Los Infieles

Il pranzo era stato perfetto, come al solito.
Tutto quando uscivano assieme era perfetto, accordato sull'armonia di uno strumento silente, che solo il loro udito pareva riconoscere: c'era quel modo di scambiarsi parole, prima scherzose e poi serie e di nuovo goliardiche; quello scivolare di discorso in discorso, sempre più in profondità ma così elevati, loro, sopra la gente che li circondava, fuori dal contesto sociale, fuori dal mondo... solo loro due. Consci del fatto che quello era l'unico spazio, l'unico tempo, quello che potevano prendersi e concedersi l'un l'altro. Il ritorno al mondo, scandito da frammentarie interruzioni, glielo ricordava.
«Gradite altro?»
«A posto così, grazie» rispondeva uno, trovando subito approvazione nello sguardo dell'altro.
E riprendevano a parlare, a lasciare che le loro anime si cibassero di tutti quei discorsi, il solo mezzo che avevano per raggiungersi e toccarsi. Ogni tanto capitava che uno sguardo più eloquente sfuggisse al controllo e per un breve istante gli occhi usurpavano il senso che solo compete alle mani. Allora si sfioravano, si toccavano, si accarezzavano i volti, nella sicurezza delle loro menti. Sì, ogni tanto capitava che uno sguardo tradisse l'immensa voglia che avevano l'uno dell'altro...

«Stiamo per chiudere».
La sentenza giunse inaspettata, come sempre. F. e P. si guardarono intorno: erano gli unici ad affollare ancora la sala. La pausa pranzo stava per finire e con essa il tempo insieme. 

La porta si richiuse dietro di loro, non appena furono fuori. Sentirono le chiavi girare nella toppa.
« Sei riuscito anche stavolta a farmi fare una cosa che odio...»
« Sarebbe?» disse F. piacevolmente sorpreso.
«Questo» disse P. indicando la porta chiusa a meno di un metro da loro.
«E ti dispiace?»
Glielo chiese con quel tono malizioso di chi già conosce la risposta, fissandolo con quei due occhi provocanti che sembravano solo voler sfidare un parere contro le aspettative. Decisero silenziosamente di incamminarsi verso il negozio. Guardandoli da fuori era difficile notarlo ma, mentre percorrevano la strada fianco a fianco, la voglia di essere vicini cresceva ad ogni passo, come fossero due magneti;  F. cercava un continuo contatto con il braccio di P., e sembrava che l'altro rispondesse con delle pressioni impercettibili contro di lui. Si chiese se non fosse solo uno scherzo della sua mente, ma poco dopo ne ebbe la conferma: al semaforo rosso per l'attraversamento pedonale, P. si sbilanciò contro di lui, continuando a guardare davanti a sé. Avvertì in quel gesto tutta la complicità, la risposta al suo dubbio, la conferma che ancora una volta si erano intesi senza parlare.
Poco più avanti, colpa della folla e della strada stretta, dovettero superarsi: fu P. a passare per primo. F. lo guardò, cercò di stargli il più attaccato possibile, si proiettò in avanti per non perdere il momento, per fiutare quel profumo che l'altro lasciava dietro di sé ed accoglierlo, inspirando profondamente. Eccolo. Non avrebbe saputo definirlo. Era come respirare in un attimo tutti i loro brevi momenti, i discorsi, gli sguardi e il senso di profonda pace e sicurezza che li permeava; in un attimo respirare quel bene di prima necessità, senza cui è impossibile vivere: l'aria di una nuova esistenza.

Il pranzo era stato perfetto... ed ora erano arrivati alla porta del negozio. P. fece per aprire, ma si arrestò e si voltò.
«Visto che hai ancora del tempo, ti va di entrare?»
«Sicuro non sia d'impiccio?»
«Mal che vada, non ti darò molta attenzione».
F. assentì, divertito.
Faceva uno strano effetto entrare lì con lui; normalmente la pausa pranzo era sempre portatrice di un certo torpore, condito dal desiderio di mettersi seduto sui divanetti di prova, a far nulla. Invece l'aria del locale iniziò a vibrare non appena varcarono insieme la soglia, come un gigantesco acquario in cui vengono versati i pesciolini da un sacchetto; proprio come quei pesci, F. e P. si ritrovarono immersi in un mondo tutto loro, ovattato dai rumori della strada, della gente.
«Appoggia qui dietro le tue cose» disse P., passando per la porta che dava sul retro; lì accese la luce e F. lo seguì, trascinando con sé tutta l'atmosfera elettrica che si era creata in negozio.  Posò il suo zaino a terra, in un angolo. Poi si guardò intorno. L'ingresso del magazzino era piuttosto angusto, ma dietro il primo scaffale lo spazio si apriva in un ampio locale, dove tutta la merce era ordinatamente disposta sui numerosi ripiani. Il suo sguardo fu attirato da un modello di scarpe proprio all'entrata, di cui restavano pochi pezzi.
«Alla fine sei riuscito a venderlo, vedo».
«Beh, qualcuno con buongusto è passato, oltre a te!»
Entrambi furono sfiorati dallo stesso pensiero, da come fossero in qualche modo collegati a quell'articolo e a quel giorno, quando si erano conosciuti. Erano come due bambini che condividono lo stesso letto per dormire; e mentre dormono cullati dai propri sogni, dialogano tra loro nell'incredulità di chi li osserva. La magica perfezione di un incontro tra due mondi separati e distinti, eppur tanto vicini nell'ordine generale delle cose.
F. si chinò per posare quel simbolo rievocatore. Quando si rialzò, P. si era fatto decisamente più vicino, a un palmo dietro di lui. Lo prese da dietro, abbracciandolo stretto, come un bambino che non vuole lasciare il suo peluche. F. appoggiò le sue braccia su quelle di P.; un brivido lo indusse a inclinare la testa di lato, lasciando che la causa di quel fremito fosse libera di esprimersi: P. riuscì così ad assaporare tutto il suo profumo, sfiorando ogni nervo del collo con la punta del naso...
Un bacio a stampo sulla guancia. F. si girò, conscio del fatto che stavolta non ci sarebbe stato scampo.

In quel momento, se qualcuno avesse guardato attraverso la vetrina, avrebbe distinto due figure nere stagliate su una tela di luce bianca in fondo al negozio, teneramente abbracciate, teneramente avvinghiate, teneramente... l'una verso l'altra.

In quel momento, erano immersi nel sapore di una realtà creata da loro. Ci sarebbe stato tempo, dopo, per gli altri; per i loro rispettivi compagni. E per la gravità di quel mondo condiviso, quel primo bacio di libertà dalle catene che fino ad allora li avevano trattenuti.

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