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Bzz..bzzz... bzzz
Amelya mugugnò contrariata, tirò fuori il braccio dal caldo tepore delle coperte e afferrò il telefono che stava vibrando sul suo comodino. Si strofinò la faccia e aprì un occhio. La luce dello schermo quasi le bruciò l'iride.
«Pronto?» farfugliò, il volto ancora attaccato al cuscino.
«Amelya!» urlò Monique e la ragazza fu costretta ad allontanare il telefono dall'orecchio. «Dove sei? Come stai? Mi hai fatta preoccupare ieri!»
Amelya sospirò, dopo la sua esperienza paradossale nel bosco, era tornata a casa e si era gettata nel letto a peso morto. Con tutto quello che le era successo aveva dimenticato di avvisare Monique.
«Sto bene, tranquilla, ho solo dimenticato di scriverti» rispose in tono calmo.
Sentì l'amica borbottare qualcosa dall'altro lato del telefono.
«Allora, di cosa aveva bisogno tua nonna?» chiese Monique.
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, di che stava parlando? Poi, come un lampo, si ricordò della bugia che le aveva raccontato la sera prima per riuscire ad andarsene dalla festa.
«Oh... ehm,» balbettò. Doveva trovare una scusa e in fretta. «Mia nonna aveva portato Aragon a spasso, ma lui era scappato via, così mi ha chiamato per aiutarla a cercarlo.»
«Mi dispiace, tutto a posto ora?» chiese Monique, sinceramente preoccupata.
Ad Amelya non piaceva mentire, ma doveva farlo. La scelta era tra questo oppure dirle che il giorno prima aveva visto due ragazzi con delle spade lucenti combattere nella foresta e poi svanire nel nulla.
«Sì, non preoccuparti, tutto risolto» rispose incerta, «com'è andata ieri con Cassie e Matt?» chiese subito dopo, cercando di cambiare argomento.
Monique ci pensò su qualche secondo.
«Credo bene. Insomma, io e Cassie abbiamo parlato un po' e lei si è scusata per il suo comportamento. Mi ha detto che sono stati i suoi genitori a vietarle di vedermi e lei non era riuscita a opporsi a loro. Ha anche aggiunto che vuole tornare mia amica. Non l'ho ancora perdonata per avermi abbandonato quando più ne avevo bisogno, ma credo che ci si possa lavorare su.»
«Matt invece?» domandò Amelya.
Monique sospirò. «Non lo so, non ha quasi parlato ieri. Il che è strano, eravamo inseparabili. Credo non condivida l'idea di Cassie di riappacificarsi con me.»
«Vedrai che andrà tutto bene, dagli tempo.»
«Ci proverò» mormorò l'amica, decisamente poco convinta. «Comunque, hai voglia di vederci oggi? Puoi venire da me e ci vediamo un film insieme.»
Amelya si prese qualche secondo per rispondere. Voleva davvero andare dall'amica e passare una domenica tranquilla, ma la sua testa non faceva altro che pensare a quello che era successo il giorno prima.
Aveva bisogno di risposte.
«Mi dispiace Monie, oggi non posso» rispose, mordendosi il labbro.
«Va bene» ribatté lei, con un tono che sembrava decisamente dubbioso.
«Ci vediamo domani?» chiese Amelya.
«D'accordo, a domani.»
Si salutarono e una volta terminata la chiamata Amelya rimase a fissare il soffitto della sua cameretta qualche secondo. Più tempo passava a scervellarsi su cosa era successo in quella foresta, meno risposte riusciva a trovare. L'unica cosa che aveva capito e di cui era abbastanza certa era che quei due ragazzi non erano umani, il che era evidente visto che avevano letteralmente evocato delle armi dal nulla, ma le vere domande erano altre: che cos'erano? Perché avevano detto che lei non era umana? Perché Logan aveva detto che quel giorno a scuola mentre sfogava la sua rabbia sul bullo di Monique, i suoi occhi erano diventati neri?
Quel pomeriggio, Amelya aveva provato a dare una risposta a quelle domande, senza riuscirci. Era ritornata nella foresta, nello stesso e identico punto del giorno prima, ma non aveva trovato nessun indizio.
Così verso sera si era messa a cercare su internet qualsiasi cosa potesse ricondurre a quello che aveva visto. Aveva provato anche a scrivere nella barra di ricerca "spade lucenti" o "esseri super veloci", ma tutto quello a cui il browser la riconduceva erano fumetti o opere di fantasia. Sinceramente, pensò Amelya, aveva davvero iniziato a sentirsi come la protagonista di un romanzo.
Voleva capirne di più, perché se lì fuori c'era davvero qualcuno di così forte e veloce in grado di sparire nel nulla senza lasciare traccia, forse allora non era così pazza a pensare che i suoi genitori fossero stati realmente uccisi da qualcuno che era scomparso senza lasciare nessuna impronta.
L'unica cosa che riusciva a farle conservare un po' di speranza erano le parole di Jaxon. Lui le aveva detto che si sarebbero rivisti, e Amelya aspettò paziente, ma quando i giorni divennero lunghe settimane, la sua speranza iniziò a vacillare. Iniziava seriamente a dubitare che sarebbe mai tornato.
◇─◇────◆─◈─◆────◇─◇
Amelya sbadigliò, strofinandosi gli occhi. Era sera e si stava preparando per andare a letto. Si mise sotto le coperte e spense il lume sul comodino. Appena lo fece, vide con la coda dell'occhio qualcosa muoversi dietro di lei. Presa dal panico, riaccese subito la luce della lampada e si voltò tirandosi indietro spaventata.
Ai piedi del suo letto c'era Jaxon.
Sgranò gli occhi.
«Cosa... Come hai fatto a entrare?» farfugliò, guardandosi intorno come a cercare qualche sorta di falla di sicurezza nella sua cameretta.
Lui non rispose, si limitò a fissarla pensieroso.
«Perché mi stai fissando?» chiese nuovamente Amelya, tirandosi su le coperte per coprire il suo pigiama a fiori.
«Non sei come ti descrivono» disse lui, in tono calmo e pacato, ignorando entrambe le sue domande.
«Di cosa stai parlando?» domandò Amelya esasperata.
«Davvero non sai di essere la Referet?»
Jaxon continuava a scrutarla con insistenza, come se si aspettasse di vederle spuntare una doppia testa da un momento all'altro.
«Una che?» gli fece eco lei, non aveva mai sentito quel nome prima.
Frustrata sospirò. «Senti Hagrid, sarà meglio che mi spieghi cos'è una Referet e perché sei nella mia camera di notte a fissarmi come un maniaco prima che incominci a urlare e mi faccia sentire da tutto il quartiere!» sbottò tutto d'un fiato.
«Chi è Hagrid?» domandò lui, mentre un sorriso divertito, che avrebbe potuto tranquillamente illuminare l'intera stanza, si fece largo sul suo viso perfetto.
«È una citazione, ma non è questo il punto!» quasi urlò, poi chiuse brevemente gli occhi per cercare di riprendere la calma, fece un bel respiro e quando li riaprì, con un tono molto più calmo disse: «Per favore, sono settimane che aspetto, rispondi alla mie domande.»
Jaxon tornò serio, si morse un labbro e la squadrò con i suoi profondi occhi verdi.
«La Referet è una creatura metà Angelo e metà Demone.»
Amelya lo fissò come se avesse iniziato a parlare in arabo.
«Mi stai prendendo in giro» sentenziò seccamente.
Senza risponderle, Jaxon chiuse gli occhi, mosse leggermente le spalle e poco dopo due enormi e meravigliose ali bianche spuntarono dietro di lui. Amelya indietreggiò sino a picchiare la schiena contro la testiera del suo letto. Rimase a bocca aperta, fissando la scena davanti a lei con occhi sbarrati. Le ali erano talmente grandi che occupavano l'intera stanza in larghezza. Le piume erano di un bianco candido e davano la sensazione di essere incredibilmente soffici, facendoti venir voglia di infilarci le dita dentro. Erano spettacolari.
«Se vuoi delle risposte alle tue domande, devi essere pronta ad ascoltarle» ribatté Jaxon.
Amelya lo fissò esterrefatta. Non riusciva a formulare nessuna frase, quindi si limitò ad annuire.
«Nel bosco provai a cancellarti la memoria di quello che avevi visto,» iniziò Jaxon, «una procedura standard nel caso in cui un umano dovesse scoprirci, ma con te non ha funzionato.» Prese una pausa e fissò Amelya dritta negli occhi: «Solo creature angeliche o demoniache sono in grado di resistere a questo incantesimo e di solito lo fanno provando un dolore lancinante. Tu non hai nemmeno battuto ciglio» concluse scuotendo la testa, come se anche lui stesso facesse fatica a crederci.
«Ed è per questo che pensi che io sia una Referet?» chiese Amelya, le sembrava assurdo persino pronunciare quelle parole.
«Non solo» rispose lui, «non conosci il nostro mondo, ma cercherò di spiegartelo nel migliore dei modi» disse, poi fissò il letto di Amelya.
Smosse leggermente le spalle e le ali sparirono. Le si avvicinò lentamente.
«Posso sedermi?» chiese, indicando il letto.
Amelya annuì.
Jaxon si sedette poco distante dalla ragazza. Le molle del materasso cigolarono leggermente.
«Come avrai capito esistono sia Angeli che Demoni. Veniamo chiamati Divium. Tutti i Divium riescono a riconoscersi facilmente tra loro, ognuno di noi ha un "odore" rivelatore che viene chiamata "scia celestiale" o "scia demoniaca". Per questo ti ho annusata ieri nella foresta, cercavo di capire cosa fossi, ma non ho sentito nulla. Questo prima che Logan mi dicesse che quando hai aggredito il tuo compagno di classe, i tuoi occhi erano diventati neri.»
«Ma i miei occhi non sono neri,» lo interruppe Amelya, «com'è possibile che lo siano diventati improvvisamente?»
«Non è solo l'iride a diventare nero, ma tutta la sclera. Questo capita solo ai Demoni quando perdono il controllo» rispose Jaxon, «Logan ti ha aggredita credendo tu fossi un Demone, probabilmente avrà pensato che lo stessi seguendo o qualcosa del genere.» Jaxon fece una pausa, prese un lungo respiro e poi continuò. «Il punto è che tutti i Demoni si conoscono a vicenda, così come gli Angeli. Ma Logan non ti ha riconosciuto, quindi non appartieni ai Soldati Infernali, e io non ho riconosciuto te, quindi non appartieni nemmeno ai Celestiali. Ma come ho detto prima, solo un Divium può resistere a un incantesimo di cancellazione della memoria, ed esiste solamente un Divium sulla terra che vive tra gli umani e che non appartiene a nessuno dei due eserciti: La Referet.»
«La Referet?» domandò istintivamente Amelya.
Jaxon l'aveva detto come se fosse l'unica, come se non ce ne fossero altre.
«Sì» rispose Jaxon, «ne esiste solo una.»
«È assurdo» commentò Amelya, scuotendo la testa. Un conto era credere che esistessero Angeli e Demoni, un altro era pensare che lei fosse una di loro. «Come fai a sapere che è l'unica?» chiese subito dopo.
Jaxon sospirò. «Quello che sto per dirti, non ti piacerà» disse, mentre un'espressione quasi di pietà gli si formava sul viso.
«Continua» lo spronò lei.
Se proprio doveva entrare in questo circolo di stranezze, tanto valeva entrarci per bene e scoprire tutto quello che poteva al riguardo. Si riposizionò sul letto, sedendosi a gambe incrociate.
«Diciassette anni fa, un Angelo delle più alte gerarchie celesti ci tradì, ebbe una relazione con un Demone. Il consiglio degli Arcangeli lo scoprì e per punizione la bandì, tagliandole le ali e privandola dei poteri, in modo che non potesse più fare ritorno, ma non sapevano che fosse incinta. Quando lo scoprirono le diedero la caccia. Lei però era astuta, si nascose tra gli umani e diede al mondo un figlio. Una creatura metà Demone e metà Angelo. Un ibrido. Un abominio. Provarono a cercarla in molti ma nessuno seppe più niente di lei o del figlio che aveva generato,» Jaxon prese una pausa, poi guardò Amelya dritta in volto, «fino ad ora.»
Amelya scosse la testa. «So dove vuoi arrivare, ma ti stai sbagliando. Sono umana, non ho nessun potere. I miei genitori erano umani. Non so perché il tuo incantesimo per cancellare la memoria non ha funzionato, ma non sono quello che stai cercando» disse la ragazza con convinzione, «ma soprattutto, non sono il tuo abominio» corresse infine, mettendo enfasi sulla parola che lui aveva usato e che in un certo senso l'aveva ferita nel profondo.
Jaxon distolse lo sguardo. «Mi dispiace,» mormorò, «non era mia intenzione offenderti.»
Tornò a guardarla e questa volta le si avvicinò leggermente.
«Ma devi capire una cosa: dalla nascita della Referet hanno iniziato a circolare molte voci. Una creatura del genere non era mai esistita. Che fosse per paura o altro, molti Divium raccontavano delle storie, storie non belle» disse, guardando Amelya con sincerità.
«Che tipo storie?» chiese la ragazza.
«Alcuni dicevano che eri un mostro informe poiché il tuo corpo umano non era stato in grado di sintetizzare tutto quel potere. Altri dicevano che da bambina il tuo pianto poteva scatenare tempeste.» Jaxon si fermò, prese un respiro e poi disse: «Forse, io credetti alla cosa più plausibile di tutte.»
«Quale?»
«Che la tua parte demoniaca aveva preso il sopravvento su quella angelica e che eri diventata un mostro senza cuore» rispose Jaxon.
Amelya ingoiò a vuoto. Si morse il labbro.
«Comunque, io non ho nessun potere. Te lo assicuro. Lo saprei se così fosse. Non sono quello che cerchi» insistette.
Jaxon sospirò, poi le si avvicinò ulteriormente e alzò un braccio verso di lei. Istintivamente Amelya si scansò: Jaxon non aveva ancora cercato di farle del male, ma comunque, non si fidava ancora di lui.
«Posso?» chiese il ragazzo, indicando la collana di Amelya.
Lei fece una faccia sorpresa, ma annuì. Cosa aveva a che fare la collana con tutto questo?
Lui le prese delicatamente il ciondolo tra le mani, lo aprì mostrando la foto contenuta all'interno.
«Sono i tuoi genitori?» chiese Jaxon osservando l'immagine. Era così vicino che alla luce del lume Amelya poteva vedere le striature di verde di tonalità diverse che dipingevano i suoi occhi.
«Sì» mormorò.
«Sembrate felici in questa foto» commentò lui.
«Lo eravamo» lo corresse lei, mentre un groppo le si formava in gola.
«Sono morti?» domandò Jaxon guardandola intensamente.
Amelya annuì, non si fidava della sua voce in quel momento.
«Mi dispiace» sussurrò Jaxon e sembrava sincero. «Come si chiamavano?»
«Susan e Harry» mormorò Amelya, mentre un sapore amaro le si formava in bocca al solo pronunciare il nome dei suoi genitori.
Jaxon sostenne il suo sguardo per qualche secondo, non disse nient'altro e tornò a guardare il ciondolo. Con l'unghia del pollice iniziò a sollevare la foto staccandola dalla collana.
Amelya scattò subito, gli afferrò il polso con la mano e lo bloccò.
«Che stai facendo?» domandò allarmata.
Non voleva che gli rovinasse la collana, era uno dei pochi bei ricordi che le erano rimasti.
«Ti prego, fidati di me» mormorò Jaxon, lo sguardo supplichevole.
Amelya sembrò valutare la cosa qualche secondo, poi lentamente, lo lasciò andare e abbassò la mano.
Jaxon infilò l'unghia sotto la foto e la staccò.
Amelya sgranò gli occhi.
«Cos'è?» domandò nel panico, mentre gli occhi azzurri divennero grandi e vitrei.
Sotto la foto, inciso nell'argento della collana, c'era un simbolo. Sembrava una H, ma i lati si incurvavano tondeggianti e si univano ad altri piccoli simboli tutti intorno.
«Praesidio Latet» disse Jaxon, forse parlando con sé stesso più che con Amelya. «Lo sapevo.»
«Jaxon, cos'è?» chiese nuovamente Amelya.
Lui alzò lo sguardo su di lei. «È una runa. Un incantesimo di protezione. Sopprime i tuoi poteri e fa in modo che tu non possa essere percepita da nessun Divium nascondendo la tua scia.»
Amelya scosse la testa, incredula. Abbassò lo sguardo e fissò la runa incisa come fuoco in quel ciondolo che portava fin da quando aveva memoria. Quel simbolo, poteva voler dire solo una cosa: Jaxon aveva ragione. Lei era la Referet.
Quella verità le piombò addosso come un macigno sul petto. I suoi genitori le avevano mentito. Esseri celestiali e demoniaci, incantesimi, rune, spade lucenti e quant'altro. Avevano mentito su tutto. Le avevano nascosto chi era veramente, le avevano nascosto chi erano loro davvero. E adesso, lei non avrebbe mai potuto chiedergli il perché delle loro menzogne.
Non si accorse nemmeno che una lacrima le era scesa sul viso finché Jaxon non la catturò con il pollice. Alzò lo sguardo su di lui e non appena lo fece, l'intensità dei suoi occhi verdi che sembravano in grado di poterle leggere l'anima, la fece scoppiare in lacrime.
Tutte le sue emozioni le esplosero nel petto come un uragano. Lo shock della scoperta si fondeva insieme alla rabbia e al dolore come un cocktail infernale e tossico. Avrebbe voluto urlare e piangere nello stesso momento. Avrebbe preferito non averlo mai scoperto e al tempo stesso, ne voleva sapere sempre di più.
L'idea che i suoi genitori facessero parte di questo mondo magico e avessero deciso di nasconderglielo le spezzava il cuore. Voleva essere arrabbiata con loro, ma in cuor suo, sapeva di non riuscirci.
Come si poteva essere arrabbiati con i morti?
Improvvisamente, Jaxon le avvolse le braccia intorno e la trascinò sul suo petto.
Amelya non oppose resistenza, non ne aveva le forze. Si lasciò cullare mentre questo Angelo che aveva appena conosciuto la stringeva a sé e le accarezzava i capelli dolcemente.
Pianse tutte le lacrime che aveva, singhiozzando senza ritegno nell'incavo del suo collo, bagnandogli la maglietta bianca. A lui non sembrò importare. Rimase lì, continuando ad accarezzarla, finché le lacrime non cessarono e i singhiozzi non divennero leggeri spasmi.
«Sai,» iniziò Jaxon dopo un po', «in tutto questo, non ti ho ancora chiesto come ti chiami.»
Amelya scoppiò a ridere, la guancia ancora poggiata sul suo petto. Si staccò da lui sciogliendo l'abbraccio, solo per poterlo guardare in volto.
«Mi chiamo Amelya» rispose, mentre un sorriso le si formava sul viso arrossato dal pianto.
«Piacere di conoscerti...» mormorò lui guardandola negli occhi, «Amelya.»
E il nome di lei sulle sue labbra fu dolce come il miele e delicato come i primi raggi di sole dopo una tempesta.
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