13. Pausa, play, stop
Fu la fame a spingerlo a rompere il ghiaccio con i suoi nuovi coinquilini, o più precisamente l'odore di cibo che lo svegliò e lo convinse a scendere dal letto e raggiungerli al piano di sotto. Doveva essere ora di cena e all'esterno, oltre il vetro della finestra, era rimasta solo la luce più ostinata del giorno che combatteva per non lasciare il suo posto al buio della sera. Si rigirò nel letto, indeciso sul da farsi. Prima o poi, fame o non fame, doveva pur scendere. Per Alex era sempre stato difficile attaccare bottone con persone che non conosceva e trovare argomenti per avviare una conversazione. E cosa avrebbe dovuto dire a tre estranei che per qualche motivo a lui ignoto si trovavano confinati come lui in quella casa separata da tutte le altre? Tutti avevano le loro ragioni per essere lì e non era detto che volessero condividerli con lui. Ma, che lo volessero o no, quegli uomini erano le persone con cui avrebbe vissuto per un periodo di cui ancora ignorava la durata, tanto valeva rompere il ghiaccio e scoprire se avessero delle informazioni utili per lui.
Li trovò in cucina, due di loro su delle sedie a ridosso del tavolo. Davanti alle loro sedute, i bicchieri di birra sudavano la differenza di temperatura tra il liquido freddo e l'ambiente. Per evitare il loro sguardo, Alex si concentrò su quelle goccioline di condensa, anche se così facendo dovette sembrare più che altro molto assetato, o desideroso di avere una birra. Un terzo tipo, un uomo biondo scuro e massiccio, era di spalle, rivolto verso il piano cottura su cui stava armeggiando. Era ancora a metà di una frase «Quell'affare va sistemato prima che qualcuno si faccia-» quando si voltò verso i suoi compagni e lo vide. Restò così, a fissare Alex immobile sulla porta della cucina per qualche istante, con una spatola da cucina in mano, sospesa a mezz'aria, poi si rivolse direttamente a lui: «Max, immagino».
Alex cercò di decifrare il tono usato dall'uomo nel minor tempo possibile. Ostile? Sarcastico, cordiale? Dannazione, le parole che gli aveva rivolto erano troppe poche per poterne trarne qualche tipo di constatazione e per di più era una domanda così semplice che tutto il tempo che stava impiegando per rispondere stava diventando strano. Più precisamente, era lui a sembrare strano. Rispondi!
«Non è una domanda difficile, ragazzo.» Il vecchio gli venne in soccorso, o peggiorò la situazione, non sapeva dire quale delle due.
«A meno che Max non sia il tuo vero nome, ma io sono l'ultimo qui che ti giudicherà per questo.» Si unì alla conversazione anche l'altro seduto al tavolo, il più giovane dei tre. Il suo viso non dimostrava molti anni in più dei suoi, ma il modo in cui se nestava appollaiato sulla sedia e la prossimità all'uomo più anziano, con cui condivideva la postura e alcuni gesti delle mani, lo facevano sembrare più grande. O molto vissuto, almeno. Più di lui.
«Sei allergico a qualcosa?» L'uomo ai fornelli tornò a rivolgersi a lui, saltando momentaneamente la questione sul nome. «Non vorrei ucciderne un altro per sbaglio.»
Ma Alex era ancora fermo al discorso precedente, quindi rispose in un colpo solo a entrambe le domande. «Sì, Max, giusto. Emh... Ciao a tutti. No, non sono allergico a nulla» ma non si mosse di un passo dalla porta della cucina. Gli sembrava che per unirsi a loro e quel momento in qualche modo intimo e familiare gli servisse un invito, che per fortuna non tardò ad arrivare.
«Accomodati Max, prendi una sedia. E tu, Lev, aggiungi un piatto e un bicchiere. La bevi la birra, Max?»
C'era stata una specie di sospensione della scena, dalla sua apparizione sulla soglia della stanza. I rumori di pentolame, le risate, il vociare che aveva sentito già dalle scale, si era tutto fermato nel momento in cui l'avevano notato, come se qualcuno avesse spinto il tasto pausa. E quando lui annuì e si avvicinò al tavolo per prendere posto, il tasto play venne premuto di nuovo e tutto riprese vita, i rumori tornarono a giungere dal piano cottura verso cui l'uomo massiccio si era voltato di nuovo, il ragazzo giovane fece stridere i piedi di una sedia trascinandola accanto al suo posto e il vecchio iniziò a parlottare nel tentativo di riacciuffare il filo del discorso perso poco prima. Senza che si rendesse davvero conto delle azioni di ognuno dei presenti, si trovò sotto il naso una tovaglietta apparecchiata e un bicchiere di birra fredda in mano.
Prima che il piatto gli venisse riempito, vedendo che il cibo stava per essere messo in tavola, non riuscì a evitare di chiedere, a chi lo aveva preparato: «Davvero hai ucciso qualcuno con quello che hai cucinato?» Era una domanda stupida, ma sembrò divertire parecchio i presenti e almeno era un inizio di conversazione. Oltre al fatto che voleva davvero saperlo: avrebbe dormito sotto lo stesso tetto di un assassino? Pregò che i prelievi fatti quel pomeriggio avessero tutti esito negativo, che non avessero riportato allergie di nessun tipo di cui magari era stato all'oscuro fino a quel momento, o sarebbe stato un bersaglio facile per un avvelenamento.
Avevano tutti iniziato a mangiare, intanto, tranne Alex, in attesa di una risposta che arrivò sottoforma di risata. L'uomo si pulì un angolo della bocca con le dita, che pulì poi sul tovagliolo appoggiato vicino al suo piatto. «No, stavo scherzando. Ho ucciso qualcuno, ma non in modo così stupido o subdolo.»
Nel silenzio che seguì quella battuta, Alex deglutì e mandò giù un lungo sorso di birra, cercando di tenere ferma la mano che tremava. Qualcuno aveva di nuovo premuto pausa, o abbassato il volume della stanza. Solo quando il vecchio scoppiò a ridere e le briciole della fetta di pane che stava mangiando volarono verso il centro del tavolo, lasciò andare un sospiro anche lui.
«Smettila, Rick, l'hai spaventato a morte! Non dire certe cose, che poi ci crede!»
Allox, sempre io. È sempre così facile prendermi in giro! Anche per chi nemmeno mi conosce.
«Ma smettila! È ovvio che fosse uno scherzo! Ci saranno venti anomalie di tipo assassino al mondo su sessanta milioni di persone, di cui almeno la metà già individuati e resi noti, se il ragazzo è così fesso da credere che sia così facile incontrarne uno, oltretutto confesso, allora non è colpa mia. Quante probabilità c'erano che fosse vero? Stavo solo giocando un po'.»
Quante probabilità? Le stesse di incontrare ragazzi con poteri magici che ti teletrasportano da una parte all'altra e poi entrano nei tuoi sogni?
«Oh.» Il ragazzo più giovane, "Lev e qualcosa", gli picchiettò il gomito. «Se non mangi si fredda.»
«S... sì, scusate. Buon appetito.»
Tornò il silenzio, rotto solo dai rumori dei lunghi sorsi e dei morsi al cibo di ognuno, ma Alex sapeva che si trattava di una tregua temporanea. «Quindi, Max,» fu il vecchio ora a rivolgersi a lui, «cosa ti porta qui?»
Domande, ancora domande, sempre le stesse. Perché era scappato, perché era lì. Presto sarebbe arrivata anche quella sul come ci fosse arrivato. In un mondo in cui la vita di ognuno era appoggiata su dei binari drittissimi, c'era davvero bisogno di chiedere a chi saltava giù da quelle rotaie le sue motivazioni? Non erano forse ovvie? Aveva risposto a Em e ai suoi compagni, a Lara, Emma. E ora questo. Ripose la forchetta ancora piena di piselli nel piatto e sospirò.
Rilassati. Non rispondere male. Sii gentile. Calmo. «E voi? Perché siete qui?»
Il vecchio scosse la testa, fece spallucce e addentò una grossa patata. Era chiaro che, almeno da lui, Alex non avrebbe ricevuto una risposta.
«Emh...» il ragazzo seduto accanto a lui sorrise con aria innocente e alzò la mano come se si trattasse di un appello. «Io ci sono nato, tipo? Dove altro dovrei essere?»
Registrò quell'informazione, deciso a elaborarla dopo, insieme al resto del milione di ciò che aveva da metabolizzare; quindi, spostò lo sguardo sul tale che aveva cucinato, in attesa di un suo intervento a riguardo, che non tardò ad arrivare: «Se quello che ho sentito è vero, penso di essere come te». Sollevò la manica della maglia in cotone e mostrò ad Alex un marchio identico al suo, sull'avambraccio. «A quanto pare siamo rari pure noi, anche se non quanto altre anomalie o gli assassini.»
Smisero nuovamente di parlare e si rimisero tutti a mangiare. Quella specie di piatto unico composto da patate, polpette, sugo e piselli era la cosa più vicina al cibo di casa che consumava da quando si era messo in viaggio. Eppure, aveva un sapore amaro, masticato insieme a segreti, cose non dette, sospetti. Si sentiva gli occhi degli altri addosso, come se lo stessero valutando anche loro, come se tutti gli interrogatori, gli esami e i questionari non fossero stati abbastanza. Cos'altro doveva dimostrare loro per meritare di potere restare?
«Ascolta, ragazzo.» mentre Lev sparecchiava e il vecchio armeggiava con del tabacco, l'uomo biondo si fece serio e fissò i suoi occhi in quelli di Alex.
«Max» lo corresse Alex, che di essere chiamato ragazzo era già stufo.
«Va bene, ascolta, Max. Lascia che ti dica due cose. Sono stato anche io seduto dove sei seduto tu adesso, con le stesse domande che hai tu adesso nella testa e la stessa paura. E c'era solo lui qui, quando sono arrivato,» indicò il vecchio, «che non si può definire un pozzo di informazioni. Adesso è come se tu fossi in prova e posso capire come ti senti, ma è possibile che presto ti trovino una...» la sua esitazione, seppure breve, non sfuggì ad Alex, «sistemazione migliore, quindi finché sei qui rilassati e non preoccuparti di nulla, se hai bisogno di qualcosa chiedi a uno di noi e cercheremo di aiutarti come possibile.»
«Di qualcosa?» fece eco lui.
«Sì, vestiti, cose in particolare da mangiare, libri, quello che ti pare, nei limiti del possibile.»
«Per tutto il tempo? Cioè, per quanto tempo starò qui?»
«Di sicuro il tempo di valutare i tuoi test. Se è andato tutto come Emma si aspetta è probabile che entro pochi giorni ti troveranno un posto in una delle casette del centro e non dovrai più preoccuparti della mia cucina.»
«E se così non fosse?» Se i test fossero andati male? Se fossi un disastro?
«Be', allora ci sarà un turno in meno per noi per le pulizie.» Lev, che intanto aveva già pulito il tavolo, si sedette di nuovo con loro.
«Cioè resterò qui?»
«Qualcosa in contrario? Siamo un po' strambi e non siamo proprio il massimo della compagnia e questo qui,» Lev indicò il vecchio con un cenno della testa, «di notte russa come una motosega.» Il vecchio ricambiò con un sorriso sghembo e Lev continuò: «Ma tutto sommato ce la caviamo, non è così male qui, sai?»
L'avrebbero fatto restare? Senza fare altre domande, senza dover dimostrare di essere all'altezza di qualcosa? Erano un po' strambi, sì, ma non lo avrebbero scaricato perché non era speciale, come se fosse un peso. Si sentiva voluto, una sensazione quasi inedita. Casa gli mancava, sempre, ma anche lì era sempre stato quello con la pecca, quello a cui i suoi dicevano di voler bene come agli altri figli, ma lui sapeva che era una bugia, perché il suo marchio li spaventava, perché non era come loro, perché avrebbero preferito fosse diverso, o mai nato. Frenare le lacrime fu impossibile. Provava uno strano calore all'altezza dello stomaco e no, non era la birra, ma una sensazione forte, come lo spostamento d'aria di un pezzo di un rompicapo gigante che all'improvviso va al suo posto.
«Stai bene, ragazzo?» Persino quell'epiteto non gli dava più fastidio. «Non pensavo di cucinare così male.»
Alex rise tra le lacrime, si asciugò la faccia con un lembo della maglia e tirò sul col naso. Felice. Ecco cos'era quella sensazione. «Sì. Sono solo felice di poter restare qui.»
«E noi dovremmo essere quelli strambi? È la prima volta che qualcuno è felice all'idea di restare con noi.»
Piangere davanti a qualcuno. Tre uomini. In altre circostanze si sarebbe vergognato, ma il sollievo provato era più forte di ogni altra cosa, al momento, seguito dal divertimento, appena i tre iniziarono a battibeccare tra loro.
«Forse pensava che lo avremmo buttato fuori.»
«Ma per chi ci ha preso?»
«Magari, e dico "magari", se non ti fossi messo a blaterare su cose tipo ammazzare la gente avremmo fatto un'impressione migliore.»
«Era solo una battuta, per rompere il ghiaccio.»
«Una battuta che ha creato il gelo, altro che ghiaccio.»
«Adesso vuoi essere tu quello spiritoso?»
«La smettete voi due? Lev, accendimi questo affare per favore.»
«Non sei un po' troppo vecchio per fumare, tu?»
«Fatti gli affaracci tuoi! E poi proprio perché ormai sono vecchio, non è una cosa di cui mi devo più preoccupare.»
«E allora fattela accendere da Rick.»
«Io mi rifiuto di accendere quella cosa puzzolente.»
Alex seguiva tutto in silenzio, il viso e gli occhi ormai asciutti e un sorriso sulle labbra. Quello che c'era fuori da quella porta al momento non gli importava nemmeno.
Sottrattosi dalla conversazione, Lev attirò l'attenzione di Alex con una lieve spallata sul suo braccio. «Ehi, pensavi davvero che ti avremmo buttato fuori, se non dovessi andare bene per lo standard di questo posto?»
Alex annuì. Si vergognò di averlo pensato, ma dalla sua c'era l'accoglienza non proprio calorosa che aveva ricevuto praticamente da tutti, prima di quel momento.
«È questo che siete voi? Non conformi allo standard?»
Il vecchio si zittì e smise di discutere con il tipo massiccio. Guardò il compagno, che in quel momento si arrese e gli porse l'accendino. Dopo la prima boccata sputò fuori il fumo, che in effetti emanava un odore pungente. «Io non ho intenzione di spiegarglielo, se vuoi fallo tu.»
Rick scosse la testa e si grattò la nuca e Alex si pentì di averli messi in imbarazzo nel fare quella domanda. Loro lo avrebbero accolto senza chiedergli nulla, senza pretendere spiegazioni e lui come li ricambiava? Avrebbe dovuto avere gli stessi riguardi nei loro confronti, essere più discreto, non chiedere. Voleva rimangiarsi quello che aveva detto. «Scusate, io non avrei dovuto...»
Pensò che da un momento all'altro sarebbero stati loro a rimangiarsi l'invito a restare in quella casa, ma Lev prese la parola: «Va tutto bene, tranquillo. Ma rimandiamo certi discorsi a domani, ti va? E poi penso che per questa sera tu abbia programmi più piacevoli che stare qui a sentire le nostre storiacce. Poco fa ha chiamato Lara, mentre eri in doccia, mi ha chiesto di dirti che più tardi passerà a prenderti per un'uscita.»
«Chissà,» il vecchio sputò fuori un lungo filo di fumo, parlando con l'aria profetica di chi la sapeva lunga, e Alex non dubitò che fosse davvero così, «magari il ragazzo non si fermerà poi così tanto qui con noi.» E a quel commento tornò di nuovo il silenzio come se qualcuno avesse premuto direttamente stop, non pausa.
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