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«Signorina Harkins, è qui con noi?»
Amelya alzò la testa di scatto, richiamata bruscamente dal Professor Brown di Fisica, che con lo sguardo irritato dietro i suoi occhiali tondi e un sopracciglio alzato, la scrutava dalla cattedra a pochi metri da lei.
«Sì, mi scusi professore» rispose Amelya in imbarazzo.
Si era appisolata sul banco e questo non era proprio da lei. La notte precedente non aveva chiuso occhio, ma non c'era da stupirsene considerando quello che le aveva rilevato Jaxon. Faceva ancora fatica a credere che lei fosse la Referet, quest'ibrido metà Demone metà Angelo, ma soprattutto le sembrava surreale che sua madre Susan fosse un Angelo e che suo padre Harry invece fosse un Demone. Eppure, la prova inconfutabile di tutto ciò la stava indossando al collo proprio in quel momento. Jaxon le aveva riparato la collana, rimettendo la foto al suo posto e le aveva anche intimato in modo severo di non toglierla mai, qualsiasi cosa fosse successa. Aveva spiegato che se avesse tolto la collana, gli altri Divium sarebbero stati in grado di trovarla. La collana però, non la nascondeva solamente, sopprimeva anche i suoi poteri. Sopprimeva e schiacciava anche il suo vero essere. Provò più volte a mettersi nei panni dei suoi genitori, a cercare di capire perché non le avessero mai detto la verità su quello che era, su quello che era in grado di fare, ma non riusciva a darsi risposta. Sapeva che le avevano dato la collana quando aveva dieci anni per proteggerla, ma perché non dirle la verità una volta cresciuta? Oppure si aspettavano che l'avrebbe indossata fino alla sua morte? E se per errore se la fosse tolta mentre era vicino a un Divium?
Amelya sospirò. Aveva la sensazione che prima o poi le sarebbe esploso il cervello da tutte le domande che le vorticavano in testa.
«Tutto bene?» bisbigliò Monique accanto a lei per non farsi sentire dal professore.
«Sì, ho solo dormito poco stanotte» mormorò la ragazza.
«Ultimamente stai dormendo molto male o sbaglio?» chiese Monique.
Stava per risponderle quando il Professor Brown tossì vistosamente lanciando a entrambe un'occhiataccia. Le due amiche si ammutolirono sino alla fine della lezione.
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Amelya stava percorrendo il corridoio verso il bagno delle ragazze con passo svelto, lanciandosi ogni tanto delle occhiatacce fugaci alle spalle. Dalla festa di Halloween non aveva più rivisto Logan da nessuna parte. Lui non si era più presentato a scuola, ma comunque, lei temeva ugualmente di trovarselo dietro un angolo da un momento all'altro. Ora che sapeva che era un Demone e di cosa era capace, sapeva anche di non avere nessuna possibilità contro di lui. Certo, tecnicamente anche lei era per metà Demone, ma era vicina a sapere come utilizzare i suoi poteri tanto quanto lo era dal scoprire chi fosse l'assassino dei suoi genitori. Si domandava se sarebbe mai riuscita a utilizzarli affatto, questi poteri straordinari che decantava tanto Jaxon, visto che non poteva togliere la collana.
Aprì la porta del bagno delle ragazze trovandolo deserto. Aveva un disperato bisogno di gettarsi acqua fresca sul viso oppure avrebbe finito per appisolarsi anche nella prossima lezione. Aprì il rubinetto e si lavò la faccia un paio di volte. Quando lo chiuse e rialzò la testa vide riflesso nello specchio una figura dietro di lei. Il cuore le perse un battito e quasi urlò dallo spavento.
«Jaxon!» sbottò, mettendosi una mano sul cuore scalpitante. «Mi hai fatto prendere un infarto! Non puoi apparire alle spalle delle persone così» si lamentò.
«Mi dispiace, non pensavo di spaventarti» disse lui mentre si passava una mano tra i capelli biondi.
«La prossima volta ti metto un campanellino al collo, come ai gatti» borbottò Amelya.
Jaxon scoppiò a ridere. «No, non credo che questo accadrà, mi rovinerebbe il look» disse, indicando la giacca in pelle bianca con le rifiniture nere e i jeans scuri che stava indossando in quel momento.
Amelya fece roteare gli occhi mentre un sorriso, che proprio non riusciva a trattenere, le si formò sul viso.
«Allora, cosa ci fai qui?» chiese subito dopo.
Amelya era sorpresa di vederlo. Jaxon era stato gentile a spiegarle tutto e riverarle cos'era, ma in qualche modo pensava che il suo lavoro lì fosse finito. Non si aspettava che lo avrebbe rivisto dopo la scorsa sera. In fondo, da quello che lui le aveva spiegato, tutti i Divium le stavano dando la caccia, questo includeva anche i suoi fratelli Angeli. Non era quindi pericoloso per lui starle vicino?
Jaxon si prese qualche secondo per rispondere, inclinò la testa e la scrutò a fondo. «Volevo sapere come stavi, ieri mi sei sembrata parecchio giù di morale.»
Le guance di Amelya si colorarono di una tinta rosso fuoco al ricordo di come la sera prima aveva pianto sul suo petto senza alcun ritegno.
«Sto bene, anche se sono ancora sotto shock e ho davvero tante domande» rispose sinceramente, fissando le mattonelle del bagno.
«Quali domande? Forse posso aiutarti» rispose Jaxon.
Amelya si morse un labbro. «Mi chiedo perché i miei genitori non mi abbiano mai detto la verità.»
«Non mi stupisce sinceramente» sbuffò Jaxon, incrociando le braccia muscolose al petto.
«Che intendi dire con questo?» domandò Amelya stizzita.
«Beh, tua madre raccontò molte bugie a tante persone per riuscire a mantenere la relazione illegale che aveva, non mi sorprende che abbia mentito anche a te» asserì lui, come se fosse una cosa più che ovvia.
«Tu non sai niente di lei!» sbottò Amelya, «se ha mentito l'ha fatto per un valido motivo!» scattò, stringendo i pugni con così tanta forza che le nocche le diventarono bianche come il latte.
«Amelya, ha tradito i suoi simili, i suoi amici e chiunque la conosceva e sosteneva! E tutto questo per mettersi insieme a un...» si interruppe solo per fare una smorfia di disgusto, «un Demone!»
«Loro erano innamorati!» urlò Amelya.
Nessuno doveva permettersi di infangare la memoria dei suoi genitori. Nessuno.
«Ma questa è una cosa che tu non puoi capire» aggiunse velenosamente tra i denti, inchiodando con il suo sguardo l'Angelo davanti a lei.
Jaxon si ammutolì. Vedendola lì tremante dalla rabbia con gli occhi azzurri velati dalle lacrime bloccate, capì di aver esagerato.
«Amelya...» iniziò in modo calmo.
«Vattene» lo interruppe lei.
Continuare a parlargli era l'ultima cosa che voleva in quel momento.
Lui la fissò qualche secondo, con i riccioli biondi che gli ricadevano disordinati su un'espressione sofferente, poi senza aggiungere altro, così come era apparso, scomparve nel nulla.
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Amelya muoveva la forchetta in tondo, giocherellando con un pezzo di bistecca succosa adagiata sul piatto davanti a lei. Aveva lo stomaco in subbuglio, ancora nervosa per la conversazione che aveva avuto con Jaxon nel bagno quella mattina. Sospirò frustrata. Non si pentiva di avergli urlato contro, affatto. Finché avesse continuato a solcare quella terra con la sua presenza, avrebbe difeso la memoria dei suoi genitori a spada tratta.
«Amelya, non hai fame?» chiese sua nonna, seduta davanti a lei mentre si riempiva il bicchiere d'acqua.
Sua nonna.
Una domanda le spuntò nella testa, invadente e gigantesca come l'intero dannato Everest. Se i suoi genitori erano Divium, voleva dire che era impossibile che avessero parenti umani. L'anziana seduta davanti a lei non poteva essere sua nonna. Quindi chi era quella donna con cui stava condividendo la cena? Era anche lei una Divium? Era a conoscenza di cosa erano davvero lei e i suoi genitori?
Spinta da una curiosità irrefrenabile fece la sua domanda: «Nonna,» la chiamò e la donna alzò lo sguardo su di lei, «mamma e papà ti hanno mai detto qualcosa di particolare su di me?»
Adele fece un'espressione stranita. «Particolare?» fece eco, non capendo.
«Sì, qualcosa di strano su di me. Un segreto» provò a spiegare goffamente.
«Che tipo di segreto?»
Amelya sospirò, era inutile girarci intorno.
«Sai cos'è un Divium?» chiese seccamente.
L'anziana fece un espressione ancora più perplessa e confusa.
«Un che?» domandò fissandola come se la nipote avesse iniziato a parlare una lingua aliena.
Amelya scosse la testa. Sembrava sincera. Non era una Divium e non sapeva nulla di lei o dei suoi genitori. Questo però non spiegava chi fosse davvero.
«Niente, non è importante» rispose Amelya.
In questo modo non avrebbe scoperto nulla. Doveva tentare un'altra strada. Si scervellò qualche secondo, cercando di ricordare dei momenti nella sua vita in cui sua nonna le era sembrata strana o diversa dal solito, qualsiasi dettaglio che potesse sembrare rilevante o interessante. Ci pensò su qualche minuto, poi, improvvisamente, le venne in mente qualcosa che invece non ricordava affatto: sua nonna nei primi anni della sua infanzia.
Ora che ci pensava, non aveva nessun ricordo collegato a lei sino al suo sesto compleanno. Zero. Nemmeno una festa o una cena in famiglia. Era come se sua nonna fosse magicamente apparsa nella sua vita da un momento all'altro.
«Nonna,» la richiamò, «ti ricordi il giorno in cui sono nata?» domandò, guardandola attentamente.
Amelya vide il volto dell'anziana diventare pietra. I suoi occhi marroni divennero grandi e privi di vita, e si fissarono sul muro alle spalle di Amelya. Rimasero inchiodati lì per un tempo che sembrò interminabile. Non sbatteva le palpebre, sembrò addirittura che avesse smesso di respirare per qualche secondo. Poi, come se qualcuno avesse premuto il pulsante "reset", tornò in sé. Chiuse gli occhi un paio di volte, fece una smorfia strana e tornò a fissare il piatto davanti a lei come se Amelya non avesse proferito parola.
«Hai sentito quello che ho chiesto?» insistette Amelya, inarcando le sopracciglia con sospetto.
«No tesoro, cosa mi hai chiesto?» rispose Adele, mentre con le posate si tagliava un pezzo di bistecca.
«Ti ricordi il giorno in cui sono nata?» domandò nuovamente.
Adele si fermò con la forchetta a mezz'aria. Amelya notò che con l'altra mano stava stringendo in una morsa la tovaglia rossa su cui erano poggiati i piatti. Questa volta però, si riprese subito.
«No» disse, scuotendo la testa con veemenza.
«Come fai a non ricordartelo?» chiese Amelya, sempre più stranita.
«Sono passati tanti anni tesoro, può succedere» rispose la donna con nonchalance, come se fosse una cosa di poco conto. «Coraggio, finisci la tua cena» aggiunse poco dopo, poi si riposizionò una ciocca dei suoi capelli ramati dietro l'orecchio destro.
Amelya sospirò. Un altro mistero si era appena aggiunto alla sua lista già corposa. Avrebbe mai trovato le risposte che bramava così tanto?
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Il fischio dell'arbitro risuonò nel silenzio del crepuscolo. La partita era iniziata. Amelya si trovava tra gli spalti del campo da football. Accanto a lei Monique seguita da Cassie e Matt. Le cose tra loro tre stavano lentamente migliorando, Monique aveva alla fine deciso di dargli un'altra possibilità, anche se ancora non si sentiva a suo agio a stare sola con loro. Per questo motivo, quando Cassie l'aveva invitata a vedere la partita insieme, lei aveva quasi supplicati Amelya di accompagnarli. Nonostante non amasse il football, Amelya non era proprio riuscita a dirle di no. Inoltre, pensò che magari distrarsi da tutto quello che le stava accadendo non le avrebbe fatto altro che bene.
Quasi si rimangiò questo pensiero quando, dopo un'azione particolarmente sorprendente del quarterback, il tizio accanto a lei lanciò un urlo degno di un film horror, perforandole quasi un timpano.
Contrariata si coprì l'orecchio con una mano e gli lanciò un'occhiataccia. Sospirò frustrata.
«Vado in bagno» disse nell'orecchio di Monique alla sua sinistra, quella annuì in risposta.
Amelya si alzò e scese i gradini degli spalti poi si diresse verso la scuola, l'unico posto vicino al campo da football in cui c'erano i bagni. Quando entrò nella struttura la trovò ovviamente deserta, tutti i suoi coetanei erano alla partita. La suola dei suoi scarponcini neri che stridevano sul pavimento dei corridoi era l'unico suono udibile.
Si avviò verso i bagni delle ragazze, quando un rumore di passi riempì il silenzio dietro di lei. Si irrigidì. Chiuse gli occhi qualche secondo e provò a stabilizzare il suo respiro. Era assurdo aver paura di qualsiasi rumore. Poteva tranquillamente essere un suo compagno di classe. Riaprì gli occhi e si voltò per appurarsene ma non trovò altro che un corridoio vuoto. Amelya si passò una mano tra i folti capelli neri.
Prese un grosso respiro e si voltò nuovamente per tornare in direzione dei bagni, ma si bloccò all'istante. I suoi occhi di ingrandirono vacui fissandosi sulla figura a pochi metri di distanza.
Davanti a lei c'era Logan.
«Ciao» la salutò lui tranquillamente, come se stesse parlando con una vecchia amica.
Amelya non rispose.
Logan fece un passo verso di lei, e istintivamente, Amelya indietreggiò. Lui notò subito la cosa e inclinò la testa, incuriosito.
«Ti ricordi di me,» constatò, «quindi il nostro amico non ti ha cancellato la memoria.»
Amelya ingoiò a vuoto.
«Strano da parte sua, fiscale com'è sulle leggi, non ti avrebbe mai lasciata andare senza averti resettato il cervello» sghignazzò e fece un altro passo verso di lei.
La ragazza indietreggiò ancora.
«Oppure non ha potuto cancellarti la memoria?» si domandò, come se stesse ragionando con sé stesso e Amelya fosse solo una mera spettatrice.
Fece ancora un passo verso di lei.
Amelya ne fece un altro indietro, finché la sua schiena non toccò qualcosa di freddo: aveva raggiunto gli armadietti.
Un sorriso si fece largo sul viso di Logan, sembrava divertirsi nel vederla in difficoltà, nel vederla spaventata e alle strette. La guardò come se fosse una preda succosa e lui il miglior cacciatore in circolazione.
«Questo però, vorrebbe dire che sei una Divium» continuò, mentre si avvicinava pericolosamente a lei.
Solo un altro passo e avrebbero iniziato a condividere lo stesso ossigeno.
«Ma io non ti ho mai vista tra i Demoni, e da come ha reagito il nostro amico Angelo quel giorno nella foresta, nemmeno lui ti ha mai vista tra gli Angeli.»
Logan alzò entrambe le braccia fasciate da un'aderente maglietta nera che faceva risaltare tutto il suo fisico scolpito, e poggiò i gomiti sull'armadietto grigio e freddo dietro di lei. Adesso, era così vicino che Amelya avrebbe potuto letteralmente contargli le ciglia. Il cuore iniziò a scalpitarle in gola.
«Quindi sei una Divium che vive tra gli umani» disse, mentre le ciocche dei capelli neri gli ricadevano sulla fronte, sbarazzine e arroganti, proprio come il loro padrone.
Staccò il braccio destro dall'armadietto, solo per prendere una ciocca dei capelli di Amelya, se la rigirò tra l'indice e il medio, poi lentamente la rimise al suo posto, infilandola dietro l'orecchio della ragazza.
«Sai, conosco solo un Divium che corrisponde a queste descrizione» sussurrò, mentre i suoi occhi scrutavano ogni particolare del viso della ragazza con insistenza. Un sorriso bello quanto pericoloso gli incurvò la bocca.
Inclinò il volto e si avvicinò ulteriormente.
Amelya perse un battito, sentiva il cuore pulsarle nelle orecchie. Stava per fare quello che pensava? Stava per baciarla?
Invece, lui le sfiorò appena la guancia con la punta del naso e poi lentamente portò le sue labbra all'orecchio destro di Amelya.
«Ci rivedremo presto, Bambolina» mormorò. Il suo respiro caldo sul collo le fece venire la pelle d'oca.
E con quelle parole sospese nell'aria, si dissolse come fumo e svanì nel nulla.
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