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Il week-end arrivò in fretta, la festa di Halloween avrebbe avuto luogo quella stessa sera, ma Monique non aveva ancora preso una decisione. Amelya però era stata molto chiara: non ci sarebbe andata senza di lei. Così nel pomeriggio Monique le inviò un messaggio:
"Va bene, ci sarò" recitava.
"Questa è la mia ragazza!" le rispose Amelya.
In tutta onestà, non aveva molta voglia di andare alla festa nemmeno lei, ma se ci fosse stata una possibilità che Monique potesse riallacciare i rapporti con Cassie e Matt, Amelya non avrebbe voluto negargliela. Era questo che facevano le amiche in fin dei conti, no?
Quasi si pentì della sua decisione quando alle otto di sera l'amica si presentò a casa sua con due costumi per Halloween.
«Quelli cosa sono?» domandò accigliata Amelya, mentre le apriva la porta.
«I nostri costumi» rispose Monique con nonchalance, ma quando vide l'espressione dell'amica dovette aggiungere: «È una festa in maschera Amelya, tutti avranno dei costumi. Vuoi essere l'unica in jeans e maglietta?»
«Va bene» borbottò l'altra, arricciando un labbro.
Un grido eccitato, e l'amica le afferrò la mano trascinandola su per le scale verso la sua cameretta.
«Sai, non ti facevo una a cui piacciono così tanto le feste» commentò Amelya, mentre guardava Monique stendere i due costumi sul letto.
Lei fece spallucce. «Mi sono sempre piaciute, è che di solito nessuno mi invitava.»
Amelya si morse un labbro, avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non era mai stata brava con le parole, così le si avvicinò, le avvolse un braccio intorno alle spalle e con uno dei pochi sorrisi sinceri che era riuscita a evocare disse: «Coraggio, prepariamoci. Fammi vedere che hai portato.»
Monique ricambiò il suo sorriso con uno ancora più smagliante, poi afferrò gli abiti e li tolse dall'involucro.
Sul letto giaceva un costume tutto bianco da angioletto, degli shorts e un top con le spalline dove sul retro erano collegate delle folte ali bianche. Accanto, invece, vi era un costume da demone nero come la notte. Una gonna in pelle a metà coscia e un corsetto rigido collegato anch'esso a delle folte ali nere. Per finire, due cerchietti da mettere in testa, un'aureola e un paio di corna.
«Originale» commentò Amelya sarcastica.
«Senti, è l'unica cosa che sono riuscita a trovare!» sbuffò Monique, incrociando le braccia al petto.
Amelya sorrise. «Va bene, va bene!»
«Allora, quale scegli?» domandò Monique.
La ragazza fissò entrambi i costumi. «Beh, io ho quasi strangolato un tizio qualche settimana fa, direi che tra le due l'angioletto sei decisamente tu.»
Monique fece roteare gli occhi. «Ma smettila! Sei l'unica in tutta la città ad avermi accettato. Sei letteralmente la persona più buona che io conosca.»
«Vedi? Chi direbbe cose smielate come questa se non un angioletto?» ribatté Amelya, tirando giocosamente una gomitata all'amica.
Monique si mise a ridere scuotendo la testa. «Va bene dai, muoviamoci!»
Le due ragazze si vestirono e prepararono e mezz'ora dopo erano già in macchina.
«Hai idea di dove sia la residenza degli Harvel?» domandò Amelya.
«Harvel hai detto?» chiese Monique, strabuzzando gli occhi.
«Sì, perché?»
«Pazzi! Non cambieranno mai» borbottò tra sa sé e sé.
«Hai intenzione di rendere partecipe anche me dei tuoi ragionamenti?» chiese Amelya.
«La residenza degli Harvel è una casa abbandonata. Da anni, ormai. Ci fu una tragedia tanto tempo fa e da allora non è stata più abitata» spiegò Monique, mordendosi un labbro.
«Quale tragedia?»
«Circa cento anni fa gli Harvel erano una delle famiglie più ricche della città. Il padre era il sindaco di Havre. Un giorno il loro figlio diciottenne impazzì e uccise il padre. Poco dopo si mise alla guida, completamente ubriaco, perse il controllo della macchina e si schiantò contro un albero, morì sul colpo. L'unica superstite della famiglia fu la madre. Povera donna,» Monique fece un sospiro, «non si risposò mai, visse in quella casa fino alla sua morte, completamente sola.»
Quella storia colpì Amelya in un modo inaspettato. Si immaginò nelle vesti del ragazzo, dell'assassino. Come poteva qualcuno uccidere il proprio padre? Lei il suo lo aveva perso per sempre ed era semplicemente inammissibile che qualcuno potesse fare una cosa del genere, sotto il suo punto di vista.
«Stai bene?» chiese Monique a una certa, notando l'espressione pensierosa di Amelya.
Lei annuì. «Sì, mi sembra solo assurdo che qualcuno possa fare questo al proprio padre.»
«Sono d'accordo con te» asserì l'amica.
Amelya scosse la testa come per cacciare via quei pensieri, poi avviò il motore e sotto la guida di Monique che le faceva da navigatore le due si ritrovarono poco dopo a percorrere una strada sterrata in mezzo ai boschi. Il buio della sera aveva avvolto gli alberi intorno a loro. L'unica cosa che illuminava il loro percorso era il bagliore della luna piena che vegliava nella notte.
«Sicura sia la strada giusta?» chiese Amelya a una certa, mentre il sentiero tortuoso metteva a dura prova le sospensioni della sua vettura.
«Sì, sono sicura» rispose Monique, «siamo quasi arrivate.»
Pochi minuti dopo la foresta si aprì in una radura, dove al centro maestosa si ergeva una villa monumentale. Era bellissima tanto quanto tetra. Davanti alla dimora c'erano numerosi falò accesi circondati da ragazzi e ragazze, casse di birra e cibo erano gettate qua e là insieme a una quantità di alcool improponibile. Amelya poté quasi dire con certezza che tutta la sua scuola era lì quella sera. Alcuni chiacchieravano, altri arrostivano marshmallow sui fuochi, altri ancora cantavano a squarciagola le canzoni che provenivano da una grande cassa nera al centro.
Amelya vide Cassie avvicinarsi e si fermò.
«Ciao!» salutò la ragazza con un sorriso, «puoi parcheggiare la macchina lì in fondo!» disse e puntò il dito verso un angolo dall'altra parte della radura, distante dalla festa, adibito a parcheggio provvisorio.
Amelya la ringraziò, poi ripartì per parcheggiare l'auto dove Cassie le aveva indicato.
Quando entrambe le ragazze furono scese dalla macchina Amelya vide Monique giocherellare nervosa con il lembo del suo top.
«Non preoccuparti» le mormorò.
«Cosa?» domandò Monique, gli occhi marroni come il cioccolato che la fissavano spiritati come quelli di un furetto spaventato.
«Se qualcuno di questi mentecatti prova a dirti mezza parola lo incenerisco col mio sguardo laser!» scherzò Amelya, facendole un occhiolino vistoso.
Monique sorrise. «Ci conto.»
Le due si incamminarono raggiungendo il resto dei compagni di classe. Mentre si facevano spazio tra la folla in festa, Amelya notò che alcuni di loro lanciavano delle occhiatacce a entrambe. Cercò di ignorare la cosa e provò a distrarre l'amica chiacchierando sui costumi di Halloween indossati dagli studenti che incontravano lungo il percorso, dando un voto dal più imbarazzante al più carino.
«Ciao ragazze» qualcuno le chiamò, si voltarono entrambe per trovare Cassie e qualche passo dietro di lei, suo fratello Matt.
«Ciao Cassie, Matt» salutò Amelya. Tutte e tre notarono che Monique invece non rispose affatto. Si limitò a fare un sorriso storto che sembrava più una smorfia.
«Sono contenta che siate venute entrambe» affermò la bionda.
Amelya notò che Matt non aveva proferito parola. Se ne stava dietro Cassie, con le braccia incrociate. Ogni tanto i suoi occhi celesti si posavano su Monique per poi mordersi il labbro e distogliere lo sguardo subito dopo. Non riusciva a capire se fosse troppo timido per dire qualcosa, oppure se non condivideva l'idea della sorella di invitare Monique e provare a riallacciare i rapporti.
«Grazie per averci invitato» rispose Monique, in un tono fin troppo formale.
Scese un silenzio imbarazzante in cui sia Cassie che Monique lanciavano a turno occhiate ad Amelya come per chiederle aiuto, ma da brava amica lei fece l'unica cosa che avrebbe avuto senso in quel momento: si levò di torno.
«Vado a prendere da bere!» annunciò e senza attendere una risposta si voltò per andarsene. Prima di farlo, scorse l'occhiataccia di puro tradimento che Monique le riservò.
Certe cose, pensò Amelya, era meglio che imparassero a risolverle da sole. Quei tre, avevano bisogno di parlare. Lei sarebbe stata solo d'intralcio.
Approfittò quindi della scusa che si era inventata e iniziò a gironzolare tra i suoi compagni intenti a divertirsi. Dopo qualche minuto, si fermò a fissare la maestosa villa che gettava la sua ombra imponente sulla radura sotto di lei. C'era un viavai di ragazzi e ragazze che entravano e uscivano dalla casa. Spinta dalla curiosità vi si avvicinò, salì le scale scricchiolanti del porticato e una volta dentro si ritrovò in un immenso soggiorno. Due enormi scale lo affiancavano come a voler cullare la stanza, conducendo al piano superiore. L'interno della villa era ancora più tetro dell'esterno. Tutto era stato lasciato alle intemperie. La polvere copriva ogni superficie, le ragnatele pendevano dai lampadari sopra di lei, il parquet del pavimento era diventato marcio e gemeva a ogni passo. Eppure, pensò Amelya, un tempo doveva essere stata una casa spettacolare. Si avvicinò al camino posto al centro del soggiorno e prese tra le mani un polveroso portafoto. Ci passò su la mano in modo da poterla osservare meglio. La fotografia ritraeva la famiglia Harvel. Il padre dava l'impressione di essere un uomo forte e autoritario, aveva la schiena dritta ed era vestito in modo classico, in abiti tipici dell'epoca. La madre, invece, aveva una postura più naturale, era una bella donna, aveva uno chignon a legarle i capelli e portava una collana di perle che le adornava il collo. Una mano di entrambi i genitori era appoggiata sulle spalle del figlioletto al centro, che al tempo della foto non avrà avuto più di otto o nove anni. Capelli neri e spettinati, un sorriso timido e impacciato.
Amelya strinse gli occhi.
Ebbe subito la sensazione di conoscere quel bambino, di averlo già visto da qualche parte. Non riuscì ad avere il tempo di pensarci che una sensazione di pericolo invadente e caotica le inondò il petto.
Un brivido le percorse la schiena mentre i peli sulla nuca le si rizzavano. Strinse il portafoto tra le mani, mentre il cuore iniziò la sua personale maratona nel petto della ragazza. Poteva sentire in modo palpabile e sicuro che qualcuno dietro di lei la stava guardando, e non con buone intenzioni. Iniziò a respirare affannosamente, le punta delle dita le diventarono fredde come ghiaccio. Era lui? L'assassino dei suoi genitori l'aveva trovata? Provò a regolarizzare il suo respiro, in un modo o nell'altro avrebbe dovuto provare a uscire di lì. Inoltre, erano a una festa, era pieno di gente intorno a lei, non avrebbe mai potuto farle del male in mezzo a così tante persone, vero?
Poggiò l'autoritratto delicatamente sul camino e prendendo un profondo respiro si voltò.
Nulla, non c'era nessun inquietante soggetto a fissarla. Gli unici all'interno della casa erano un gruppo di tre ragazzi che parlavano tra di loro all'angolo del soggiorno mentre sorseggiavano quella che doveva essere della birra.
Amelya sospirò. Non sarebbe rimasta per appurare se qualcuno la stesse davvero osservando oppure era semplicemente impazzita. Si fiondò fuori dalla casa con passo svelto, strisciò tra la folla e aguzzò lo sguardo per cercare Monique. Quando la vide la puntò come un falco. Stava parlando ancora con Cassie e Matt, ma la situazione sembrava migliorata, i tre si sorridevano a vicenda.
«Monie,» la chiamò avvicinandosi, «io devo andare a casa, mia nonna ha bisogno di me,» disse frettolosamente, «ma tu resta qui» aggiunse subito dopo, quando vide Monique assumere un'espressione preoccupata.
Se veramente l'assassino l'aveva trovata e la stava seguendo, Amelya non aveva nessuna intenzione di trascinare Monique con lei.
«Va tutto bene?» chiese quella, scrutando l'amica con sospetto.
«Sì, non preoccuparti» rispose Amelya facendole un sorriso, sperando di riuscire a convincerla. «Puoi accompagnare tu Monie a casa?» domandò poi, rivolgendosi a Cassie.
La bionda annuì. «Sì, certo.»
Amelya si voltò frettolosamente e si allontanò. Sentì Monique urlare: «Amelya, aspetta!» ma fece finta di non sentirla. Quella era la sua battaglia, di nessun altro.
Si diresse verso la macchina parcheggiata dall'altro lato della radura, lontano dalla festa. Quando la musica si attutì e le voci dei suoi coetanei scomparvero, la sensazione di essere osservata le ripiombò nel petto. Aumentò il passo. Doveva arrivare alla sua macchina il più in fretta possibile.
D'un tratto sentì un ramoscello scricchiolare dietro di lei. Realizzò che non ce l'avrebbe fatta: doveva nascondersi. Iniziò a correre a perdifiato verso la foresta, il buio della notte rendeva impossibile vedere dove stava mettendo i piedi, ma non c'era possibilità che andasse più lentamente se voleva sopravvivere. Dopo qualche minuto, si nascose dietro un grosso albero. Il buio della notte avrebbe reso impossibile che qualcuno riuscisse a trovarla lì, si convinse. Amelya decise che avrebbe aspettato finché non sarebbe stata sicura che nessuno la stesse effettivamente seguendo, e solo allora sarebbe tornata alla macchina. Mentre correva, Amelya non aveva sentito nessun rumore alle sue spalle. Nessun suono di passi che colpivano il terreno, nessun ansimare, come se chiunque la stesse pedinando avesse poi deciso di non rincorrerla affatto. Possibile che si fosse immaginata tutto?
Strinse i pugni e cercò di stabilizzare il respiro. La sensazione di pericolo non era scomparsa, ma anche aguzzando l'udito, non sentiva nessun rumore intorno a lei. Tutto taceva. Dopo alcuni interminabili minuti, si sentì leggermente più al sicuro. Forse se n'era andato?
Prese un grosso respirò e si voltò uscendo dal suo nascondiglio solo per scontrarsi contro qualcuno. Allarmata balzò indietro, allontanandosi. Quando alzò lo sguardo lo shock le si dipinse sul viso. Sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta. Davanti a lei c'era il suo compagno di classe, quello dai capelli neri e i tatuaggi di cui ignorava il nome, che aveva beccato a fissarla in modo inquietante qualche volta.
«Tu?» mormorò dalla sorpresa. Non poteva essere lui l'assassino, non è vero?
Lui la fissò, con quegli occhi stranamente bianchi e profondi, i capelli scuri spettinati da un leggero venticello. Un sorriso si dipinse sul suo viso perfetto. Avrebbe potuto tranquillamente interpretare una divinità greca.
«Chi ti ha mandata?» domandò lui, il tono vellutato e calmo.
Amelya ebbe la sensazione che la sua voce avrebbe potuto soggiogarla e attirarla a sé con facilità, quasi come il canto di una sirena. Lei ci si sarebbe tuffata senza remore, sorridente e beata cadendo nel suo insidioso tranello. Nonostante questo sarebbe stata una morte dolce, come un'ape che affoga nel miele.
Sbatté le palpebre qualche volta, come per riprendersi dal suo sogno ad occhi aperti.
«Cosa?» chiese.
«Non ho tempo per questo» mormorò lui tra sé e sé.
Amelya non ebbe il tempo materiale per comprendere a cosa si riferiva che si ritrovò la sua mano al collo. Lui la sollevò da terra con una forza inaudita e la spinse contro la corteccia dell'albero.
«Te lo chiederò per l'ultima volta, chi ti ha mandata?» domandò, il tono minaccioso aveva fatto sparire tutto il suo fascino in un battito di ciglia.
Amelya mugugnò, la presa intorno al suo collo era stretta, troppo. Si aggrappò con tutti le sue forze al braccio di lui, cercando di liberarsi, ma ogni sforzo sembrava inutile. Il cuore le scalpitava in gola e poteva sentirlo pulsare e premere contro il suo palmo. La sensazione viscerale che il suo assalitore avrebbe potuto spezzarle il collo con facilità, se solo l'avesse voluto.
«N...on capi...sco» balbettò senza fiato.
Lui in tutta risposta, strinse solamente la presa.
Il panico l'avvolse: è così che sarebbe morta? In una foresta in mezzo al nulla? Avrebbero mai trovato il suo cadavere? Pensò a sua nonna: l'avrebbe lasciata sola, se la sarebbe cavata? Poi però, ricordò i suoi genitori. Quanto le mancavano. Se davvero esisteva un aldilà, avrebbe potuto finalmente riconciliarsi con loro. Le lacrime iniziarono a inondarle gli occhi e scesero copiose sulle sue guance fino a bagnare la mano di lui avvinghiata attorno al suo collo.
Tra gli occhi velati, Amelya vide l'espressione del suo assalitore corrucciarsi. Fissò le sue lacrime, non con pietà come ci si aspetterebbe, ma con interesse. Inclinò il viso scolpito nel marmo, studiandola. La presa della sua mano parve affievolirsi leggermente. Il tempo di realizzarlo che qualcosa si scagliò con una velocità inumana addosso al suo assalitore. La presa sul suo collo scomparve e lei cadde a terra con un tonfo. Si afferrò la carne dolente con la mano mentre l'ossigeno le tornava bruciante nei polmoni. Tossì vistosamente cercando di riprendere fiato.
Alzò lo sguardo e vide che chi l'aveva salvata era un ragazzo. Non lo aveva mai visto prima, ma si perse a osservare i suoi lineamenti. Aveva i capelli d'un biondo cenere che adornavano riccioluti un viso angelico, una mascella squadrata e il fisico incredibilmente possente e scolpito.
Lì, con la postura rigida davanti al suo peccaminosamente bello assalitore, sembrava uno scontro tra Dei.
«Tu,» iniziò il moro mentre si trovava ancora sul terreno, «questo non ti riguarda, vattene» affermò mentre si rialzava.
«Hai violato la legge e lo sai. Sono qui per farla rispettare» rispose il ragazzo biondo, il tono autoritario.
«Lei?» domandò l'altro alzando un sopracciglio e indicando Amelya, «non ho violato nessuna legge. Lei non è umana» corresse, continuando a fissare il rivale con un espressione deformata dall'odio.
Quello si voltò a guardare Amelya e inclinò la testa incuriosito, mentre un luccichio pericoloso nacque nei suoi occhi. Le si avvicinò con passo lento ma deciso.
«Alzati» le ordinò e non sembrava qualcuno a cui potersi opporre.
Amelya si alzò titubante reggendosi all'albero dietro di lei. Lui continuò ad avvicinarsi finché non fu decisamente troppo vicino. Il respiro della ragazza si fece pesante, mentre osservava il giovane davanti a lei scrutarla intensamente con i suoi profondi occhi verdi, i riccioli biondo scuro che gli cadevano disordinati sulla fronte. Poi, fece qualcosa che sembrò assurda e inquietante allo stesso modo: la annusò.
Quando si allontanò, Amelya vide il luccichio nei suoi occhi spegnersi, come se avesse improvvisamente perso tutto l'interesse nei suoi confronti.
«A me sembra molto umana» commentò, allontanandosi frettolosamente da lei per tornare davanti al moro.
Quello sospirò. «Voi siete tutti uguali» sputò disgustato tra i denti, guardandolo minacciosamente.
L'istante successivo accadde una cosa che ad Amelya sembrò pura pazzia. Nella mano destra del ragazzo biondo, lentamente, avvolta da un fumo bianco apparve una spada, luminosa e brillante come il sole di mezzogiorno.
«Ma che cazzo...» borbottò tra sé, gli occhi sgranati.
Pochi secondi dopo, la stessa cosa accadde al moro: avvolti da un denso fumo nero, due lunghi pugnali si materializzarono nelle sue mani.
«Ultime parole, Logan?» domandò il biondo, sollevando la spada e puntandola verso quello di cui ora Amelya finalmente conosceva il nome.
«Parla per te, Jaxon» rispose il moro.
In un battito di ciglia erano uno sull'altro. Furono talmente veloci che ad Amelya parvero essere spariti e riapparsi in punti diversi. Jaxon aveva lanciato un fendente con la sua spada luminosa che Logan aveva prontamente bloccato con i suoi pugnali incrociandoli. Il suono dello schioccare delle lame aveva riempito la foresta buia. Logan spinse i suoi pugnali per allontanare Jaxon da lui, poi si gettò di lato e in un attimo era dietro al ragazzo biondo con le lame affilate alzate. Amelya pensò che sarebbe finita lì: avrebbe assistito a un omicidio davanti ai suoi occhi, invece, Jaxon si abbassò schivando i fendenti pronti a ucciderlo dietro la sua schiena e caricò Logan, colpendolo allo stomaco con l'elsa della spada. L'impatto scaraventò il ragazzo contro un albero, e Amelya giurò che l'intero tronco tremò come un ramoscello d'ulivo.
Logan si rialzò velocemente, come se non avesse appena ricevuto un colpo che avrebbe probabilmente ucciso una persona qualsiasi, poi alzando i pugnali, disse: «Ti stai sbagliando, stupido che non sei altro!» sbottò, mentre Jaxon camminava pericolosamente verso di lui, la spada che brillava nella sua mano. «Quella ragazzina ha provato a uccidere un suo compagno di classe qualche settimana fa, tentando di soffocarlo, i suoi occhi erano neri!»
Questo fece fermare Jaxon sui suoi passi.
Voltò la testa verso Amelya. «Dice il vero?» le chiese.
Amelya sbatté le palpebre. Faceva fatica a capire cosa stesse succedendo. Era un sogno? Questo sicuramente sarebbe stato molto originale come sogno in confronto a ciò a cui era abituata.
«Io...» mormorò, mentre i suoi occhi saettavano da un ragazzo e l'altro.
«Allora, ragazzina?» domandò nuovamente Jaxon spazientito. «Hai davvero cercato di soffocare qualcuno?»
«Non è andata esattamente così,» borbottò Amelya, la paura che le annodava le viscere. Sapeva di trovarsi davvero in una brutta situazione. Giudicando da quanto erano veloci quei due, scappare non le sarebbe servito a niente, ma aveva la sensazione che dire la cosa sbagliata l'avrebbe con tutte le probabilità condannata a morte. «Cioè, sì, ma...» balbettò, reggendosi all'albero dietro di lei quando vide Jaxon lanciarle un'occhiataccia che avrebbe potuto pietrificare il mare.
Quella distrazione fu tutto ciò che servì a Logan. Rise e nel tempo di un respiro, scomparve senza lasciare traccia.
Amelya sgranò gli occhi. «È appena sparito nel nulla?» domandò, fissando l'albero a pochi metri da lei, dove prima era appoggiato Logan.
Jaxon chiuse gli occhi e sospirò. Quando li riaprì, si incamminò lentamente verso Amelya.
Lei si appiattì al tronco dietro la sua schiena, i pugni stretti. Vedendo la sua reazione, Jaxon si fermò, abbassò lo sguardo a osservare la spada nella sua mano, poi come se fosse la cosa più naturale al mondo, con un gesto appena percettibile del polso, la lama sparì.
«Non aver paura, non voglio farti del male» precisò continuando ad avvicinarsi.
Amelya non sapeva se credergli, ma comunque, pensò, non aveva nessun'altra alternativa.
Lui le arrivò a pochi centimetri di distanza e alzò un braccio, Amelya strinse gli occhi, come se si aspettasse di essere colpita o, nuovamente, soffocata, invece sentì la sua mano calda poggiarsi sul suo viso. Aprì gli occhi e si ritrovò Jaxon a pochi centimetri da lei. Si perse nei suoi occhi, mentre lui le accarezzava dolcemente la guancia, delineando col pollice il suo zigomo. Passò qualche secondo, poi un'espressione confusa si dipinse sul volto perfetto del ragazzo.
«Non riesco a cancellarti la memoria» mormorò, mentre il suo respiro caldo le finiva sul viso.
«Cosa? Cancellarmi la memoria?» chiese Amelya.
Lui inclinò la testa e la osservò allo stesso modo in cui l'aveva guardata Logan, con interesse, come se fosse una nuova specie appena scoperta.
«Hai l'odore di un'umana, ma non lo sei» palesò, ignorando la domanda di Amelya, poi la sua mano scivolò dalla guancia della giovane fino al suo mento afferrandolo. «Che cosa sei, ragazzina?»
«Io non so di cosa stai parlando» ribatté Amelya, «non ho nemmeno idea di che cosa siate voi due» aggiunse infine, la voce tremante. In che situazione assurda era finita?
Lo sguardo di Jaxon le accarezzò la pelle del viso e poi scese più giù, scrutando il suo collo per poi fermarsi sul suo décolleté stretto intorno al corsetto nero del suo costume. Amelya si sentì avvampare le guance. Il cuore le divorava i battiti affamato. Non sapeva se la causa fosse l'agitazione di quel momento oppure qualcos'altro. Lui spostò la mano suo mento e con un dito tracciò la linea del suo collo, scese lentamente giù fino alla sua scollatura e afferrò tra le mani la sua collana.
Amelya respirò pesantemente.
«Dove l'hai presa questa?» chiese, indicando il ciondolo a forma di cuore.
«È un regalo...» rispose, «me l'hanno regalata i miei genitori» aggiunse infine.
Jaxon sembrò stranamente incuriosito dal ciondolo, poi d'un tratto, girò la testa di lato, come se qualcuno lo avesse chiamato. Tornò a guardare Amelya negli occhi e riappoggiò delicatamente la collana sulla sua scollatura. Un brivido le percorse la schiena e le si formò la pelle d'oca dove lui l'aveva sfiorata.
«Devo andare» annunciò Jaxon allontanandosi da lei. «Va' a casa.»
Amelya ebbe la sensazione che si fosse portato via il calore con sé. La notte tornò a pungerle il viso accaldato.
«Ci rivedremo» aggiunse, guardando Amelya negli occhi un'ultima volta.
«Aspetta! Ho delle domande!» urlò la ragazza, ma non ebbe il tempo di finire la frase che lui era già svanito.
Lei rimase lì a fissare il punto in cui Jaxon era scomparso. Si guardò intorno spaesata, come se gli alberi che la circondavano potessero darle in qualche modo delle risposte a quello di cui erano appena stati testimoni. Ora aveva più domande nella sua testa di quante ne sarebbe mai riuscita a sopportare. Ebbe la sensazione viscerale che qualcosa di nuovo e spaventoso la stava aspettando dietro l'angolo.
Amelya si domandò se fosse abbastanza pronta per affrontare quello che l'attendeva.
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