Capitolo 14
Esco dalla stanza, seguita da Steve e Nat. Torniamo alla mia camera, dove mi siedo sul letto, mi sfilo i tubicini dell'ossigeno dalle narici e slaccio l'apparecchio dalla vita, appoggiandolo sul letto. Nat lo prende e lo appoggia sulla macchina che monitorava i miei battiti. Steve si siede sulla sedia, intrecciando le mani, Nat accanto a me.
"E adesso?" Chiedo, con lo sguardo basso. Con la coda dell'occhio vedo Steve e Nat che si guardano, sembra comunichino con il pensiero.
"Se vuoi tornare a casa non c'è nessun problema." Risponde Steve. Sento che non è ancora ora. Ho ancora bisogno di un po' di tempo, non voglio sforzarmi di ricordare tutto insieme, sarebbero troppe cose a cui dover dare un ordine nella mia testa.
"In realtà vorrei aspettare, vorrei stare ancora qui."
"Per questo dobbiamo chiedere, vai tu Rogers? Io intanto chiacchiero un po' con lei."
"Certo Nat, divertitevi." Risponde Steve, un attimo prima di alzarsi dalla sedia, uscire dalla stanza e chiudere la porta. Nat sorride della battuta, ma so che non sarà per niente divertente, da come me lo immagino.
"Allora, dimmi qualcosa di me." Dico, guardando Nat negli occhi, verdi come i miei.
"Beh, non saprei aiutarti un granché, se non fosse che c'è questo fascicolo proprio sul tuo comodino..." si allunga verso il mobiletto e prende la cartellina, dalla quale estrae un foglio con una mappa stampata. "Ecco qui, la crocetta indica dove sei stata addestrata, e questo è l'edificio." Mi porge un altro foglio, un edificio scuro, a diversi piani, tra gli alberi alla periferia di una città, nascosto alla vita di tutti per celare...
Persone, assassini, combattenti, bambini strappati ai genitori o abbandonati, recuperati per strada e cresciuti con la pistola tra le mani, addestrati fin da piccoli a non provare emozioni, per poi vederle arrivare nella propria vita come una cosa totalmente estranea, a sparare a bruciapelo a una persona come se tirassero le freccette al bersaglio. Ci hanno insegnato a temere la paura, perché è la più spietata, uccide più in fretta di qualsiasi nemico tu possa mai incontrare.
I dormitori, maschi e femmine divisi, stanze sobrie dall'odore di ospedale e disinfettante, la palestra dove si combatteva, il pavimento sporco del sangue di qualcuno, l'infermeria dove andavano a curarsi, e se eri giudicato troppo debole, beh, ti lasciavano a morire, non eri degno di continuare l'addestramento.
Torno al presente. I ricordi della mia vita cominciano finalmente a esserci tutti, ma ho un vuoto tra quando sono scappata da laggiù a quando sono arrivata qui, poi ci sono stralci di ricordi riguardanti il mio ingresso allo SHIELD e ricordi completi su Nat e Steve. Mi sento intontita, cerco di riprendere fiato, con poco successo.
"Jess, che hai?" Chiede Nat, vedendomi con una mano sulla fronte.
"Ricordo. Tutto. No, non tutto, ricordo il mio passato, fino a quando sono scappata dalla West Coast per venire qui, poi sono ricordi a pezzi." Dico, sospirando. In quel momento entra Steve, chiude la porta e si avvicina a noi.
"Non puoi restare, dovremo trovare una sistemazione temporanea." Dice.
"Mi va bene, non voglio andare a casa, non mi ricordo nemmeno dove sia." Rispondo.
"Si ricorda il suo passato, fino a quando è scappata." Dice Nat, mentre si alza, dirigendosi in corridoio, forse per annunciare la notizia.
"Davvero?" Mi chiede Steve, sedendosi dove prima c'era Nat.
"Si." Rispondo. Prendo le stampelle e mi alzo, Steve mi segue a distanza di sicurezza.
"Dove stai andando?" Chiede, mentre esco e mi dirigo verso l'uscita dell'edificio.
"Voglio prendere un po' d'aria, sono stanca di stare qua dentro." Rispondo.
"Se ti va possiamo andare a Central Park, non è distante."
"Per me va bene, ma non so quanto reggerò con la caviglia in questo stato."
"A proposito... fermati un attimo, devo fare due chiacchiere con Sam." Sam deve essere la ragazza al bancone dell'ingresso, perché Steve si avvicina a lei e li vedo conversare, poi lei gli passa il suo cellulare, cover ovviamente con la bandiera americana, lo infila in tasca e si salutano. Steve torna da me e usciamo nel fresco pomeriggio. "Dicevo, a proposito della tua caviglia tra tre giorni ti toglieranno il gesso e sarai quasi guarita, ci vorrà un po' di tempo perché torni a camminare bene come prima... riguardo alle altre ferite che avevi erano solo superficiali, sono guarite da sole." Forse mi sono ferita, naturalmente non me lo ricordo, ma l'importante è che sia guarita almeno sotto quell'aspetto.
"Steve?" Chiedo, senza alzare lo sguardo dal marciapiede.
"Si?"
"Perché Sam aveva il tuo cellulare?"
"Quando siamo impegnati nella base non possiamo averlo con noi, quindi lo lasciamo a Sam in custodia, e quando usciamo lo riprendiamo. L'unico esentato da questo obbligo è Tony, perché... beh, ha pagato."
"Ha pagato per farsi esentare?"
"Eh già. Ha talmente tanti soldi che pagare la cifra che gli ha chiesto Fury per lui era come bere un bicchier d'acqua." Sorridiamo entrambi. Camminiamo ancora per qualche minuto, finché il parco non si apre davanti a noi, e ci immergiamo nel verde, dove qualcuno va in bici, altri fanno jogging e altri ancora prendono il sole nel prato o sono seduti sulle panchine. I bambini corrono intorno a noi e gridano "ce l'hai!" come se fosse la cosa più bella del mondo da fare. Tutto il resto è un cinguettare di uccellini e frusciare di foglie nel venticello di New York. Troviamo un albero alto e dal tronco enorme, decidiamo di sederci lì sotto. Appena riesco a sedermi appoggio le mani nell'erba e la accarezzo, volgendo lo sguardo verso Steve, che si è seduto alla mia destra.
"Ti piace?" Chiede.
"Si, il verde mi tranquillizza. Non so se lo facesse anche prima che perdessi la memoria..." Rispondo.
"Prima che perdessi la memoria non riuscivi proprio a tranquillizzarti, avevi sempre i nervi a fior di pelle, finché..."
"Finché?" Chiedo, curiosa.
"Finché per una settimana non ti sei fatta vedere perché Tony ti aveva baciata mentre era ubriaco, e tu naturalmente eri contraria." Lo dice tutto d'un fiato, come se dirlo gli costasse un prezzo molto alto. Alla sua risposta mi irrigidisco, cercando di ricordarmi quella volta, ma senza risultati. Sto zitta qualche minuto, poi riesco a formulare una frase.
"E poi?"
"Vi siete messi insieme il giorno prima del tuo incidente, e quando eri in coma stava con te il più possibile, non ti lasciava un secondo, se non per impegni importantissimi, in questo caso lasciava o me o Nat o Clint a sorvegliarti."
"Clint? Chi è?" Chiedo, con aria interrogativa.
"Clint Barton, Occhio di Falco." Sposto lo sguardo sull'erba, trovo un fiore dal pistillo giallo e i petali azzurri, che raccolgo insieme ai suoi due amici identici.
"Non mi dice niente questo nome... ho bisogno di tempo." Dico, annusando il fiore.
"Certo, non c'è fretta." Il cellulare di Steve squilla, lui risponde e intanto si alza. "Si... Si, okay, glielo dico... si, a dopo." Si volta verso di me e dopo aver rimesso il cellulare in tasca stende le mani verso di me e mi aiuta ad alzarmi, mi porge le stampelle. "Ti abbiamo trovato un posto dove stare."
"Oh, perfetto." Rispondo. Comincio ad avviarmi per Central Park, ma mi blocco alla frase successiva di Steve.
"È alla Stark Tower."
"Scusa?" Chiedo, voltandomi indietro verso Steve.
"A casa di Tony."
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top