Frida
«In me vive una donna adulta e virtuosa, la cui morale mi impedisce di fare ragionamenti privi di una logica, e una donna poco più che adolescente, impulsiva, autolesionista, crudele, violenta, selvaggia, cattiva. Ho vissuto una vita intera cercando di addomesticare quest’ultima, per evitare che mi trascinasse nel suo inferno interiore, ma il più delle volte mi ha tirata giù fino a distruggere ogni fibra del mio essere.
Ho gridato senza cercare un reale aiuto perché mi vergognavo a mostrarmi con la sua faccia: quella che odiavo.
Lei era ed è ancor oggi il mio demone peggiore: quello che riesce a sopraffarmi nei momenti in cui avrei più bisogno di ragionare con estrema lucidità, portando il mio animo in un oblio senza fine fatto di grida soffocate e tormenti.
Ma lei non è solo caos -il mio caos- lei è anche fuoco creativo, uragano di emozioni senza filtro, è morte e vita al tempo stesso. È sempre lei che, poco fa, ti ha trascinato alla deriva lasciandoti svuotato, senza pensieri, senza aria nei polmoni: ovvero l’altra me, quella che odio e amo.
Lei ti ha stretto i polsi dietro la schiena e il suo braccio intorno al collo, lasciandoti quasi agonizzante, finché il piacere perverso che tanto bramavi non ha invaso e quasi annientato la tua anima.
Ti ha fatto assaporare il gusto del superare i tuoi umani limiti mischiandolo assieme al sapore metallico del sangue.
Tanfo del sudore prodotto dalla paura di morire e sesso.
Lei ha molta più forza di quella che ci si aspetterebbe da una donna dalla corporatura esile e minuta. D’altra parte la vera forza non risiede nella dotazione muscolo-scheletrica di un essere umano, ma nelle sue capacità psichiche. Guarda come ti ha tenuto in pugno con il suo solo corpo».
Giulio la fissò mentre, avvolta dal lenzuolo grigio perla di seta, attraversava la camera sulla quale sembrava improvvisamente calata una spessa coltre di ghiaccio. La osservava muoversi sinuosa come una dea verso l'enorme parete davanti al letto. Si massaggiò dapprima i polsi, sui quali s’intravedevano già i segni bluastri della corda con la quale erano stati legati assieme, poi passò le dita incerte sulla gola, deglutendo un paio di volte quasi per assicurarsi che tutto funzionasse ancora bene. Allora si mise seduto sul materasso e si accorse che gli aloni di sudore e umori, lasciati dai loro due corpi qualche istante prima, avevano disegnato due sagome umane. Come rapito da quel disegno vi passò sopra il palmo della mano lasciandosi accarezzare dal tessuto setoso e morbido che rivestiva il materasso.
Agata si voltò nuovamente verso di lui: il suo sguardo s’era fatto triste e crucciato.
L’uomo si affrettò a spostare nuovamente la sua attenzione su di lei, come se temesse di ricevere una punizione che poteva benissimo consistere nel perdere per sempre anche quel labile legame che li teneva uniti.
«Ti amo» proferì, incrociando lo sguardo di Agata.
La donna si voltò nuovamente e, tirandosi il lenzuolo sulle spalle, si mise a fissare uno dei quadri di Frida Kahlo che occupavano interamente la parete davanti al letto. Agata restò ferma ad ammirare quella tela dai colori vivaci, profondi, mentre i suoi occhi nocciola si perdevano nei lineamenti marcati del volto di Frida.
«Guardo questo quadro, amico mio, e vedo la me che anela la liberazione definitiva, colei che dovrei essere. Mi vedo come intrappolata in una bara di vetro e mi osservo agonizzare con un certo piglio di sadico piacere: frutto della perversione della lei che mi tiene prigioniera.
Adoro questo autoritratto di Frida Kahlo . Sai come si chiama? Autoritratto con la scimmia. Animale curioso vero? Per questo l’ho voluto nella mia stanza da letto. La maggior parte dei suoi quadri sono autoritratti, lo sapevi? Quando era molto giovane rimase coinvolta in un incidente che ne deturpò il fisico lasciandole gravi menomazioni. Restò allettata per molto tempo, così chiese che le venisse installato uno specchio sul letto per poter dipingere il suo volto, divenuto unica compagnia e unica musa d’ispirazione in quel lungo periodo di convalescenza. Questo le permise di conoscersi meglio e di rendere la pittura la porta per il suo mondo surreale. Quell’incidente mutò, in qualche modo, la sua percezione della realtà. Non descriveva un mondo onirico o fantasioso, ma semplicemente un mondo - il suo mondo- dai profumi e dalle sensazioni profondi e palpabili. Dai suoi quadri emergono sofferenza e rinascita. Ogni simbolo ha il preciso compito di rivelare un messaggio per il mondo e per sé stessa.
Nei suoi ritratti sono palpabili il dolore e il turbamento per gli eventi della vita ma, al tempo stesso, si legge la voglia di rinascere e di combattere per raggiungere i propri obiettivi. Era una donna libera, nonostante il suo corpo, poiché aveva reso libera la sua anima.
Ecco, amico caro, Frida è il mio esempio, la mia speranza. Osservo i suoi quadri e prego Dio di riuscire a venire fuori da questo oblio. Frida ha trovato il giusto equilibrio tra le varie sfumature del suo essere creando una persona fatta di luce e passione. Io, invece, cosa sono? Guardo il mio riflesso nello specchio posto sul mio letto, proprio come fece Frida, e so di non essere affatto quell’immagine ma solo la follia di una sua distorsione».
Improvvisamente, il lenzuolo che l'avvolgeva ricadde ai suoi piedi scivolando come acqua sulla sua pelle liscia.
Quel “sipario” calato, mise in evidenza la linea perfetta del corpo di Agata, ma anche tutte le cicatrici che costellavano la pelle ambrata e la sua anima.
Giulio la osservava come se stesse ammirando un’opera d’arte di straordinaria magnificenza:rapito, sconvolto, innamorato, folle.
Più percorreva con lo sguardo ogni singolo centimetro del corpo di Agata, illuminata appena dal tenue bagliore della striscia di faretti a led - posta sul soffitto per illuminare i quadri esposti sulla parete - più se ne innamorava perdutamente, desiderando di averla con sé per sempre.
«Ti amo» continuava a ripeterle mentre scendeva dal letto per raggiungerla.
Agata avvertì il movimento del suo amante alle sue spalle e si voltò, come a volersi trincerare dietro il proprio corpo frapponendolo tra loro come uno scudo.
«Vedi questi segni, amico mio? Frida ne aveva di peggiori, ma li ha resi disegni meravigliosi come intarsi. Questi segni non andranno via e da essi non nasceranno splendidi fiori, ma solo rovi di spine» disse Agata, mentre spalancando le braccia mostrava il suo splendido corpo deturpato dai segni delle violenze subite.
Giulio restò pietrificato per alcuni istanti. Di Agata conosceva ogni lembo di pelle così come ogni giorno di vita fino a quel momento. Eppure, in quel momento, gli parve di non averla mai conosciuta prima di allora. Ne rimase folgorato al punto che il respiro gli si fermò ancora una volta in gola, proprio come se avesse ancora intorno al collo la morsa del braccio di Agata. L’aveva amata dal primo momento e aveva continuato a farlo nonostante le loro strade si fossero divise da tempo. Se glielo avesse chiesto, si sarebbe gettato finanche da quel sedicesimo piano. Le aveva permesso di dominare anche il proprio corpo, dopo aver posseduto il suo cuore. Ma era arrivata la resa dei conti. La gola bruciava ancora per via della mancanza di ossigeno procuratagli da Agata qualche istante prima, il corpo era smosso da centinaia di spasmi dovuti all'eccitazione ma anche al terrore di perderla per sempre. Eppure niente di tutto ciò che gli aveva appena fatto sopportare quella donna era minimamente paragonabile al dolore che poteva leggere nei suoi occhi: lo stesso che trasmetteva la sua voce quando, dopo l’ennesima violenza subita, trovava consolazione in una telefonata al suo amico d’infanzia, prima di torturarsi da sola, aggiungendo ai lividi procurati da altri le ferite autoinferte.
Giulio allungò una mano per sfiorarle il viso ma lei la schivò prontamente.
«Hai detto di amarmi dopo che ti ho portato a un passo dalla morte, ma come puoi amare chi ha il potere di distruggerti? Non si amano le spine di una rosa, ma il suo profumo e il colore dei suoi petali.
Non puoi amare il caos senza venire irrimediabilmente risucchiato al suo interno. Non ho amore da darti, ma solo un effimero piacere della carne attraverso questo mio corpo martoriato, questo involucro sterile lasciato da lei prima di uccidermi per l’ennesima volta» proferì Agata, stringendosi le braccia intorno al busto.
Odiava sentirsi vulnerabile, esposta, così come odiava quel corpo divenuto la sua “mappa dell’infelicità”. Ogni cicatrice indicava un luogo e uno degli uomini che l’aveva trattata come spazzatura. Non poteva far nascere niente di buono da quell’abominio e nessuno avrebbe mai potuto amare quell’essere tanto disgraziato quale era diventata. La parte di lei più razionale, pacata e meno immonda aveva permesso alla lei frutto dei suoi peggiori incubi, di prendere il sopravvento, creando una donna perversa e capace di provare appagamento nell'infliggere dolore agli altri.
«Chi ti ha detto che non possa amare tutto questo? “L’angoscia e il dolore. Il piacere e la morte non sono altro che un processo per esistere”» proferì Giulio avvicinandosi ancora di più a lei.
Agata lo guardò sconvolta dopo aver udito quelle parole, le stesse recitate dalla sua amata Frida Kahlo.
«In fin dei conti “le cicatrici sono aperture attraverso le quali un essere entra nella solitudine dell’altro”. Conosco ogni tua cicatrice e la sento bruciare sulla mia pelle fin dentro la mia anima, ogni volta che ti vedo. Non avere paura di vivere e non lasciare che la tua mente elabori ulteriori artefici, come un’altra te tanto spregevole e disumana, perché solo tu hai il potere di decidere chi davvero vuoi essere. Potrai distruggermi e ricostruirmi all’infinito, e tutte le volte che mi farai tornare in vita t'insegnerò ad amarmi un po’di più, finché non moriremo entrambi e rinasceremo in un’unica gloriosa forma: quella dell’amore».
Agata distolse lo sguardo da quello del suo amante, divenuto troppo pesante da sopportare, ma Giulio le afferrò il volto tra le mani costringendola a guardarlo fisso nei suoi occhi verdi.
«Non puoi amarmi. Non puoi amare lei perché uccide ogni cosa bella e non potrei permetterlo» proferì Agata mentre le lacrime rigavano la pelle del suo viso.
«Ti amo proprio perché ti conosco e sono certo, ora più che mai, che anche tu tieni a me. Ti batteresti persino contro te stessa pur di non vedermi soffrire, rinunceresti a me. Vedi, mia cara, la parte che credevi morta in realtà è più viva e combattiva che mai. In ognuno di noi convivono diverse sfaccettature di personalità ed è questo a renderci unici. Mai vorrei che mutassi alcuna delle tue Agata, poiché fanno di te la donna che ho sempre amato. Ti aiuterò a trovare quell’equilibrio che tanto aneli, solo con il mio amore e la mia devozione. Curerò ogni tua cicatrice rendendola un meraviglioso intarsio. Sarò lo specchio attraverso il quale potrai ammirare la tua rinascita giorno dopo giorno. Ora dimmi, amore mio, mi permetterai di fare tutto questo per te?» chiese Giulio, mentre il cuore gli si fermava nel petto in attesa della risposta.
Agata lo fissò per qualche istante: si sentiva frastornata, ubriaca, triste e gioiosa al tempo stesso. Chiuse gli occhi, inspirò una generosa quantità di ossigeno attraverso le narici fino a sentire bruciare il petto e poi lasciò che l’aria fuoriuscisse dalla sua bocca con violenza, come se volesse vomitare il marcio che aveva dentro.
«Amami, Giulio, e io cercherò di prendere esempio da te».
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