3. Send it on - parte 1


Just one hand can heal another

Be a part, reach a heart

Just one spark starts a fire

With one little action

The chain reaction will never stop

Make it strong

Shine a light, and send it on


Fin da quando aveva memoria il figlio minore di Odino aveva dedicato il tempo libero ad accrescere la sua cultura, studiando antichi tomi e imparando lingue a molti sconosciute. Ovviamente allenava anche il suo fisico... Ma quello era più che altro un dovere di ogni asgardiano, mentre la cura e la crescita della sua conoscenza erano un piacere. Quello stolto di suo fratello non avrebbe mai capito l'importanza di comprendere la storia, le leggende e i miti del loro tempo e non solo. Era anche vero che, probabilmente, Thor non si sarebbe mai trovato nella medesima situazione e il sapere che Thanos non aveva figlie di sangue, ma solo adottive, non gli sarebbe stato di alcun aiuto.

Loki aveva studiato numerose storie e leggende in merito al Titano; lo descrivevano come un essere deforme, simile a uno Skrull, a causa di un misterioso male che aveva fin dalla nascita. Dopo averlo visto da vicino il dio dell'inganno capiva il paragone e, ancor di più, comprendeva come si narrasse che la vera arma di quell'essere non fosse la sua forza fisica, ma la potenza della mente. L'aveva sentito entrare, con prepotenza, nella sua testa, con la capacità di schiacciarlo come se fosse fatto di stoffa, e lui era un Gigante di Ghiaccio, un dio. Non osava immaginare cosa avrebbe potuto fare a un comune midgardiano.

Perché allora un essere di tale potenza e ferocia aveva deciso di adottare delle figlie? Aveva letto almeno di due donne che erano state prese da Thanos nella sua "famiglia" e aveva pensato che fossero guerriere incredibilmente forti o dotate e per questo fossero delle perfette alleate: il titolo di "figlie" doveva essere solamente un appellativo. Quindi quella giovane doveva avere di certo qualcosa di particolare, sia perché il Titano l'aveva adottata, sia perché la voleva viva nonostante l'avesse rinchiusa. Solo osservandola Loki non riusciva a comprendere cosa avesse Kyra di così speciale e, da quando era stata portata via, la sua mente, volente o nolente, continuava a tornare a lei cercando di capirla per soddisfare la sua immensa curiosità, ma, soprattutto, per ottenere informazioni su come scappare da quel luogo.

Non si sarebbe più piegato a nessuno, non avrebbe permesso ad alcun essere, persino a un Titano, di umiliarlo come già la sua "famiglia" aveva fatto. Aspettava solo la sua occasione per andarsene e già stava riflettendo su come introdursi nuovamente ad Asgard per rubare una reliquia dalla Sala del Tesoro e utilizzarla per riprendersi il trono che gli spettava. Avrebbe sicuramente usato il suo seiðr per trasformarsi in uno degli sciocchi sottoposti di Odino e nessuno si sarebbe reso conto della sua presenza perché ormai era diventato sufficientemente abile da nascondersi persino agli occhi di Heimdall.

"Questa volta Padre ci è andato giù violento, vero sorella?" la voce carica di astio e di disprezzo proveniva da una donna, ma Loki, guardandola in controluce e con occhi non più abituati a quella luminosità, non riuscì a distinguerne altro se non i contorni. Con un movimento secco la nuova arrivata aprì la cella adiacente e vi gettò dentro un corpo inerte. L'ombra svanì così come si era palesata e le prigioni tornarono oscure e silenziose se non per un respiro affannoso e sofferente.

E così la ragazzina era stata torturata e sembrava abbastanza provata da quella esperienza.

Debole.

Durante gli anni trascorsi in mezzo a persone che non comprendevano per nulla le sue doti e le sue capacità, considerandolo solo per la minore prestanza fisica rispetto agli altri, Loki aveva imparato un'importante lezione, che ormai era uno dei fondamenti della sua intera esistenza: mai mostrare le proprie debolezze. Anche coloro che si definivano amici erano sempre pronti a pugnalare alle spalle, senza neanche rendersene conto, se solo vi era l'opportunità.

Certo, il dolore fisico era decisamente più difficile da mascherare rispetto a quello dell'anima, ma il dio aveva imparato a nascondere anche quello. Si ricordava benissimo le sfide totalmente inutili e, ovviamente, non eque, che Thor gli lanciava proibendogli di utilizzare il suo seiðr. Le prime volte, quando i due erano solo ragazzini e Loki non era ancora così ferrato nell'uso delle illusioni, quei combattimenti corpo a corpo finivano sempre con la vittoria del fratello maggiore, che non si risparmiava, provocando profonde contusioni sul corpo del mago. Era stato proprio grazie a quegli allenamenti scorretti che Loki aveva imparato sia a nascondere la sofferenza fisica, per quanto intensa fosse, sia a utilizzare tutte le armi che aveva, senza preoccuparsi di "barare": dopotutto, se il dio del tuono imbrogliava con quelle sfide impari, perché mai lui avrebbe dovuto essere leale e corretto?

Un gemito sommesso riportò il dio al presente inducendolo a guardare la cella adiacente: la giovane non si era praticamente mossa, se non per avvicinarsi al muro, ma forse l'aveva fatto inconsciamente perché, quando il dio osservò il suo volto, vi vide sopra una maschera di puro terrore. Gli occhi erano spalancati, quasi come se di fronte a lei ci fosse un fantasma o una creatura demoniaca; la fronte era contratta, le labbra sembravano una sottile linea rosata e la pelle era ancor più pallida di prima.

Cosa le era accaduto durante quelle ore? Lo sguardo di Loki si posò sul resto del corpo della ragazza alla ricerca di ferite, escoriazioni o altri segni di tortura fisica, ma non sembrava esserci alcun tipo di imperfezione nel completo nero e aderente che indossava.

Forse aveva qualche ferita interna, ma comunque non si spiegava il suo sguardo terrorizzato: l'unica alternativa era che la tortura non fosse stata fisica, ma mentale. Nel suo passato gli era capitato di creare illusioni spaventose nella mente di Lady Sif o dei Tre Guerrieri e ricordava i loro sguardi impauriti, ma parevano ridicoli in confronto a quello della giovane. Per cercare di piegarla Thanos doveva averle mostrato il suo incubo peggiore; quindi quello che aveva detto era vero: non era una spia o una concubina del Titano. Non aveva ancora escluso del tutto quelle possibilità, ma aveva ben poco senso che un essere, così potente da distruggere un intero pianeta con i suoi poteri, si servisse di trucchi di quel tipo per ottenere ciò che voleva. Inoltre il terrore su quel viso pallido era troppo profondo, troppo intenso per poter essere simulato.

Un nuovo gemito sommesso si propagò nell'oscurità facendo comparire una smorfia infastidita sul viso di Loki: non sembrava essere in grado di tirarsi fuori da quella illusione da sola. Probabilmente vedeva ancora davanti a sé ciò che Thanos le aveva mostrato e questo la rendeva prigioniera del suo terrore, il che era decisamente disturbante per il dio.

Con molta probabilità avrebbe trascorso i seguenti due o tre giorni in preda a quelle visioni e il principe di Asgard era certo che l'avrebbe fatto impazzire con quei continui gemiti, urla e movimenti bruschi, per cui, dopo l'ennesimo suono molesto, Loki si spostò, sbuffando, portandosi vicino alle sbarre che separavano le celle. Allungò una mano verso la giovane afferrandole il braccio pochi centimetri sotto il gomito e stringendolo con forza in modo da mantenere la presa, anche quando lei si voltò verso di lui, cercando di allontanarsi da quel contatto inaspettato: "Sta' ferma."

Nebula e Gamora si stavano allenando, come loro solito, in una sfida che sarebbe stata inevitabilmente vinta da Gamora, con conseguente "miglioramento" di Nebula che sarebbe stata modificata dal Padre. Era una storia che si ripeteva da anni e Kyra non poteva che essere ben lieta del fatto che Thanos non avrebbe mai e poi mai modificato in alcun modo il suo fisico perché a quel punto avrebbe rischiato di intaccare il suo potere, che era il solo e unico motivo per cui era diventata sua figlia.

Lo scontro stava procedendo rapido, mentre Kyra si stava occupando della manutenzione di Fragarach, la spada che il Padre le aveva così generosamente donato perché potesse difendersi, custodendo quindi la sua dote. Tutto quello che faceva era solo per suo tornaconto: aveva adottato Nebula e Gamora perché erano forti e le aveva rese ancora più potenti per servirlo meglio, così come aveva adottato lei solamente per la sua capacità e per lo stesso motivo le aveva donato la spada.

Alzò lo sguardo dalla lama e vide che lo scontro si era fermato; le due donne si erano voltate verso di lei, muovendosi lentamente nella sua direzione con le armi sguainate e un sorriso maligno in volto: "Povera sorellina, credi davvero che la tua ribellione possa durare?" Nebula sogghignò, per poi lasciare la parola a Gamora, che appoggiò la mano destra sul fianco corrispondente mentre la sinistra stringeva la sua amata spada: "Perché combatti? Perché ti disperi e soffri per un mondo che non ti ha mai considerata? La tua razza è morta," con un fendente la donna uccise a sangue freddo un suo simile che era appena comparso dal nulla. 

"La tua famiglia ti ha abbandonato, come se fossi uno scarto."

Due figure sfuocate camminavano, allontanandosi da lei, percorrendo un corridoio oscuro e svanendo senza neanche voltarsi. 

"Come credi che possa cambiare la situazione?"

Le due guerriere iniziarono a ridere senza ritegno, diventando improvvisamente enormi rispetto a lei, per poi andarsene e lasciare spazio a qualcun altro. Una gigantesca ombra, dalla quale spuntavano due enormi occhi brillanti, avvolse ogni cosa e delle gigantesche mani viola si posarono ai lati della ragazza divenuta improvvisamente minuscola.

Tu sei mia. Sei nelle mie mani, così come tutto l'Universo. Non hai nessuno se non me e non avrai nessuno: chi mai potrà accettare un'assassina traditrice? Sei solo un'ingenua se pensi di andartene senza avermi prima consegnato quello che voglio. 

La sua mente era stata invasa dalla voce bassa e graffiante del Titano che la trafiggeva, come se fosse stata percossa internamente da violenti colpi di martello.

Si portò le mani alla testa cercando, invano, di placare il dolore che la affliggeva: ogni parola creava una squarcio che non poteva esser facilmente ricucito.

Smettila di fare la bambina. Smettila di combattere una battaglia già persa e torna da me

Era arrivato il momento della domanda, quella che le faceva a ogni seduta e che poteva portare a sole due conclusioni: libertà o supplizio.

"Dimmi figlia: tornerai da me?"

Kyra alzò lo sguardo, con lentezza, cercando di godersi in qualche modo quei pochi secondi di calma apparente; gli occhi azzurri cercarono di manifestare una determinazione che non era più così sicura di avere, ma per qualche motivo si manteneva ancora ferma nella sua posizione, anche se non sapeva quanto avrebbe potuto resistere: "No."

I due immensi bracieri si assottigliarono, manifestando lo scontento del proprietario, e poi arrivò il dolore. La visione scomparve e rimase solo l'oscurità, così immensa e avvolgente da farle mancare il fiato e opprimerla. Le sembrava di stare affogando e al tempo stesso le mucose interne bruciavano, come se fossero percorse da fuoco liquido. Ogni sua terminazione nervosa era stimolata, ma in maniera del tutto negativa: provava un male interno che partiva da quella tenebra, così fitta e bruciante, le entrava dagli occhi percorrendole tutto il corpo. Non si trattava soltanto di qualcosa di fisico, ma di una sofferenza che poteva essere paragonata solamente al puro terrore; si manifestava a partire dagli occhi e riempiva la mente e il corpo, come un flusso continuo di fuoco e ghiaccio.

Lo aveva già provato altre volte e, come sempre, cercava disperatamente di chiuderlo fuori da lei bloccando il punto d'ingresso, ma non poteva in alcun modo farlo: provava con tutta se stessa a chiudere gli occhi, sigillare quel passaggio per sempre. Tuttavia, per quanto disperatamente ci provasse, non riusciva a muovere un singolo muscolo del viso.

Sentì vagamente una pressione sul braccio destro, ma non avrebbe mai potuto capire che qualcuno la stava trascinando perché la sua mente era altrove, in un luogo di dolore da cui non riusciva a scappare. La sua vita era quella ormai e più cercava di ripensare al perché aveva deciso di ribellarsi al Padre, meno riusciva a ricordarlo. Cosa l'aveva spinta a quel gesto che le stava provocando così tanta sofferenza da ben due anni? Ricordava vagamente la figura di quell'uomo e qualche sprazzo del discorso che l'aveva colpita così tanto. Non perché di per sé fosse profondo o illuminante, ma per quello che le aveva risvegliato nella mente: pensieri che non credeva di poter avere.

A ogni modo, in quel momento, non riusciva a pensare alle parole che le avevano cambiato l'esistenza, ma solamente all'immensa sofferenza che l'avvolgeva e che purtroppo, come ben sapeva, sarebbe durato per vari giorni, prima di scemare lentamente. La percezione del tempo che aveva in quei momenti era confusa e distorta: nonostante passassero solo pochi giorni, Kyra li percepiva molto più lunghi a causa del dolore.

Fu in questa dimensione, confusa e piena di sofferenza, che a un certo punto qualcosa la afferrò con decisione e forza cercando di trascinarla fuori dal suo mondo di illusioni. Era un contatto strano, estraneo, freddo, a cui non era per nulla abituata e che, per questo, la portò a cercare di allontanarsi: sicuramente si trattava di un qualche nuovo trucco di Thanos per portarla a piegarsi a lui.

Cercò di spostarsi, di eliminare quel contatto indesiderato, muovendo quello che pensava fosse il suo braccio, anche se, essendo i suoi nervi sovreccitati per il dolore che stava provando, non poteva essere certa di averlo mosso non riuscendo veramente a percepire il suo corpo nello spazio. Qualcosa, però, doveva aver fatto perché all'improvviso il contatto s'intensificò, come se non volesse lasciarla in pace, ma la cosa più straordinaria fu che nel suo campo visivo comparve qualcosa di chiaro seppur soffuso.

"Sta' ferma" quella voce. Possibile che fosse la voce di Thanos? No, era troppo sottile e tagliente per essere quella del Titano, ma non poteva appartenere alle sue sorelle perché era evidentemente maschile. Forse si trattava di uno dei tanti servitori che la torturava al posto del padre, eppure le sembrava famigliare e in qualche modo rassicurante, come se non fosse associata al solito malessere, alla quotidiana pena, ma di chi poteva essere allora?

Nuovamente Kyra cercò di strappare il braccio dalla presa che sembrava averlo arpionato, provando a metterci più forza di prima, anche se non poteva esserne certa, ma chiunque la trattenesse non sembrava intenzionato a mollare: "Ho detto: sta' ferma, ragazzina."

Argento: solo in quel modo avrebbe potuto definire la voce che udiva, ma non le era sufficiente per comprendere a chi appartenesse, soprattutto perché il suo cervello era sovraccarico di stimoli per cui non riusciva a concentrarsi su qualcosa di esterno. Eppure il modo in cui l'aveva chiamata era diverso dai soli nomi usati da Thanos e dalla sua corte.

La macchia di colore, che si era formata davanti ai suoi occhi, cancellando qualche frammento di oscurità, s'intensificò definendo quello che pareva essere un volto molto pallido, ma fu solo quando comparvero due frammenti di giada che la visione parve schiarirsi: "Loki..."

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