9


«Ah! Sto impazzendo!»

Monique si sdraiò sul letto, scaraventando malamente il libro che stringeva tra le mani al suo fianco.

Le due amiche stavano studiando insieme per il test di matematica del giorno seguente. Erano ormai lì da ore, cercando di trovare il modo affinché tutte le nozioni necessarie si memorizzassero nelle loro menti stanche.

Amelya riusciva a concentrarsi a tratti. In alcuni momenti era presente, lì con Monique ad assimilare tutti quei numeri e quelle formule, in altri invece, la sua concentrazione si perdeva e i suoi pensieri raggiungevano la maestosa dimora nella foresta, dove al suo interno, in una delle stanze al piano superiore, Logan vi era imprigionato. Confinato lì, in quella stanza fatiscente, da un incantesimo che avvolgeva l'intera camera come un manto invisibile e gli impediva di varcare la soglia della porta e di vivere la sua libertà. 

Animus Carceris. Così Jaxon aveva chiamato l'incantesimo che aveva utilizzato. Le spiegò che serviva a legare l'anima di Logan a quel luogo, chiunque sarebbe potuto entrare nella stanza, ma il Demone non sarebbe mai stato capace di uscirne.

La ragazza sospirò. Quanto avrebbe voluto poter parlare con sua madre, chiederle se stava facendo la cosa giusta.

«Amelya, hai sentito quello che ho detto?»

Monique la distolse dai suoi pensieri.

«Cosa?» domandò la ragazza.

«Ti ho chiesto se hai fame» rispose sospettosa l'altra, scrutando l'amica da capo a piedi. «In questo periodo sei un po' strana. È successo qualcosa?»

Amelya scosse la testa con veemenza. «No nulla, ero solo sovrappensiero.»

Si morse la lingua. Continuare a mentire alla sua ormai migliore amica, le piaceva ancora meno. Una parte di lei avrebbe voluto raccontarle tutto, confidarsi. Avrebbe voluto rivelare ogni cosa, ma il terrore di poterla mettere in pericolo intrappolandola nella insidiosa situazione in cui si trovava, metteva un enorme freno alla sua lingua. Inoltre, non era nemmeno poi del tutto sicura che Monique avrebbe creduto senza alcuna remore alla sua storia fantascientifica su Angeli e Demoni. Per quanto poteva saperne, la sua cara amica avrebbe potuto tranquillamente sbraitarle contro di essere una squilibrata e sarebbe potuta scappare via a gambe levate senza voltarsi indietro.

«Comunque, sì, ho fame» aggiunse dopo un po', rispondendo alla domanda di Monique che si era persa. «Scendiamo a mangiare qualcosa.»

Le due ragazze scesero le scale fino in cucina, dove trovarono Adele intenta a rifornire di croccantini la ciotola di Aragorn, che scodinzolava impaziente accanto a lei.

«Ciao nonna» la salutò Amelya.

Quella parola sembrava così strana sulla punta della sua lingua. Non era ancora riuscita a scoprire nulla sulla donna con cui viveva. Nei giorni precedenti aveva provato a fare ulteriori domande ad Adele, ma senza alcun risultato: ogni volta l'anziana si bloccava a fissare il vuoto e poi cominciava a farfugliare cose senza senso. Amelya aveva anche provato a sfogliare vecchi album di famiglia, cercando qualche indizio rilevante che potesse spiegare chi era Adele, ma l'unica cosa che vi aveva trovato lì dentro, era il dolore più puro e acuto che aveva avvolto insidioso ogni suo dolce ricordo.

No, non era pronta per rivedere i loro volti. Non era pronta per il sorriso tenero di sua madre o per i luminosi occhi azzurri di suo padre, tratto che Amelya aveva ereditato con un certo orgoglio. Tanto meno, era pronta a rivivere tutti quegli sprazzi di vita, di momenti insieme. Istanti che non avrebbe mai più condiviso con loro.

«Tesoro!» le ricambiò il saluto Adele.

«Buongiorno Signora» la salutò rispettosamente Monique.

L'anziana fece un gesto di sufficienza con la mano. «Oh cara, puoi chiamarmi Adele!»

«Prendiamo qualcosa da mangiare» la avvertì Amelya e si diresse verso la dispensa.

La aprì e tirò fuori un pacchetto di biscotti al cioccolato.

«Come vanno le cose, Monie?» domandò sua nonna.

«Tutto bene a casa» rispose lei, «invece a scuola pare che ci sia un nuovo mistero.»

Amelya aprì la confezione che aveva tra le mani e prese un dolcetto.

«Un mistero?» chiese Adele, facendosi attenta.

«Sì. Sembra che un ragazzo della nostra scuola sia scomparso nel nulla. Credo si chiami Logan o qualcosa del genere» rispose Monique.

Amelya si fermò col biscotto a mezz'aria.

«Cosa?» domandò allarmata, girandosi verso Monique. «Dove l'hai sentito questo?»

Monique fece spallucce. «Me l'ha detto Cassie. Pare non si parli d'altro a scuola in questi giorni.»

Amelya deglutì. Doveva avvisare Jaxon di questa cosa, e doveva farlo subito. Aveva già abbastanza rogne con tutti i Divium che le stavano dando la caccia pronti ad ucciderla, non aveva nessuna intenzione di avere anche la polizia a indagare su di lei.

«Oh poveretto!» esclamò sua nonna, il viso contorto in un espressione afflitta, «spero che lo trovino.»

Oh beh, pensò Amelya, spero proprio di no.



Poco meno di un ora dopo, le ragazze avevano finalmente finito di studiare.

Amelya attese appena qualche minuto dopo che Monique uscì da casa sua, in modo da essere sicura di non essere vista, che si fiondò anche lei sotto il freddo di Dicembre e quasi corse verso la sua macchina. Aveva intenzione di andare alla dimora degli Harvel e lì chiamare Jaxon col Sonaglio. Non poteva rischiare di farlo a casa sua, era ancora pomeriggio e sua nonna avrebbe potuto scoprirli.

Dopo qualche minuto già sfrecciava sul sentiero sterrato in mezzo alla foresta. Passò accanto ad uno dei cartelli gialli con su scritto "proprietà privata" che Jaxon aveva affisso.

Fermò la vettura pochi metri dopo. Si fiondò fuori dall'auto e salì le scale scricchiolanti del portico. Spalancò la porta in tutta fretta, ma si accorse di averla aperta con decisamente troppa forza, solo quando l'appendiabiti in ferro battuto posto vicino l'entrata venne colpito dalla maniglia della porta e cadde sul pavimento con un tonfo assordante. Il rumore dell'impatto riempì l'intera casa silenziosa.

«Dannazione!» imprecò Amelya e si precipitò a tirare su l'appendiabiti dal pavimento e a rimetterlo al suo posto.

«C'è nessuno?»

Una voce rimbombò in tutta la casa.

«Per favore, se c'è qualcuno, aiutatemi! Mi tengono prigioniero!» le urla di Logan entrarono in ogni stanza della casa come un ospite indesiderato. Come a cercare pace, come a cercare conforto.

Un groppo si formò nella gola di Amelya. Quel Logan, così disperato e in cerca di aiuto, sembrava così diverso dal Demone che aveva provato a strangolarla per ben due volte.

Attirata dai puri sensi di colpa e con il cuore pulsante in gola, salì le scale fino al secondo piano e si diresse verso la porta spalancata infondo al corridoio.

Logan era lì, in piedi sull'uscio. Non aveva l'aspetto di un prigioniero, ma se si guardava la sua figura più attentamente, si potevano vedere delle striature di luce tutte intorno al nero pece dei suoi capelli, dovute all'incantesimo di contenimento, che flettevano la luce del giorno a proprio piacimento, dando la sensazione che ci fosse un velo quasi impercettibile che li divideva.

Non appena Logan la vide, il suo volto cambiò, e un'espressione di puro odio gli si dipinse sul viso, incattivendo il suo sguardo.

«Sei tu» sputò tra i denti.

Se i suoi occhi avessero potuto uccidere, Amelya sarebbe già morta.

«Hai...» iniziò Amelya titubante, «hai bisogno di qualcosa?»

Logan inclinò la testa, studiandola.

«Cos'è, Bambolina, hai i sensi di colpa?» la sbeffeggiò lui sarcastico, mentre un sorriso storto gli si formava sul viso.

«Non averne,» continuò subito dopo e batté un pugno contro il muro invisibile davanti a lui, «perché quando uscirò da qui, e fidati, io uscirò, ti strapperò dalle mani tutto quello che ami e ti farò guardare mentre muore.»

Amelya deglutì.

«Non che mi sia rimasto molto» bisbigliò a sé stessa.

Lui sembrò averla sentita comunque. La guardò e per una frazione di secondo, qualcosa, che non sembrava affatto odio, si palesò nei suoi occhi bianchi come la neve.

«Beh, visto che non hai bisogno di nulla...» fece spallucce e senza più guardarlo, si voltò e scese le scale fino al piano di inferiore.

Anche se in un modo un po' goffo, offrire gentilezza era la miglior cosa che poteva fare in quel momento. Non poteva liberarlo, per quanto una parte di lei lo volesse. Farlo avrebbe significato la sua morte. Avrebbe significato mettere in pericolo le persone che le erano accanto. Soprattutto ora che Logan sembrava odiarla così tanto. Probabilmente, pensò Amelya, adesso sarebbe stato Logan stesso a guidare l'esercito di Demoni contro di lei.

Amelya sospirò, provando a scacciare via quei pensieri, poi prese dalla tasca dei suoi jeans il Sonaglio e pronunciò: «Invenias Me».

Pochi secondi e Jaxon apparve dinanzi a lei.

«Cos'è successo? Stai Bene?» chiese con la voce nel panico, mentre si scrutava intorno alla ricerca di un pericolo imminente.

«Cosa?» domandò confusa Amelya. «Sì, sto bene» rispose subito dopo.

«Hai usato il Sonaglio, credevo fossi in pericolo» disse lui, quasi sgridandola che lo avesse utilizzato senza un reale bisogno.

«Beh, dovevo parlarti e non è che esattamente io possa chiamarti al telefono» si difese Amelya stizzita.

«Hai ragione, scusami» sospirò lui, «dimmi.»

«Abbiamo un problema. Oggi la mia amica Monie mi ha detto che visto che Logan non si sta presentando più a scuola, in paese stanno iniziando a farsi delle domande. Temo che potrebbero aprire un'indagine di polizia molto presto.»

Jaxon imprecò frustrato. «Perché un Demone dovrebbe iscriversi a scuola?» chiese l'istante successivo, incredulo.

Amelya sospirò. «Non ne ho idea.»

«Va bene, non preoccuparti. Me ne occupo io» sentenziò infine, un cruccio di preoccupazione a inarcargli la fronte.

«D'accordo, grazie» rispose Amelya. «Ah, Jaxon?» lo chiamò subito dopo.

«Sì?»

«Devo chiederti un favore» farfugliò titubante, mordendosi un labbro. Lui rimase in silenzio invitandola a continuare. «Potresti fare delle ricerche su mia nonna?»

«Tua nonna?» gli domandò lui perplesso. «Amelya, lo sai che...»

«Sì,» lo interruppe lei, «lo so che non è davvero mia nonna. È per questo che te lo sto chiedendo. Voglio sapere chi è realmente. Quando provo a chiederlo a lei, inizia a comportarsi in modo strano, come se la sua memoria fosse stata alterata.»

«Non mi sorprenderebbe se così fosse, ma non credo che siano stati i tuoi genitori a farlo» disse Jaxon, grattandosi il mento pensieroso.

«Che intendi dire?» chiese Amelya.

«I tuoi genitori hanno perso i poteri quando gli hanno tagliato le ali. Non avrebbero mai potuto modificare la memoria di tua nonna o...» Jaxon si interruppe solo per indicare la collana di Amelya, «creare la runa che porti al collo.»

«Quindi qualcuno gli ha aiutati?» chiese sconcertata la ragazza.

«Sì» rispose Jaxon.

«Altri Divium?» domandò curiosa Amelya.

Provò a fare mente locale di tutti gli amici dei suoi genitori, ma nessuno sembrava particolarmente sospetto. D'altronde, pensò Amelya, anche se fossero stati Divium lei non avrebbe potuto di certo capirlo semplicemente guardandoli.

«Sinceramente, non lo so» rispose l'Angelo.

Amelya sospirò. Un altro piccolo mistero era appena stato aggiunto nella sua lista già bella piena di domande.

«Ehy,» la chiamò Jaxon e le poggiò delicatamente una mano sulla spalla. Lei alzò lo sguardo su di lui. «Non preoccuparti. Mi informerò e troverò delle risposte» il tono dolce. 

Amelya annuì. «Grazie» mormorò, guardandolo negli occhi, mentre sembrava che il calore confortante della sua mano avesse l'insolito potere di penetrarle la pelle delicata e fosse in grado di spingersi ancora più in profondità, raggiungendo persino le sue stesse ossa.

Jaxon le sorrise. «Ora devo andare» disse e abbassò la mano interrompendo il contatto. «Se hai bisogno di me, sai come chiamarmi.» Si morse il labbro, come se volesse aggiungere altro. «Fallo anche se non ne hai bisogno.»

«Che intendi dire?» domandò Amelya scrutando il suo viso incredibilmente perfetto.

«Puoi usare il Sonaglio quando vuoi, anche se solo per chiacchierare» l'incertezza nella voce.

Amelya gli rivolse un sorriso genuino. «Va bene, lo farò.»

Jaxon ricambiò il sorriso e così velocemente come era apparso, scomparve.



 ◇─◇────◆─◈─◆────◇─◇



La campanella suonò. Amelya e Monique stavano uscendo da scuola in quel momento. Aveva appena iniziato a nevicare e il freddo persistente del Montana, scavava sotto i suoi molteplici strati di vestiti, raggiungeva la sua pelle rosata e le creava leggeri brividi che percorrevano con insistenza tutto il suo corpo.

«Spero sia andato bene» sospirò Monique accanto a lei, riferendosi al test di matematica che avevano appena sostenuto.

«Già, lo spero anche io» borbottò Amelya.

Era riuscita a concentrarsi a fatica durante l'esame. I suoi voti avevano già preso un burrascoso calo da quando aveva scoperto di essere la Referet. Ma d'altronde, come poteva essere diversamente? Non capita tutti i giorni di scoprire di essere una creatura magica con dei poteri. La ragazza si strinse nel giubbotto e camminò spedita verso il parcheggio. Non appena i suoi occhi si posarono sulla sua macchina parcheggiata, si bloccò all'istante, pietrificandosi sul posto come marmo.

«Chi è quella?» chiese Monique accanto a lei.

Appoggiata al finestrino dell'auto di sua nonna, c'era il Demone dai capelli biondi che Amelya aveva visto all'Underground insieme a Logan. Era lì, con le braccia conserte, un leggero giubbotto di pelle marrone a fasciarle il fisico statuario, come se non percepisse affatto i meno dieci gradi di quel pomeriggio nuvoloso.

«Ciao» la salutò il Demone con nonchalance.

Amelya non rispose.

La bionda si staccò dalla macchina e si avvicinò a grandi falcate alle due amiche. Una orribile e soffocante sensazione di pericolo si espanse a macchia d'olio nel petto della ragazza.

«Amelya, giusto?» chiese il Demone.

La ragazza annuì, poi lanciò un'occhiata fugace a Monique accanto a lei. Doveva stare attenta a quello che diceva. Le due ragazze si trovavano davvero in una brutta situazione: se il Divium davanti a lei avesse scelto di attaccarle, Amelya non avrebbe potuto fare niente per salvare sé stessa o la sua migliore amica.

Quella sensazione di completa e totale impotenza si piazzò nel profondo delle sue viscere, contorcendole.

Un sorriso sinistro incurvò le labbra tinte di rosso del Demone. «Mi chiamo Catherine» disse, mentre i fiocchi di neve le si poggiavano sulla chioma bionda. «Sto cercando un amico e credo tu possa dirmi dove si trova.»

Amelya deglutì.

«Quale amico?» si intromise Monique.

Catherine non la degnò d'uno sguardo, i suoi perforanti occhi marroni erano puntati solo ed esclusivamente su Amelya.

«Logan» rispose tra i denti.

«Conosci Logan?» le domandò sconcertata Monique alla sua destra.

Amelya ritrovò la voce giusto in tempo. «No, non lo conosco» ribatté, in un tono che pretendeva di essere il più naturale possibile.

«Davvero?» chiese Catherine, alzando un sopracciglio. «Ero convinta fossi tu all'Underground qualche giorno fa» disse, continuando a sorridere in modo insistente. Sembrava quasi che avesse una paralisi facciale. «Beh, mi sarò sbagliata» aggiunse, notevolmente sarcastica.

«Sicuramente è così» rispose Amelya, sforzandosi in un sorriso di sufficienza.

Catherine fece qualche passo indietro. «Resterò nei paraggi per un po'», posò velocemente i suoi occhi su Monique, per poi tornare a guardare Amelya. «Ci vediamo presto» concluse, mentre un macabro sorriso le stiracchiò le labbra.

Il Demone le lanciò un'ultima occhiata insistente, poi si voltò e se ne andò via a grandi falcate.

«Che cavolo è appena successo?» scattò Monique.

Ora, era veramente nei guai.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top