavorare qui per te, in una panetteria e una cosa che a che fare con i tubi.»
«È un idraulico, sì, è un isolato più giù. È un lavoro duro, quando c’è un intervento da fare, ma non capita spesso. Anche la panetteria è in centro, ma ha degli orari massacranti.»
«E qui invece?»
«Vorresti lavorare qui?»
«Perché no? Non vorresti una mano? Posso imparare. Mi piacciono le macchine e posso imparare tutta la roba sui motori.»
Rick rise di nuovo, più forte questa volta.
«Che c’è?»
«Ma ti sei guardato intorno? Di che macchine stai parlando?»
Alex fece vagare lo sguardo su tutto il garage. Attrezzi, macchie d’olio, un pannello a parete con altri strumenti. Okay, non c’erano macchine su cui lavorare al momento, ma sarebbero arrivate, no?»
«Ti faccio vedere a cosa stavo lavorando, vieni.»
Lo seguì oltre un’apertura nel muro dove in teoria ci sarebbe dovuta essere una porta, ma c’era solo una tendina fatta da strisce verticali di gomma. Al centro della seconda stanza, ancora più piccola della prima, in cui si trovarono c’era una coperta stesa a terra e lì sopra una bicicletta smontata.
«Bi… bici? Non eri un…»
«Meccanico? Già, ma non c’è molta richiesta in quel senso, mi sono dovuto adattare.»
«Ma ho visto delle auto, venendo qui, parcheggiate nei vialetti delle case.» A pensarci bene, le aveva notate quando Lara e Greta lo avevano accompagnato al municipio appena arrivato, ma ripassando quella mattina non ne aveva visto autovetture né in movimento in strada né parcheggiate.»
«La maggior parte di noi lavora qui e non supera mai il cancello, quindi le auto sono poche qui, non ne vedrai girare molto da queste parti. Sarà più probabile che tu ti imbatta in biciclette e monopattini.» Rick guardò la bici smontata a terra, poi riportò il suo sguardo su di lui.
Anche Alex guardò quella massa di ferraglia sulla coperta. «Ma posso comunque darti una mano, anche con questa, se mi insegni.» Era triste che Rick avesse ripiegato su una cosa che non lo appassionava come i motori. Si era adattato, aveva accettato quello che gli era stato offerto senza protestare e a testa bassa si era messo a lavorare. Anche lui avrebbe potuto farlo: avrebbe dimostrato a Greta che si sbagliava sul suo conto, avrebbe imparato in fretta e presto sarebbe stato bravo almeno quanto Rick stesso.
«Puoi lavorare qui, se vuoi. Anche quando non c’è molto da fare cerco di tenermi pronto quando arriva un lavoro da fare. Spesso mancano i pezzi e dobbiamo aspettare che qualcuno li vada a ordinare in città quindi per la maggior parte del tempo sono fermo. Ma da queste parti non amano chi sta con le mani in mano, meglio fermo a far niente dentro un’officina che a casa, è così che funziona.»
«Almeno imparerò qualcosa, potrebbe sempre tornarmi utile.»
«Mi piace lo spirito!»
«Questo significa che sono… assunto?»
«Direi di sì.»
«Posso darti una mano con questa, se vuoi, per imparare.»
«Questa? Non è qualcosa che devo riparare, è più una… una cosa che sto assemblando di mia iniziativa. Preferisco farlo da solo.»
«Allora…» Alex guardò l’orologio al polso. Continuava a farlo pur sapendo che era rotto.
«Per quello non abbiamo negozi, qui. Ti toccherà mandarlo fuori con qualcuno.»
«Dovrò prima guadagnare qualcosa per potermi permettere la riparazione. Quel poco che avevo… non c’è più.» E comunque non sarebbe bastato.
«A proposito di questo. Ti hanno già parlato del cambio?»
«No… Che cos’è?»
Rick sospirò e si passò una mano sulla fronte. Alex avrebbe desiderato ritirare la sua domanda e smetterla di essere un peso a cui dovevano spiegare ogni cosa. «Dovrebbero stampare degli opuscoli di orientamento.» Sarebbe stata una cosa utile e anche apprezzata, in effetti.
«I soldi che avevi con te qui non valgono. Certo, avresti potuto cambiarli con la nostra moneta, ma solo quello.»
Come se gli avessero fatto la cortesia di lasciargli anche solo qualche moneta. Era sparito tutto e anche se non aveva avuto l’ardire di puntare il dito contro Greta, era sicuro fosse stata opera sua.
«E se mi serve qualcosa da… fuori?»
«Paghi l’incaricato che esce a prenderti ciò che serve.»
Ma a lui… chi dà i soldi che valgono fuori da qui? Come sempre, ogni risposta che Alex otteneva chiamava altre domande. Si chiese se sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe compreso come funzionava quel posto, se si sarebbe integrato prima o poi.
Rick sembrò leggergli nel pensiero, perché gli appoggiò una delle sue grandi mani su una spalla e con la sola forza di quel braccio lo scosse un po’ a destra e sinistra. «Non preoccuparti, ci vuole un po’ per integrarti e capire tutto, ma poi sarà tutto automatico.»
Alex rilasciò un respiro. Rick sapeva di che parlava, ci era passato molto prima di lui, il suo non era uno di quei consigli vuoti che ti davano le persone senza nemmeno provare a mettersi nei panni degli altri.
«C’è qualcosa in particolare che ti serve, che ti sei dimenticato di prendere o che… non avevi più quando ti sei svegliato qui davanti?»
Alex guardò l’orologio al suo polso, il vetrino rotto, le lancette ferme. «Vorrei riparare il mio orologio.» Si rendeva conto di quanto suonasse patetico, date le circostanze, restare attaccati a un oggetto del genere, ma non aveva voglia di dare spiegazioni sul perché fosse importante per lui.
«Si può fare. Lascialo a me, ho qualche credito extra. Faremo prima, così.»
Fu così grato che se lo slacciò in un secondo, accarezzò il quadrante un’ultima volta e lo porse all’uomo con un sorriso e uno sguardo colmi di gratitudine.
L’altro prese l’oggetto con una delicatezza inaspettata, se li rigirò tra le mani, poi corrugò la fronte e ricambiò il sorriso con l’aria di chi aveva appena scoperto qualcosa di molto divertente.
«Alex, eh?»
Ci mise qualche istante a capire che Rick lo stava chiamando con il suo vero nome. Come aveva fatto? Ma certo, la dedica del nonno dietro il quadrante. Era stato così stupido.
«Non preoccuparti, non lo dirò a nessuno. E qui non conta molto quale sia il tuo vero nome, comunque.»
Non sapeva dire se quel commento, l’ultima parte in particolare, lo facessero sentire meglio o peggio.
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