16. La storia di Rick

Per diversi minuti di silenzio, intervallati solo dal rumore delle sorsate di birra e dai lunghi sospiri dell'uomo, ad Alex sembrò che Rick avesse cambiato idea, che non fosse realmente intenzionato a parlare e a dividere con lui una parte di sé e del suo passato. Poi, dal nulla, o forse quando ebbe raccolto tutto il suo coraggio, Rick iniziò a raccontare la sua storia partendo da quando aveva conosciuto Marta al liceo. Frequentavano classi diverse, ma nella stessa gita scolastica alla fine del terzo anno avevano iniziato a chiacchierare e a conoscersi. All'epoca lui era un adolescente esile e taciturno, a cui i compagni non prestavano particolare attenzione, lei una delle ragazze più carine della scuola. Ma quella non era l'unica differenza che c'era tra i due coetanei.

«Il suo marchio era rosso dalla nascita, non ne avevo mai visto uno prima di allora, raro come rara era la sua personalità eclettica e solare. Il mio, invece, già lo sai. Quando ci siamo resi conto delle difficoltà che avremmo incontrato decidendo di restare insieme era già troppo tardi: il nostro amore si era trasformato da una storia adolescenziale e "senza impegno", questa era la definizione che scioccamente ci eravamo dati, in qualcosa di vero, di immenso. Fino all'ultimo non abbiamo voluto dargli troppa importanza. Sai, per quella recondita possibilità che il colore cambi, che sfumi sulle tonalità vermiglie fino a diventare rosso, o che schiarisca sul marrone fino a trasformarsi in un bel verde foglia. L'ho visto succedere, una volta: di giorno in giorno il nero perde intensità e più schiarisce più si fa viva la speranza. Conosci la sensazione, vero? L'illusione, fino all'ultimo minuto, che possa succedere a te?»

Alex annuì, la gola secca nonostante stesse sorseggiando la sua seconda birra. Non era mai stato un gran bevitore, ma a fargli girare la testa era ciò che stava ascoltando, le emozioni provate da Rick da giovane, così simili a ciò che lui stesso aveva provato tutta la vita, nonostante non avesse mai avuto nessuna ragazza al suo fianco con cui condividerle, fino a quel momento.

«Ma la speranza, caro Max, è una brutta bestia, ti culla in una dimensione illusoria e così facendo ti allontana dalla realtà e quando questa ti piomba addosso non sei preparato a sufficienza. Scommetto che tu sei scappato di casa da un giorno all'altro, senza aver programmato bene la fuga, senza aver preso contatti, avere un piano, un itinerario o qualcosa del genere, dico bene?»

Alex annuì ancora, includendo nel gesto sia la parte riguardante la fuga mal studiata che la ben nota ostinazione a sperare che le cose potessero cambiare prima della sentenza definitiva.

«Non è colpa tua, non devi sentirti stupido per questo. A scuola ci dicono di non disperare fino alla fine, che non è detto che il nero sarà definitivo, è normale attaccarsi a questa possibilità. Lo facciamo tutti. Nel mio caso eravamo in due a sperarci, a crederci con tutte le nostre forze. Il giorno del mio compleanno però non lasciò nessun dubbio: avrei avuto i canonici ventuno giorni per mettere a posto le mie cose in sospeso; quindi, mi avrebbero prelevato e avviato a una vita amara e infelice. Almeno, pensavo, avevo avuto due anni meravigliosi con lei, più di quanto avrei potuto sperare. Fu lei a venire a prendermi a casa. Venne fuori che mentre io mi trastullavo con l'idea che all'improvviso potessi diventare un rosso o un verde, lei aveva preparato i bagagli per entrambi e aveva sentito delle persone oltre il confine dello Stato F.»

«Lo Stato F.?» Alex ripeté quelle tre parole tra le labbra, a bassa voce, per essere certo di aver sentito bene. Si voltò verso l'uomo cercando di intravedere l'ombra di presa in giro dall'espressione sul suo profilo, ma vide solo un viso rilassato e malinconico.

«Lo so, l'idea di poter passare da quella parte aveva dell'incredibile. Ma la speranza, sempre lei, ti fa credere anche all'impossibile. Conosci l'alternativa che avevo: al compimento del mio diciottesimo compleanno qualcuno avrebbe scelto un lavoro che odiavo da fare per sempre, mi avrebbe allontanato da ciò che amavo di più al mondo, mi avrebbe portato via tutto ciò che di felice avevo trovato e costruito fino a quel momento. È la regola terribile su cui fondano le nostre vite, no? Per mantenere l'equilibrio e garantire alla maggior parte del mondo la serenità e la salvezza, una piccola percentuale di noi deve sacrificarsi. Siamo chiamati a compiere un destino che nessuno vorrebbe mai avere, ma senza il quale il mondo andrebbe in rovina e bla bla bla, le solite cose scritte sui libri e che ti insegnano da quando nasci. È così dalla nascita dell'Universo, non ci si può fare niente. Ma se sono qui, e se tu come me e come altri prima di me, sei qui, significa che questo sacrificio non l'abbiamo voluto e che questo destino non l'abbiamo accettato. Be', più o meno.» Rick bevve un lungo sorso di birra con cui svuotò la bottiglia che aveva in mano. Si chinò a prenderne un'altra dal cestino appoggiato tra le due sedie a sdraio, oscillando un po' troppo. Svitò il tappo, ma prima di bere aggiunse: «La cosa ironica è che io l'avrei accettato, in realtà. Pensi che sia folle? Un vigliacco, forse?» e solo allora si concesse un altro lungo sorso.

Alex pensò che fosse il momento perfetto per intervenire, spinto anche da una nuova urgenza: non sapeva per quanto, continuando a quel ritmo, Rick sarebbe stato lucido per rispondere alle sue curiosità. «Ma accettandolo, tu... non avevi paura che qualcuno della tua famiglia ne soffrisse? Che per garantire la quota di sofferenza a te destinata qualcuno di loro potesse farsi male o peggio?»

Rick si voltò del tutto verso di lui e lo scrutò a lungo. Cosa aveva detto di sbagliato? L'aveva fatto sentire giudicato? Aveva scelto male le parole da usare? «È per questo che tu sei scappato, allora? La tua famiglia... loro... non sono come te?»

Alex scosse la testa. «Nessuno di loro è così. Solo l'unico da... be', da sempre. Se mi avessero registrato, allo scadere del ventunesimo giorno, se fossi entrato nel Sistema, loro sarebbero stati in pericolo. L'ho già visto succedere.»

«È una cosa terribile, mi dispiace, Max. Chi ha creato questo mondo deve aver combinato qualche disastro, nello scriverne le regole.»

«Chi ha creato? Cosa significa?»

«Ma no, niente... solo una cosa di cui si chiacchiera da queste parti. Se resterai qui lo scoprirai da solo. Chi più chi meno, ci credono un po' tutti.»

Credere a un'entità superiore, addirittura in grado di generare l'Universo, era qualcosa che conosceva solo per sentito dire, per averlo letto nei suoi fumetti. Non lo faceva nessuno, nella vita vera, a meno che non volesse essere preso per fuori di testa.

«E tu? Ci credi anche tu?»

Rick scosse la testa e rilasciò un lungo sospiro. «Dirlo a un ragazzo giovane come te è un peccato, mi sembra di trasmetterti gli insegnamenti sbagliati, quindi prendi ciò che ti sto confessando come lo straparlare di un uomo un po' brillo e malinconico. Ma no, non credo in questa storia, non credo più in niente, Max, nemmeno nelle persone.»

«Nemmeno negli altri che vivono in questa casa?»

«Beh, sì, forse credo un po' in Lev, ma lui è ancora giovane, ha ancora tanto tempo davanti per deludermi e tradire...»

«Tradire?»

«Le mie aspettative.»

A questo punto la domanda successiva era lì, nell'aria. Alex non doveva fare altro che afferrarla ed esprimerla a voce. Ma le labbra tremarono appena, la voce si spense e la gola chiese un altro sorso di birra. Forse fu l'aggiunta di alcol a dargli il coraggio di porla:

«Quindi è questo che è successo? Lei ti ha deluso? Ha tradito le tue aspettative?»

Ci fu un altro lungo sorso, che incrinò maggiormente la sua voce quando riprese la parola. «Più che le aspettative, lei ha tradito me. La fuga, dicevo, è stata una sua idea. Diversamente da te io non avevo una famiglia da tenere al sicuro con il mio allontanamento, Marta era l'unica mia fonte di felicità. Avevamo deciso di non dichiarare la nostra storia, quindi non essendo registrata nessuno avrebbe potuto interferire con la sua vita felice da marchio rosso se mi fossi allontanato. Ero pronto a dirle addio, avevo già rinunciato a lei, a noi. Non mi aspettavo che mi spingesse alla fuga e che si mettesse in viaggio con me. Fu bellissimo. Difficile, ma bello. Il periodo più bello di tutta la mia vita. All'epoca, ti parlo di quasi vent'anni fa, non c'erano le associazioni che ci sono adesso, organizzazioni ribelli, i Ratti o gruppi di persone che vivevano tutta la vita fuori dal Sistema. Dalla nostra, avevamo un Ordine solo, con maglie meno strette di quanto non siano oggi.

«Il primo anno passò senza intoppi. Ci spostavamo di città in città, facevamo ogni tipo di lavoro saltuario trovassimo. Ci spacciavamo per studenti e dividevamo gli alloggi con universitari e scappati di casa come noi. Poi ho trovato lavoro in un'officina meccanica e ho imparato un mestiere che credevo mi sarebbe servito per quanto saremmo arrivati nello Stato F. Ma i mesi passavano e le indicazioni sulla nostra destinazione si facevano sempre più vaghe. All'inizio Marta cambiava discorso quando le chiedevo l'ultima volta in cui avesse sentito i suoi contatti, poi divenne un argomento su cui discutere, mi rimproverava di non apprezzare abbastanza ciò che avevamo, e fu solo questione di tempo prima che mi rinfacciasse tutto quello a cui lei aveva rinunciato per stare con me. Se fosse rimasta e inserita nel Sistema avrebbe vissuto una vita agiata, serena, nella ricchezza, invece di dormire in stamberghe e contare gli spiccioli per fare la spesa, lontana dai suoi cari e senza nemmeno accesso alla sanità.»

«Ma la fuga non era stata una sua idea? Non l'aveva fatto per amore?»

«Sì, Max. Ma l'amore cambia, con il tempo. E con lui anche certe idee, certi progetti. Hai mai sentito parlare di "Due cuori e una capanna"?»

Alex scosse la testa, ma temendo che quel gesto risultasse impercettibile a Rick, concentrato ancora verso l'orizzonte mentre parlava, rispose: «No».

«È un modo di dire, deriva da un vecchio libro dello Stato P. Comunque sia, è un sogno che si fa quando si è giovani, perlopiù. E se qualcuno ci crede ancora alla mia età, be' buon per quella persona, sono persino invidioso. Ad ogni modo, nel nostro girovagare, un giorno sentimmo parlare di questa comunità e ci sembrò un buon compromesso, un luogo come un altro per iniziare da capo e costruire la nostra "capanna". L'Ordine intanto aveva iniziato a battere le strade in cerca di marchi neri sottratti al proprio destino, mentre qui garantivano protezione e anonimato. Restare lì fuori non era più sicuro, oltre che dannoso per la nostra felicità. Così, ci mettemmo in cerca di questo posto e una volta trovato cambiammo i nostri nomi e iniziammo a viverci. Eravamo in pochi, una manciata di famiglie, poche case, pochi edifici. Emma ci trovò una casetta in pieno centro e in pochi mesi ci integrammo alla perfezione. Be', forse lei più di me. Ciò che sapevo dei motori alla fine mi tornò utile in modo un po' trasversale, ma era meglio di niente. Non ci sono molte macchine, qui, ma ci sono trattori, trebbiatrici o macchinari che hanno bisogno di essere sistemati o di manutenzione. Ho iniziato a riparare attrezzi più piccoli come tagliaerba e decespugliatori e seghe a nastro o piccoli elettrodomestici nel mio garage e dopo qualche mese mi è stato chiesto di avviare un'attività vera e propria. Non avevo un soldo da investirci sopra, ma non ce n'è stato bisogno, nel giro di qualche altro mese avevo un'officina fornita di tutto il necessario e persino un assistente.»

Rick sembrò perdere il filo dei suoi ricordi e lo cercò nella birra che finì di bere. Alex avrebbe voluto suggerire di fermarsi lì quando lo vide prenderne un'altra, l'ennesima, ma aveva paura di interrompere la conversazione più lunga e piena di informazioni avuta da quando aveva lasciato casa. «E immagino nessuna concorrenza, giusto?» Ripensò alla conversazione avuta con Lara quella sera sulla necessità di scegliere un lavoro utile e pensò che tutto sommato a Rick non fosse andata poi così male.

«Sono stato fortunato,» l'altro riprese confermando il suo pensiero, «non c'era ancora un'officina meccanica e prima o poi sarebbe stata necessaria. Quel che si dice essere "al posto giusto al momento giusto", immagino.» C'era una nota di amarezza in quel detto, come se il momento fosse il più sbagliato al mondo, nell'ultimo posto in cui avrebbe voluto essere. «Eccoci qua. Faccio un lavoro che mi piace, non posso lamentarmi.»

Ma non era ciò che Alex voleva sapere. Non gli importava della professione di Rick, di come avesse iniziato e di quali fossero le sue aspirazioni. «Come fanno a proteggerci, a tenere persone come noi, che lì fuori verremmo braccati per essere inseriti nel Sistema? Gli Ordini non hanno potere qui?»

«Hanno potere ovunque, gli Ordini. Ma è un sistema a somma zero, hai presente?» Alex scosse la testa, vergognandosi per la sua ignoranza. Per fortuna era solo Rick, non stava parlando con Lara. «Ci sono dei marchi verdi qui, qualche marchio rosso. Dovrebbero stare lì fuori a godersi la bella vita eppure, inspiegabilmente, hanno scelto di non approfittare della buona sorte con cui sono nati e vivere in un territorio neutro. Finché si mantiene un certo equilibrio tra i verdi rossi e neri non avremmo problemi. Non saremo mai la maggioranza qui, ci sono delle proporzioni da rispettare. Tutto, come il resto dell'Universo, è questione di equilibrio, anche questo. Il fatto che Marta e un'altra manciata di persone vivano qui permette a noi di restare, insomma.»

«Vive qui?» No riuscì a trattenere lo stupore. Da come Rick ne parlava, sembrava che la donna l'avesse lasciato e fosse tornata indietro o, peggio, deceduta. Ma allora perché non vivevano più insieme? E perché lei non se ne era semplicemente andata, a godersi i frutti di una nascita sotto la buona sorte? «Quindi lei non è...?» 

«Non è...?»

«Non è morta?»

Rick rise, di una risata senza allegria. «No, è più viva di me. Casa sua è a due passi dal centro dove credo tu sia andato a passeggio stasera, se vuoi saperlo. Devo vederla tutte le volte che mi serve qualcosa da quelle parti. Il suo stupido giardino con la sua stupida altalena per bambini e il suo stupido uomo pieno di baffi che le dà tutto quello che vuole...» Rick prese un lungo sorso dalla sua quarta bottiglia «tutto quello che non le ho dato io.» 

Vista la mole del suo interlocutore e la sua scarsa lucidità, aveva paura di indisporlo con qualche domanda troppo diretta o che risultasse invadente, ma non erano rimasti a chiacchierare per quello, in fondo? «Ti ha... tradito con lui?»

«No, non è con lui che mi ha tradito. Anzi, non è me che ha tradito. Ha tradito quello in cui credevamo, quello che era prima di arrivare in questo posto. Si è fatta corrompere da certe idee, certi percorsi di vita che prima non l'attiravano, ma tutto a un tratto le sono sembrati obbligati, fondamentali per sentirsi completa come persona e come donna. Parlo di una famiglia, figli, quello che io non sono stato in grado di darle.»

«Non vuoi avere figli? È per questo che è finita?» Gli sembrava un motivo molto stupido per cui lasciarsi. Quando l'argomento era stato toccato in casa, lui aveva sempre detto di non volere figli e che avrebbe trovato una ragazza che rispettava quella scelta, non sarebbe mai sceso a un compromesso sulla questione; ma in tutta risposta la madre, ogni volta, gli aveva profetizzato che prima o poi avrebbe cambiato la sua posizione. Ora non sapeva bene come sentirsi a riguardo. Piccolo, inesperto e inadeguato per quella conversazione troppo adulta per lui, ecco come. Cercò di fare del suo meglio per non dare a vedere di essere in difficoltà e annuì con decisione, come se avesse capito davvero come si potesse essere sentito Rick messo alle strette sulla questione figli.

«Non ne volevo. Ma ho provato, per lei. Abbiamo provato per anni, con risultati disastrosi e tragici. A un certo punto si è rotto qualcosa, ci siamo rotti noi. Immagino tu sappia perché sono rimasto, è lo stesso motivo per cui tu sei arrivato: finché faccio parte di questa comunità sono in qualche modo protetto, fuori da qui verrei braccato come un fuorilegge, sono troppo vecchio e mi sono messo troppo comodo per abbracciare quel tipo di vita. Mi piace il mio lavoro, mi piace la mia comunità, anche se non credo in tutto ciò che professa. Lei, piuttosto, avrebbe potuto andarsene da qui, riprendere la sua vita di privilegiata, essere felice lontano dalla mia vista, ma qualcosa l'ha tenuta ancorata in questo posto. È convinta che qui possa essere felice e nessuno può farle cambiare idea se si mette in testa una cosa. Anche per questo Lev me la ricorda così tanto, anche se lui odia sentirselo dire.»

Perché Lev gliela ricordava? «Sono per caso parenti?»

Rick scoppiò a ridere. «Cielo, no! E se tieni alla tua incolumità non fargli mai questa domanda. Lev...» il suo tono tornò serio, «Lui non ha più parenti che si possano definire tali. Siamo noi la sua famiglia adesso, io e il vecchio. E tu, anche se di passaggio.»

«Perché continuate a dire questa cosa? Sia tu che il vecchio siete convinti che non resterò qui, che mi sistemeranno da un'altra parte. Non potrei semplicemente restare qui e...» fare anche io parte di questa famiglia? «e basta?»

«Devono ancora spiegarti un po' di cose.»

«Perché allora non me le dici tu?»

«Ma allora non hai ascoltato per tutto questo tempo? Non voglio essere responsabile delle tue scelte come qualcun altro lo è stato delle mie. Restare qui, andare via, sono cose che devi decidere tu, è la tua vita. Ho paura che se ti dicessi come la penso non finirebbe bene e non potrei mai perdonarmelo. C'è già Lev che mi rimprovera di infettare, parole sue, tutti con il mio cinismo, non voglio contagiare anche te, credimi.»

Rick si alzò ma qualcosa andò per il verso sbagliato, forse il modo in cui appoggiò un piede, forse l'alcol che entrava in circolo. Ci si poteva ubriacare di birra tanto da stare male e vomitare? Alex sperò di non doverlo scoprire di lì a poco. Ormai era certo di aver perso l'occasione per ricevere informazioni utili. L'uomo era lì da un sacco di tempo, chi meglio di lui avrebbe potuto rispondere ad alcuni dubbi nel suo magazzino di informazioni raccolte? Ci provò comunque. «Io ho un sacco di domande, più di quante ne avessi prima di arrivare qui e più passa il tempo e più aumentano. Tutti qui sembrano volere aggiungere dubbi alla mia confusione, se c'è qualcosa che dovrei sapere, qualcosa da cui stare in guardia, non potresti semplicemente dirmelo?» Suonava disperato, se ne rese conto.

Rick sospirò e tornò a sedersi con un tonfo e lo scricchiolio della sedia a sdraio. Alex sperò di non doverlo tirare su per portarlo a letto. «Un attimo» sembrò volerlo rassicurare, «ora mi alzo.» o rassicurare sé stesso di potercela fare, essere ancora abbastanza lucido. «Anche se odio questo posto, amo delle persone che ne fanno parte e per questo devo sottostare alle sue regole. Non ci è permesso condividere certe informazioni con chi non ne fa ancora parte, ma io ti ho raccontato la mia storia e dentro c'è già più di quanto avrei dovuto dire, se sei una persona sveglia potresti già aver capito. Però voglio dirtelo lo stesso, perché mi rivedo in te, non si vedono molti marchi neri, sai? Hai l'età che avevo io quando sono partito, in più tu hai lasciato una famiglia e sei arrivato qui da solo. Dovresti far funzionare le cose con Lara e andartene, mettere su famiglia con lei e dimenticarti di questa catapecchia. Fai la tua capanna con due cuori con lei.»

«Con Lara?»

«Capelli castani, grandi occhi da cerbiatto...»

Non era divertente. «So benissimo di chi stai parlando ma... siamo usciti una volta, non posso pensare di fare... di fare... sì, insomma, di pensare alla capanna. Ho appena compiuto diciotto anni, è troppo presto, ci siamo a malapena baciati. Non so nemmeno se succederà altro.» La sua tiepida protesta non scalfì la certezza di Rick, la stessa che aveva dimostrato il vecchio sulla possibilità per Alex di lasciare presto quella casa.

«Succederà. È così che vanno le cose, il novanta per cento delle volte. Presto, tardi, sono concetti che da queste parti non hanno lo stesso significato che fuori da qui. Se vuoi restare devi abbracciare certi valori come la famiglia, fare figli e tutto il resto.» Il gesto della mano di Rick che accompagnò "tutto il resto" non aggiunse nessuna informazione a quelle parole. Quale resto? Di cosa stava parlando?

«Ma voi? Tu, Lev... siete ancora qui, da quanto?»

«Noi non facciamo testo.» Questa volta riuscì a rialzarsi in modo dignitoso, come se avesse già smaltito la sbronza. Anche la voce era più ferma, adesso. «Noi non siamo di passaggio come gli altri. Noi siamo anomalie, Max. Siamo gli scarti, quelli inutili allo scopo. Capisci cosa intendo, vero? Sono troppo ubriaco per spiegartelo adesso.»

Alex annuì e si alzò a sua volta. C'era ancora una cosa che voleva sapere. In realtà ce n'erano altre mille, ma di sicuro Rick gliene avrebbe concessa solo una. «Sei ancora innamorato di lei? Hai detto che odi questo posto ma ci sono delle persone qui che ami. Sei ancora innamorato di Marta?» Altrimenti che senso aveva condividere con lui la loro storia? Perché bere così tanto pensando a lei e ricordando il loro rapporto?

Rick raccolse le bottiglie vuote e le infilò in un sacchetto nero, senza rispondere. «Sarà meglio portarle nel bidone, o domani qualcuno le conterà e mi farà una bella ramanzina.» Anche se provava a scherzare ad Alex non sfuggiva la sua cadenza ancora un po' biascicata e l'aria malinconica. Parlare con lui gli era servito, anche se non quanto avrebbe sperato. Eppure, nel congedarsi, Rick gli assestò una debole pacca sulla spalla e disse: «Grazie per la chiacchierata, Max. Sei un bravo ragazzo, spero che le cose ti andranno bene».

Salì le scale che portavano alla sua stanza nel silenzio concesso tra un sospiro e l'altro del lento russare di Diego. Quando era rientrato? Non se ne era reso conto. Nel superare la stanza di Lev vide che la porta, per la prima volta, non era chiusa. Lanciò un'occhiata curiosa all'interno, al bozzolo di vestiti e coperte sul letto illuminato dalla lampada del comodino. Si sentì come a casa, quando passava davanti alle camere dei suoi fratelli a salutarli un'ultima volta prima di mettersi a letto e gli sfuggì un «Buonanotte», sicuro che Lev, nel sonno, non lo avrebbe sentito.

In tutta risposta, invece, lo sentì tirare sul col naso e dire «Buonanotte» a sua volta, con la voce spezzata di chi non aveva fatto altro che piangere nell'ultima ora.

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