14. Appuntamento...

«È una bella serata, facciamo due passi, così ti mostro il resto della comunità?»

«Comunità?» Alex quasi fece saltare un bottone nel voltarsi del tutto verso Lara, mentre camminavano verso una via particolarmente illuminata della cittadina. Lev aveva insistito per prestargli una delle sue camicie, ma era troppo stretta per lui: quando si era accorto del modo in cui gli limitava i movimenti ormai Lara l'aveva già visto e tornare indietro a cambiarsi gli avrebbe fatto fare una pessima figura. Non che ad aspettarlo in camera avesse chissà quali alternative della sua taglia; il suo già scarso bagaglio era stato ridotto all'osso mentre era privo di sensi e comunque già in partenza non avrebbe avuto nulla di adatto a un appuntamento. Perché quell'uscita lo era, giusto? I suoi nuovi coinquilini, almeno, la pensavano così, e la sfilata di battute oscene e prese in giro prima che uscisse ne erano la prova.

«Sì, un collettivo, un insieme di persone che in comune ha il posto in cui vive, ma anche ciò in cui crede.» A differenza della disgraziata camicia di un altrettanto disgraziato Alex, Lara indossava un vestito corto su calze scure e scarpe basse. Ma non aveva fatto molto caso al suo aspetto dalla vita in giù, poiché ogni volta che lo sguardo cadeva sotto il collo di lei, si fermava sempre sulla scollatura della maglietta. Non voleva e non doveva, però era più forte di lui. In quelle condizioni, era difficile concentrarsi sulle parole della ragazza. 

«Ciò in cui crede?» Cercò di riprendere il filo del discorso, sicuro che lei lo avesse appena beccato (di nuovo) a guardarla in quel modo.

Per sua fortuna Lara scoppiò a ridere, per nulla offesa dalle sue sbirciatine indiscrete e ad Alex quel suono sembrò il più bello del mondo. «Pensi che ripeterai le ultime parole di ogni mia frase ancora per molto?»

«Scusa.» Si massaggiò la nuca, lo sguardo fisso sulle sue scarpe mentre calpestavano il marciapiede perfettamente pulito su cui stavano passeggiando. «È che da quando sono arrivato qui mi sento un po' stordito. Ho tanto da elaborare e tanto da imparare, ma ho paura di non essere abbastanza veloce, di non avere abbastanza tempo. Voglio essere certo di capire bene.»

«Lo so. Cioè, lo immagino. Fuori da qui non insegnano certe cose, soprattutto quelle un po' più difficili da comprendere. Emma mi ha raccontato che ti ha già accennato qualcosa sul marchio bianco e che sembravi sconvolto.»

«Sì, quello.» Ma non solo.

«L'ho già visto succedere, in passato. Persone come te, oppure persone che cercavano un nuovo senso delle cose. E posso dire che non sempre la realtà delle cose è stata accettata. Bisogna avere una buona apertura mentale per accogliere la verità. E ci vuole fede. Sai che cos'è, Max?»

Quasi si dimenticò di rispondere, sentendosi chiamare così, e quasi le chiese di usare il suo vero nome. Ma si riscosse, fece mente locale e rispose: «È una specie di fiducia, ma più forte, giusto? Ne ho letto in qualche libro.» Che in realtà erano fumetti, ma così dicendo gli sembrò di assumere un'aria più intelligente e colta.

«Davvero? Che genere di libri?»

«Libri di avventura, di eroi...» L'arrivo alla gelateria lo salvò dalla sua affannosa ricerca delle parole giuste per camuffare le storie di cui aveva letto e trasformarle in qualcosa di più sofisticato, che potesse risultare più attraente agli occhi di Lara.

«Eccoci. Non è granché, sono sicura che da dove vieni tu i locali e le cose da fare la sera sono molto diverse. Ma il gelato è buono.»

In effetti il posto era davvero desolante. Una volta varcata la soglia, Alex si trovò in una stanzetta illuminata più del dovuto, con una serie di pozzetti per il gelato che le dita di due mani bastavano a contare, oltre un vetro pulito, ma comunque troppo opaco, come barriera tra i clienti e il banco. Dietro il registratore di cassa sulla destra, una ragazza minuta con un buffo cappellino a strisce e l'apparecchio ai denti dava l'impressione di volere essere ovunque, piuttosto che lì. Lanciò loro una rapida occhiata prima di tornare a scrivere qualcosa su un blocchetto. Fu uno sguardo veloce, ma ad Alex sembrò pieno di antipatia e fastidio, come se il suo turno di lavoro fosse colpa loro. In effetti erano gli unici clienti, ma questo dipendeva forse dall'orario o dall'aria fresca di quella serata, non le avevano mica fatto alzare la saracinesca per il loro appuntamento. Sempre ammesso che lo fosse.

La ragazzina ripose il suo blocchetto, si pulì le mani sul grembiule e salutò Lara con un sorriso di circostanza. «Ciao Lara. Cosa prendete di bello?» A lui non riservò nemmeno un cenno della testa, lo ignorò del tutto. Lara scelse per entrambi e pagò, mentre Alex cercava di pensare a un modo carino per dirle che l'avrebbe ripagata in qualche modo, senza che questa sembrasse una scusa.

«Dovrò trovarmi un lavoro, immagino.» Guardò verso l'alto, il cielo senza nuvole della sera di inizio autunno. Tutto, pur di non assistere alla scena di lei che mangiava il suo gelato e indugiare di nuovo su certi pensieri. Diede un assaggio al proprio: non sapeva di niente, i gusti erano talmente simili l'uno con l'altro che stentava a riconoscerli.

«È buono?» chiese lei, aggirando momentaneamente la domanda sul lavoro.

«Sì. Davvero.» Forse stando lì si sarebbe abituato anche a quel gelato insapore, oltre che al personaggio di Max e a tutte le sue bugie per piacere agli altri.

Lei ridacchiò bofonchiando un «Bugiardo» e continuò a mangiare con gusto. O almeno così sembrò ad Alex.

«Ho una macchina per farlo in casa, il gelato. Un giorno o l'altro dovrei mettermici. Magari possiamo provare insieme, cosa ne dici?»

«Perché no?» Era un invito a casa sua? «Stasera?»

«No, stasera no.»

Certo che no, cretino! Cosa ti salta in mente di auto invitarti a casa di una ragazza?

«Per stasera direi basta gelato, ma una di queste sere sì, perché no?» Lei gli fece il verso, riportando la sua risposta e Alex si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo sul gelato, rincuorato che fosse tutto a posto: non aveva rovinato l'atmosfera con il suo azzardo. «E riguardo al lavoro. Sì, temo che dovrai proprio trovare qualcosa.»

Voltato l'angolo sbucarono davanti all'ingresso di un piccolo parco che era quasi la copia in miniatura del posto in cui aveva dormito la prima notte dalla fuga. Si sedettero su una panchina illuminata da due lampioni verdi. Se avessero finito lì di consumare il gelato e avessero deciso di smettere di chiacchierare per baciarsi o altro sarebbe stato impossibile farlo senza essere visti. Alle loro spalle, oltre una siepe alta non più di mezzo metro, c'era la strada principale, mentre davanti a loro la stradina interna del parco faceva un paio di svolte prima di sbucare dall'altra parte. Più che in una zona imboscata per una parte di appuntamento sembrava quasi di essere in vetrina, come i tristi pozzetti di gelato al niente di poco prima.

«Facciamo tutti dei test attitudinali, qui. Ma siamo in pochi, quindi alla fine ognuno sceglie di fare ciò che più gli piace, per vivere, tra le opzioni disponibili.»

«Tra le opzioni disponibili?»

«Hai ricominciato a ripetere le mie ultime parole, eh!»

«Colpevole!» Rise e si alzò per gettare nel cestino vicino alla panchina il tovagliolino di carta che gli era rimasto in mano. Prese anche quello di Lara e Alex giurò di vederla arrossire nel ringraziarlo con un sorriso.

Lei attese che lui tornasse a sedersi al suo fianco e riprese a spiegare: «Tutti i lavori e le aspirazioni personali sono ben accetti, ma ci sono delle necessità e si tende a dare la priorità a quelle. Per esempio, se mancasse qualcuno per fare il pane o un assistente nello studio del veterinario o una mano all'officina meccanica, allora sarebbe apprezzato che chi è senza lavoro si proponesse per una di quelle mansioni, che pensasse prima alla collettività e poi a sé stesso. Sai, per far funzionare bene le cose.»

«Sì, ha senso.» Ce l'aveva davvero, un senso. Eppure, una delle cose che odiava di più del marchio nero era l'idea che decidessero per lui il modo in cui si sarebbe guadagnato da vivere, che restando al suo posto e lasciando che lo inserissero nei grandi ingranaggi del mondo avrebbe rinunciato a ogni scelta in merito, ogni possibilità di esprimere le sue ambizioni e i suoi talenti, ammesso che ne avesse. Ma a spingerlo a fuggire era stata anche la voglia di scoprirlo, di tuffarsi nell'insieme infinito di possibilità sul suo futuro, pari a quelle di chi aveva un marchio giusto. E ora? Gli stavano davvero chiedendo di diventare un ingranaggio di un meccanismo, seppure notevolmente più piccolo di quello da cui si era sottratto, dopo tutta quella fatica? Ripensò all'aria annoiata della ragazza in gelateria, forse odiava il suo lavoro, ma era stata obbligata a sceglierlo, era l'unico disponibile. Era la stessa sorte dei marchi neri fuori da lì. Tanta strada per niente. Deglutì, incapace di aggiungere altro a voce. Un lungo sospiro spinse l'informazione appena ottenuta in fondo alla sua mente, insieme a tutte le altre, raccolte in quei due giorni.

«Non mi sembri molto convinto.» Ma Lara non era una stupida, una delle prime cose che aveva notato nel suo sguardo, oltre le folte ciglia e le pagliuzze dorate immerse in quelle pozze di foglie autunnali sciolte con il miele che erano gli occhi di lei, era il modo in cui era sempre attento.

«No, davvero, ha perfettamente senso. Solo che, ecco... forse credevo che in un posto come questo avrei trovato un po' più di libertà di espressione e realizzazione, ma immagino che fosse un po' stupido aspettarmelo, per far funzionare un gruppo di persone ci vogliono delle regole e dei sacrifici, immagino, come dici tu.» Fece spallucce guardando i loro piedi a terra. Il gusto del gelato, che prima non aveva quasi sentito, si stava trasformando in qualcosa di molto amaro, sul suo palato e in fondo alla gola.

«Non sono sacrifici così grandi, se ci pensi.»

Sì, lo erano. Ma la mano di Lara scivolò timidamente nella sua e Alex si dimenticò di rispondere.

«Comunque ho detto a Emma che ti avrei preso sotto la mia responsabilità, visto che sono stata io a trovarti e portarti qui, quindi se per i primi tempi avrai bisogno di qualcosa puoi chiedere a me.»

Invece di sentirsi speciale per la ragazza, come essere umano e uomo, si sentì come Maggio, il gatto che aveva trovato per strada quando aveva otto anni, che aveva portato in casa e di cui si era assunto la responsabilità in cambio al permesso per tenerlo in casa con loro: termini usati da Lara erano gli stessi.

«Grazie, sei davvero gentile. I miei nuovi coinquilini mi hanno detto la stessa cosa.»

«Mi fa piacere. Temevo che non ti saresti trovato bene, possono essere un po'... intensi, soprattutto Diego.»

«Diego? Intendi il vecchio?» Per esclusione, conoscendo il nome degli altri due, doveva essere così.

«Sì, lui è un po' cocciuto e ha alcune idee bizzarre, ma in fondo è un brav'uomo, altrimenti non sarebbe ancora qui, insieme a noi.»

Questo è un bell'eufemismo! «Con "qui" e "insieme a noi" intendi nella casa isolata da tutte le altre?»

«Beh...» Lara sembrò cercare le parole tra i motivi della fibra del legno della panchina, «è un po' distante dalle altre case, ma è comunque all'interno dei cancelli. Emma li lascia restare, dovrebbero essere felici per questo. Non lo sono? Ti è sembrato che si lamentassero?»

Alex ripercorse brevemente la conversazione avuta con quei tre, poi scosse la testa. «No, figurati. Nessuno di loro mi ha fatto intendere una cosa simile. Ma ho avuto l'impressione che, come mi sia stata data una stanza in quella casa, anche loro siano stati costretti a vivere lì, insieme, non per scelta.»

«In effetti può sembrare così.» La mano della ragazza scivolò via da quella di Alex e lui ne fu quasi sollevato. All'improvviso quell'intimità gli era sembrata sospetta, poco naturale, forzata.

Ottimo, sto diventando paranoico!

«Sta iniziando a fare fresco, che ne dici se andiamo? Ti va di riaccompagnarmi a casa? Riesci a orientarti poi per rientrare?»

«Sì, nessun problema.»

«Comunque,» Lara riprese il discorso alzandosi e incamminandosi per prima verso l'uscita del parco, seguita a un paio di passi di distanza da Alex, «A proposito sia di mansioni lavorative, sia dei tuoi coinquilini, nessuno di loro è isolato come credi. Forse la casa in cui abitano non è la più centrale del posto, ma non sono degli eremiti o qualcosa del genere, hanno un lavoro, sono ben integrati con il resto del gruppo, e anche tu lo saresti, semmai dovessi rimanere lì. Ma spero di no.»

«Perché no? Non mi sembra un brutto posto in cui abitare. Sì, forse gli altri sono un po' eccentrici, ma poteva andarmi peggio.»

«Certo, ma...» I piedi di Lara smisero di portarla in giro e anche Alex si fermò al suo fianco. L'aria tra loro era diventata elettrica nel passaggio da parlare con naturalezza ad allusioni e frasi lasciate a metà.

«Ma...?» Se c'era qualcosa da sapere Alex avrebbe preferito farlo subito.

«Non è per loro, ma idealmente potresti mettere su famiglia, una famiglia tutta tua, un giorno. Insomma, sono brave persone, ma sono comunque anomale. Spero in qualcosa di meglio, per te, tutto qui.»

«Ah, okay. Grazie per il pensiero.» Un pensiero fatto di non detti e premure forse un po' eccessive. Non sapeva nemmeno dove avrebbe passato la notte successiva, pensare al futuro e a mettere su famiglia era un progetto troppo lontano e troppo astratto per poterlo considerare in quel frangente. Camminarono di nuovo in silenzio per qualche minuto, Lara giocando con i suoi capelli e Alex guardandosi intorno nel tentativo di memorizzare tutti gli edifici nuovi che ancora non aveva visto in quella parte di città. Davanti a una villetta uguale a tutte le altre della via, Lara si fermò.

«Eccoci, io vivo qui.»

«Con i tuoi?»

Lei scosse la testa. «No, non più. Con me vivono altre due ragazze. La mia sistemazione non è poi così diversa dalla tua, beh, a parte la casa in sé. Vorresti entrare a dare un'occhiata?»

Entrare. Alex sapeva che significato potesse avere in invito del genere. Una parte di lui lo desiderava più di ogni altra cosa, ma l'altra, più in profondità, dove erano immagazzinate le informazioni da elaborare in un secondo momento, suggeriva che fosse sbagliato. A livello razionale, in superfice, emerse solo la certezza che accettare l'invito si sarebbe trasformato in un disastro.

«Mi piacerebbe,» ammise, «ma sento che appena mi farai sedere sul divano crollerò e inizierò a russare e le tue coinquiline mi odieranno prima ancora di conoscermi.

Lei ridacchiò, con gli occhi sgranati per la sorpresa, ma un'espressione dolce. «Sarà per la prossima volta. Mi dispiace averti trascinato fuori anche se sei così stanco. Forse avrei dovuto io accompagnare a casa te.» Si avvicinò. Appoggiò una mano alla staccionata color panna che li divideva dall'abitazione, poi si sporse ulteriormente verso di lui e gli appoggiò una mano sul petto. «Posso?» chiese in un sussurro e Alex riuscì solo a produrre un lento cenno di assenso con la testa, gli occhi incatenati a quelli magnetici di lei. Gli baciò prima la guancia, poi sembrò prendere coraggio e gli diede un altro bacio all'angolo della bocca. In tutto ciò Alex restò immobile, terrorizzato dall'idea di rovinare qualcosa di quel momento incredibile. Quando lei gli baciò in pieno le labbra, socchiuse gli occhi e si inebriò del suo profumo fruttato, mentre il cuore gli andava a mille e la testa si svuotava di tutti i pensieri avuti fino a quel momento, anche il "magazzino delle cose bizzarre a cui prima o poi dovrò pensare". Voleva entrare, vedere la sua maledetta casa e fare colazione insieme a tanto imbarazzo e alle sue coinquiline. Perché cavolo aveva rifiutato l'offerta? Ritrattare adesso, dopo quel bacio, sarebbe sembrato sfacciato.

«Ho passato una bella serata, grazie per la compagnia.»

«Grazie a te per il gelato, il tour e... beh, questo.» Mosse le mani nel poco spazio che li separava, per indicare quanto fossero vicini e alludere a quanto lo fossero appena stati. «La prossima volta, se ci sarà, sarò più di compagnia, te lo prometto.»

«Certo che ci sarà, almeno per quel che riguarda me. Mi piacerebbe, insomma. Posso chiamarti di nuovo a casa domani.»

«Sì.» Casa. Quella parola era strana. Meno del fatto che lei ne conoscesse il numero di telefono e lui no. 

«Allora buonanotte, Max.»

«Buonanotte.» 

Ci fu un ultimo bacio sulle labbra, rapido, poi Alex fece due passi indietro, si voltò e tornò verso casa

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