Chapter 8.

L'isola di Okinawa era un oasi costeggiata da intonse e naturali zone verdi, con piccoli tetti di alcune ville color palissandro sparsi qua e là.
Era un vero e proprio paradiso, continuava a pensare Natasha da quando erano scesi dalla nave.
Al contrario, Mia sembrava essere ancora sul ponte del traghetto, addolcita dal bacio datole da Xene.
Non smetteva di pensare alle estreme sensazioni che aveva provato sentendo quelle candide e morbide labbra sulle sue, in un gesto insensato quanto impulsivo.
Ma si sapeva, Mia era l'impulsività fatta a persona.

«Non sei d'accordo Mia?» uno scrollone alle spalle da parte di Silvia la fece destare dai suoi problemi e la ragazza balbettó una risposta.
Natasha -e di soppiatto anche Nelly- le lanció un'occhiata sospettosa, mentre guardava i pomini di sua sorella accennare a colorarsi di rubino.
I pensieri di Mia le erano completamente estranei e ció le dava fastidio, fin da piccola era l'unica persona a riuscire a decifrare gli occhi inespressivi della gemella, eppure quel giorno sentiva come se le stesse nascondendo qualcosa.
Forse neanche la Collins tutta perfettina e pignola sapeva cosa stesse girando negli anfratti della sua mente, ma di una cosa era certa: Xene era al centro dei suoi pensieri.
Per tutto il giorno entrambe le corvine erano talmente incentrate sulle loro idee e la loro stridula vocina nella testa che non si resero pienamente conto di tutti gli avvenimenti che si susseguirono.
La Raimon aveva fatto amicizia con un certo Hurley Kane, anche lui capitano di una squadra dell'isola.
Soltanto quando, con il suo tono saccente e vagamente ironico, si avvicinó a Mia cercando di fare colpo, quest'ultima si rese conto della sua presenza. E fu pronta a storcergli il braccio che mise tra le sue spalle, mentre il ragazzo continuava a scusarsi invano.
Dovette intervenire poi Nelly per il continuo schiamazzo in spiaggia, e subito tutti si zittirono.
La Collins si scambió uno sguardo di intesa con la rossa, che ricambió con un sorriso.
Natasha se ne stava in disparte, a godersi la scena, qualche volta ridendo e scambiando qualche parola divertita insieme agli altri ragazzi, ma in fondo stava soltanto scrutando con attenzione i movimenti della sua gemella.
Subito dopo aver salutato Kane con la promessa -di tutti, meno che di Mia- di rivedersi, cercarono uno spazio aperto 'accogliente' per passare la notte in procinto ad arrivare.
Arrivarono in un piccolo spiazzo verde, in cima a una collinetta dove lo spettacolo era mozzafiato, il sole color corallo tingeva il blu del mare in mille sfumature differenti ed un leggero venticello scompigliava i capelli di tutti i giocatori.

«Mia...» sentii sussurrare la diretta interessata. Si voltó, guardó intorno a lei un paio di volte, ma non vide nessuno chiamarla.
Sarà stata la sua immaginazione.

«Mia...» la corvina sussultó e si voltó completamente.
Intorno a lei, alcuni ragazzi in veste giallo-azzurra parlavano fra di loro, altri facevano qualche passaggio; Natasha e Nelly guardavano il panorama con un sorriso stampato sul volto, a cui si aggiunsero poco dopo Jude e Mark; Silvia era affiancata da Celia, che continuava a scattare alcune foto al tramonto sul mare di Okinawa.
Insomma, nessuno di loro la stava chiamando.

«Mia...» sentii dei brividi percorrerle sulla schiena, stava diventando pazza?
Vagó con lo sguardo in ogni direzione, fino a quando una chioma rosso sangue nascosta tra gli arbusti incroció i suoi occhi sospetti.
Sorrise inconsciamente.
Nessuno dei giocatori, ne manager, la stava fissando, perció si diresse verso la coltre di alberi, seguendo i passi del ragazzo di fronte a lei.

«Xene!» disse.

«No, mi spiace...» nella penombra dei folti rami, Mia poté vedere il soggetto girarsi, ma non era il ragazzo che tanto sperava.
Quella voce l'aveva già sentita e tutto le tornó chiaro alla mente: era l'individuo che affiancava Xene, soltanto qualche giorno prima, quando era all'Absolute Royal Academy.
Eppure, le incuteva timore e oscurità, una sensazione che la Collins non riusciva a intendere.

«Chi sei?» rispose caparbia e con quel poco di coraggio che le era rimasto nelle vene.

«Non ha importanza, Mia. Ma ha importanza il tuo rapporto con mio fratello...» concluse subito il rosso.
Fratelli? Non si assomigliavano per nulla. Ne per fisicità, ne per carattere a quanto pareva.

«Che vuoi dire?» strinse i pugni e la mascella, rischiando di mordersi la lingua.
Anche se era fratello della sua cotta non aveva il diritto di rivolgersi in quel modo.
Un momento, cotta?

«Lo hai capito bene.» mise una mano intorno al suo collo e ne tiró fuori, da sotto la maglietta, una collana identica a quella della ragazza di fronte a lui. «La vedi questa?» chiese, in un tono assai sfacciato, come il sorrisino che gli si era formato sul volto. «Bhe, questa pietra è cio che vi lega.»

«Non sto seguendo...» sussurró, realmente confusa e amareggiata. Troppo caos si stava insinuando nella sua vita e certamente quel ragazzo la stava incasinando ancora di più.

«Si chiama Pietra di Alius, ricordi?» a Mia i ricordi tornavano frammentati, ma la voce di Dark nella mente le risuonava come il fischio di un treno.
La Pietra di Alius. Oh si che se lo ricordava, quel maledetto nome.
Alius Academy. Tutto era collegato. «Il tuo caro Xene è il Capitano della Genesis, Mia. La squadra di punta dell'Alius Academy.»
Mie sentii un grande tonfo all'altezza dello stomaco, che poi si trasformò in nausea e capogiri. Rimase lí, impalata, con gli occhi sgranati e lucidi, le gambe molli e i denti che continuavano a torturare e mordere le sue povere labbra.

«Non è vero...» sibiló appena.

«Oh si, è tutto vero.» continuó il rosso. «Perció mettiti l'anima in pace, corvina: Xene è il tuo nemico.»

«TORCH!»
Quando quella voce risuonó in quella coltre di alberi, a Mia mancó del tutto il fiato. E quando vide Xene avvicinarsi all'altro ragazzo, pensó che le gambe le dovessero cedere da un momento all'altro. «M-mia...»

«È vero?» chiese subito, con un nodo alla gola che si faceva sempre più stretto.

«Che cosa gli hai detto, Torch?!» la ragazza non pensava che il rosso potesse arrabbiarsi così tanto da girare il volto verso quell'individuo -che a quanto pareva si chiamava Torch- con i denti digrignati e le guance rosse.

«Il necessario.» intervenne Mia. Si avvicinó a Xene con le lacrime e la voce ormai strozzata, quasi svanita. «Mi hai ingannata!» le urló a un palmo dal naso.

«Non credere a...» cercó di dire a sua discolpa.

«Non credere!?» la corvina cominció a sentire i nervi che le volevano uscire da sotto la pelle, le lacrime che ormai le solcavano il viso e i denti che non smettevano di spingersi fra loro dalla rabbia. «Io ti credevo sincero...quando mi hai salvata e mi hai aiutata...» sussurró e poi ancora più piano, con la voce interrotta dal pianto: «Quando mi hai baciata...era solo una farsa...»

«Ti prego Mia io non sono quello che credi! I-io volevo dal primo momento in cui ti ho incontrata, dalla prima volta che ho incrociato gli occhi con i tuoi, io volevo baciarti. Non ti ho ingannata!» a quelle parole, Torch fece una smorfia disgustata e distolse lo sguardo, ma i due non lo degnarono. Si guardavano negli occhi, fissi uno contro l'altro, celeste contro verde, in un mix di colori scuro e strabigliante.
«Credimi, ti prego...» sussurró appena stavolta, mentre portava le mani sul viso di lei e le asciugava le lacrime.
Lei era rimasta ferma. Per la prima volta nella sua vita, stava piangendo e per cosa? Per amore.
Di un completo sconosciuto, tra l'altro.

«Non posso...» mormoró, più per comvincere se stessa che Xene.
Impulsiva come era, si scaglió contro le labbra di lui e assaporó per l'ultima volta quelle sue labbra rosee e morbide come la neve.
Poi si staccó, lo fissó per memorizzare i dettagli del suo viso: pelle candida, occhi penetranti e semplicemente bellissimi, le gote leggermente rosate, i capelli che gli ricadevano sul viso perfetti come il resto di lui...

«Non mi cercare più.» disse lei, mentre si voltava e cominciava a correre sempre più veloce, tagliandosi tra i rami e i cespugli.
Piangeva e le urla incessanti di Xene che continuavano a chiamare il suo nome non fecero che aumentarle.
Prima di arrivare all'autobus si degnó di sembrare presentabile, aggiustandosi i capelli, asciugandosi le lacrime e lisciando la divisa.
E poi, in in gesto che ormai le veniva spontaneo, Mia indossó quella maschera immaginaria di introversione e freddezza, come era abituata in tutti i giorni precedenti.

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