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«Amelya! Mi stai ascoltando?»

Monique era sul sedile del passeggero. Aveva passato l'intero tragitto in macchina a fare domande ad Amelya su Catherine, Logan e l'Underground. La risposta della ragazza era sempre la medesima: non ne sapeva niente.

Per quanto odiasse mentire, mettere al corrente Monique di questo nuovo e pericoloso mondo intorno a loro, l'avrebbe resa un bersaglio, più di quanto già non lo fosse, considerando che avevano appena avuto entrambe un incontro molto ravvicinato con un Demone.

Amelya provava a convincersi di star facendo la cosa giusta, di mentire per una giusta causa, ma comunque, ogni volta che una nuova bugia prendeva forma nella sua bocca, le si contorceva lo stomaco dai sensi di colpa.

Si convinse che un giorno le avrebbe raccontato tutto. Le avrebbe detto ogni cosa.

Prima però, doveva imparare a difendere sé stessa e chi le stava intorno. Da quando aveva scoperto di essere la Referet, era stata così tante volte in situazioni di pericolo estremo, con la sua vita appesa a un filo, che aveva iniziato a sembrare quasi normale. Ma non lo era affatto. Così come non era normale la sensazione di impotenza e terrore che le attanagliava le viscere in quei momenti. Si sentiva debole, affranta e consapevole che in quelle situazioni, qualsiasi cosa avesse deciso di fare, avrebbe perso.

Non aveva mai provato quel genere di emozioni prima e non voleva che diventasse un'abitudine provarle.

Così, quel pomeriggio prese una decisione che sapeva l'avrebbe cambiata per sempre.

Dopo aver accompagnato Monique a casa, tornò alla dimora nel bosco, sfilò dai jeans il Sonaglio e non perse tempo a pronunciare le paroline magiche che avrebbero condotto l'Angelo da lei.

«Amelya» la salutò Jaxon con un sorriso, ma non appena vide l'espressione torva della ragazza, si fece improvvisamente più serio. «Che succede?»

Amelya gli raccontò del suo recente incontro col Demone Catherine nel parcheggio della scuola.

«Dannazione!» imprecò Jaxon, portandosi una mano a sfregare la pelle del viso. «Come ha fatto a trovarti?»

«Mi ha vista all'Underground, era lì insieme a Logan» rispose Amelya, incrociando le braccia al petto.

«Va bene, non preoccuparti. Troveremo una soluzione anche per questo» disse subito dopo, ma non sembrava affatto convincente.

«Come fai a dirlo? Guarda in che situazione siamo!» scattò Amelya, mentre l'ansia e la paura iniziavano ad impossessarsi di lei. «Abbiamo ancora il problema delle voci a scuola sulla scomparsa di Logan. La polizia sta per aprire un fascicolo su di lui!» sbottò impanzietita.

«Ho già pensato a come risolvere questo. Domani modificherò la memoria del Preside Richards e gli farò rilasciare un comunicato dove spiega che Logan ha volontariamente lasciato la scuola. La polizia di Havre non sarà più un problema» spiegò Jaxon in tono pacato, poi fece un passo verso la ragazza dinanzi a lui. «Amelya, possiamo risolvere questi problemi un po' per volta e solo se non ci facciamo prendere dal panico.»

«Come fai a essere così tranquillo?» farfugliò lei, incredula che riuscisse a restare così calmo.

Lui non rispose, limitandosi a sorridere dolcemente.

Amelya sospirò frustrata. Capì in quel momento che rilasciare la sua rabbia su Jaxon non l'avrebbe portata da nessuna parte. L'Angelo stava facendo di tutto per proteggerla e non era nemmeno tenuto a farlo. Era semplicemente ingiusto prendersela con lui.

«Scusami» mormorò Amelya e costrinse gli occhi ad osservare il pavimento. «Non volevo aggredirti. È che...» non riuscì a finire la frase. Le parole le morirono sulla punta della lingua. Cosa poteva dirgli? Che si sentiva impotente? Che si sentiva all'angolo, braccata da tutte le direzioni come un animale selvatico in fuga?

«Ehy» Jaxon le poggiò cautamente una mano sulla guancia e la costrinse a incontrare i suoi occhi. «Lo so come ti senti. Non posso dirti che la situazione migliorerà, perché ho paura che non sarà così» mormorò, mentre col pollice della mano destra le delineava delicatamente lo zigomo, «ma ti prometto che non sarai mai più sola ad affrontarlo.»

Era così vicino, che Amelya poté ammirare come le sue ciglia sporadicamente si incontravano, chiudendosi gelose su quelle due gemme preziose che aveva al posto degli occhi.

Mai più sola.

Si domandò se poteva davvero concedersi il lusso di crederci.

«Grazie» gli mormorò lei, mentre il caldo palmo del ragazzo le cullava ancora il viso.

Jaxon le sorrise e per una frazione di secondo, i suoi smeraldi caddero sulle labbra della ragazza. Amelya lo vide deglutire, ma il secondo successivo aveva già tolto la mano interrompendo il contatto.

«Comunque,» iniziò mentre portava la mano alla tasca destra del giubbotto in pelle, «ho trovato qualche informazione su tua nonna» disse e consegnò ad Amelya un foglio ripiegato su sé stesso.

Amelya allungò il braccio e afferrò il foglio tra le dita, poi lo aprì e vi trovò un pezzo di giornale ritagliato.

Una leggera inquietudine si diramò nel suo petto a macchia d'olio. In quel momento, fu grata che Jaxon fosse lì con lei. Qualsiasi cosa quel foglio contenesse, Amelya non voleva restare sola a sostenerlo.

Si schiarì la voce e iniziò a leggere.

«IL DISASTRO DEL 5 MAGGIO 1999.

Questa mattina Chicago si è svegliata sotto una coltre di fumo nero che oscurava il cielo e rendeva difficile persino vedere il sole splendere sopra la città. Il volo Airbus 978 diretto a Santa Monica si è schiantato al suolo poco dopo la sua partenza dall'aeroporto di O'Hare. La nube di fiamme e fumo che avvolgeva il velivolo poteva essere vista persino da Milwaukee. Stando alle prime indagini, il volo 978 avrebbe subito un'avaria dei motori subito dopo il decollo, che avrebbe costretto il primo pilota S.J. Arlon ad un atterraggio di emergenza, ma le condizioni climatiche avverse hanno reso la discesa difficoltosa. L'Airbus 978 si è schiantato poco fuori Freeport. Purtroppo, sembra che dei suoi 374 passeggeri, l'unica sopravvissuta sia una donna tale Elizabeth Heather O'Connell, 45 anni. Elizabeth viaggiava con la famiglia. Nell'incidente perde il marito Josh e i tre figli Luisa 10 anni, Alex 8 anni e Daniel 3 anni. La signora O'Connell è stata portata in elisoccorso all'ospedale Humanitas di Chicago in codice rosso. Sembra che fosse già in coma al suo arrivo. L'intera città di Chicago si stringe a lei con preghiere e fiori lasciati fuori dall'ospedale dove è attualmente ricoverata. Se riuscirà a risvegliarsi dal coma, l'aspetta un percorso difficile senza i suoi cari.»

Poco sotto l'articolo di giornale c'era una foto in bianco e nero di Elizabeth con in braccio un bambino e intorno a lei il resto della sua famiglia.

Gli occhi di Amelya si piantarono sulla donna.

Le si fermò quasi il cuore.

Avrebbe riconosciuto il suo viso ovunque: era sua nonna.

Alzò gli occhi, spiritati e increduli, verso Jaxon davanti a lei. La bocca semi aperta a guardare l'Angelo che la soppesava con uno sguardo mesto. Aveva così tante domande, ma non riusciva a formularne nessuna.

Jaxon sembrò capirla all'istante.

«Il vero nome di tua nonna é Elizabeth Heather O'Connell. Nell'99 ha perso la sua famiglia in un incidente aereo. È rimasta in coma 8 mesi. Quando si è risvegliata, completamente sola, è stata divorata dal dolore più intenso. L'ha colpita una profonda depressione, da dove non si è mai ripresa. Per anni, fu spostata da un ospedale psichiatrico all'altro, dove veniva riempita di psicofarmaci. Sembra che intorno al 2007, Elizabeth abbia provato a togliersi la vita recidendosi le vene dei polsi, ma un'infermiera dell'ospedale la trovò in tempo e le impedì di compiere quel gesto estremo. Credo che quell'infermiera fosse tua madre. Qui le mie informazioni si fermano, ma sono abbastanza sicuro che Susan abbia chiesto a qualcuno di cancellare la memoria di Elizabeth, facendole dimenticare la sua famiglia scomparsa tragicamente, in modo che potesse tornare a vivere e che poi le abbia inserito dei finti ricordi.»

Amelya scosse la testa incredula. Tornò a guardare la foto di giornale che teneva tra le mani. Sua nonna sembrava così felice e serena insieme alla sua famiglia. La più grande dei suoi figli, Luisa, era la sua copia in miniatura: lo stesso naso sottile e gli stessi occhi vispi. Invece i maschietti Alex e Daniel avevano preso tutto dal padre. Josh, suo marito, sembrava un uomo molto dolce, aveva una barba folta che incorniciava un viso tondo e leggermente paffuto.

Quella malinconica foto che teneva stretta tra le mani, le perforò lo stomaco, come una lama affilata e letale.

Sua nonna aveva perso ogni cosa. Prima, aveva perso l'uomo che aveva scelto di amare per il resto dei suoi giorni, lo aveva visto perire al suo fianco. Poi, gli stessi figli che aveva portato nel suo grembo per nove mesi e che aveva poi messo al mondo, le erano stati strappati via nel peggiore dei modi.

Si poteva sopravvivere a un dolore del genere? E vivere dopo, sarebbe stata la stessa cosa?

Come se non bastasse, le erano stati dati dei ricordi fantocci dove Susan era sua figlia, e alla fine, era morta anche lei.

La donna che l'aveva cresciuta, coccolata, amata e protetta per tutti questi lunghi anni, non era davvero sua nonna. Quel che era peggio, era stata costretta da un incantesimo a prendersi cura di lei. Un incantesimo che l'aveva convinta che lei fosse sua nipote, che fosse suo dovere volerle bene.

Amelya si domandava se quel tipo di incantesimo potesse anche falsificare le emozioni. Sua nonna l'amava veramente? Oppure era solo il frutto di qualche arcana magia?

Ma soprattutto, se le fossero stati ridati i ricordi, l'avrebbe ancora amata come aveva fatto fino a quel momento? Oppure avrebbe finito per schifarla, ripudiarla e infine abbandonarla?

Gli occhi azzurri le si riempirono di lacrime. Si portò le mani al viso per cercare di coprirsi dallo sguardo attento di Jaxon, ma non fu abbastanza veloce e le gocce di acqua salata le scesero sulle guance arrossate.

Jaxon le si avvicinò, forse con l'intenzione di abbracciarla, ma lei lo bloccò all'istante.

«No, ti prego fermo» singhiozzò.

Jaxon obbedì, sorpreso dalla reazione della ragazza, ma decise di non insistere.

Amelya era stanca di sentirsi debole e ancor di più le dava fastidio mostrare di esserlo così apertamente davanti a Jaxon. Chiuse gli occhi e fece un lungo respiro. Ricacciò le lacrime indietro e costrinse l'enorme nodo che aveva in gola a scendere giù, nelle profondità della sua anima.

«Grazie per aver trovato delle risposte su mia nonna» farfugliò un po' incerta, «ma sono venuta fin qui per chiederti una cosa.»

Jaxon si fece più attento. Incrociò le braccia al petto e la scrutò con attenzione.

«Da quando mi hai rivelato di essere la Referet, la mia vita è cambiata drasticamente,» iniziò e adesso aveva assunto un tono più deciso. «Ho compreso che ci sono persone che mi stanno dando la caccia e che non si fermeranno davanti a niente e nessuno pur di riuscire a trovarmi e uccidermi,» guardò l'Angelo dritto negli occhi, «anche far del male alle persone a cui tengo.» Amelya prese una pausa, guardò il soggiorno fatiscente intorno a lei di quella dimora dispersa nel bosco che col passare dei giorni era diventata lentamente il loro rifugio. «Oggi ho capito che tu potresti non essere sempre presente per riuscire a salvarmi da tutte queste situazioni.»

«Amelya... » provò a interromperla Jaxon.

«No, fammi finire» lo zittì lei. «Un giorno potrei utilizzare il Sonaglio, e tu potresti essere troppo impegnato per venire da me. Oppure potrei non riuscire ad utilizzarlo affatto!» sbottò, sollevando le braccia al cielo, esasperata. «Quello che intendo dire è che non voglio che la mia vita e quella dei miei cari sia totalmente dipesa da qualcun altro.»

«Che cosa mi stai chiedendo esattamente, Amelya?» domandò lui.

«Mi hai detto che la Referet è una delle creature più potenti mai esistite. Voglio essere quella creatura.» Piantò il proprio sguardo deciso su quello di Jaxon. Non avrebbe accettato un no come risposta.

«Voglio che mi insegni a combattere.» 

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