Chapter 5.

Se c'era un particolare che riusciva a far contraddistinguere le due gemelle Collins, quel particolare era proprio l'impulsività.
A differenza da come potrebbe lasciare trapelare il suo carattere, Natasha, dettata anche dalla sua innocenza e paura, non sarebbe mai in grado di immischiarsi in scomode situazioni.
Al contrario, Mia e il suo carattere introverso e freddo, quando le sue emozioni non riuscivano piu a sottostare alla sua corazza, diventava la persona più impulsiva che si fosse mai incontrata.
E proprio grazie a quello che, quando incroció gli occhi con quelli di Dark lievemente nascosti dai suoi occhiali nero pece, non ci pensó due volte prima di mettersi a correre sulla passerella che portava all'interno di quel gigante di ferro.
La stava rincorrendo anche Jude, ma la corvina era veloce e agile e molto presto lo seminó in uno di quei tanti corridoi.
Il luogo intorno a lei era buio e freddo, un posto adatto e che rispecchiava perfettamente l'animo del suo padrino, Dark.
Come i suoi genitori avessero potuto permettere di far avvicinare le proprio figlie a un soggetto del genere ancora non se lo riuscivano a spiegare, nè Mia, nè Natasha.
Eppure, è proprio grazie a lui se le due gemelle sono diventate quello che sono.
E Mia questo non riusciva a tollerarlo.

«Dove sei?!» urló a un tratto, stanca di correre senza meta.
Le sue parole echeggiarono nelle pareti, creando un inquietante eco che si espanse lentamente.
Ansimava, piccole goccioline di sudore le ricadevano sulle tempie, ma non era dovuto alla stanchezza.
La ragazza poteva sentire il suo stomaco contorcersi dalla tensione, provocandole un odioso senso di nausea che giá si portava dietro da quando aveva incontrato quel ragazzo in quel mini market.
Caleb Stonewall, le parve di ricordare secondo le parole della Shiller.
Per minuti stretta ferma in un punto a guardarsi intorno sospettosa e in stato di allerta, d'altronde poteva aspettarsi di tutto.

-

Di qualche decina di metri al di sotto di lei e all'esterno, Natasha continuava a mangiarsi le unghie dall'ansia.
Quando Jude li raggiunse nel campo da calcio costruito su quell'imbarcazione, le disse di aver perso Mia di vista e per un attimo alla Collins mancó la terra sotto i piedi.
Per tutto il tempo Natasha pensó a dove potesse essere, e speró che non si fosse messa nei guai.
Quando alcuni ragazzi sconosciuti si avviarono verso la Raimon, la bruna dai capelli legati in una scomoda coda quasi non li notó nemmeno.
Solo quando sentii gli altri mormorare stupiti e scioccati dalla vista di alcuni di quei soggetti, la Collins si destó per un momento dalle sue preoccupazione.
Jude era immobile, di fianco a lei, a guardare deluso e a bocca aperta quei due;
Capelli argentei e benda sull'occhio: David Samford, pensó Natasha. Un ex calciatore della Royal Academy, quindi compagno di Sharp, ed anche l'altro ragazzo, Joe King, doveva essere un ex componente a quanto ricordava.
A giudicare da tutti gli occhi dei giocatori in veste giallo-azzurra, nessuno si aspettava che i due ragazzi potessero riconciliarsi con Dark.
Eppure, la gemella notó qualcosa al collo di quei due ragazzi, una strana luce violacea e che trovava insolitamente attraente. Splendeva sul petto dei due ragazzi al di sotto della maglietta, ma pochi della Raimon -forse proprio nessuno- se n'era accorto.
Quando poi saettó i suoi occhi cerulei verso la Signorina Shiller, dovette ricredersi.
Anche l'allenatrice fissava incessantemente quei ciondoli così luminescenti, ma dal suo sguardo non si poteva percepire alcuna emozione; come se si aspettasse già di trovare al collo di Samford e King quella pietra porpora.

«Ci siamo proprio tutti, a quanto vedo...» quella voce così irritante e strafottente cominciava a far ribollire il sangue nelle vene della Collins.

«Dov'è mia sorella?!» sbraitó, guardando in cagnesco Stonewall, che nel lasso di tempo si era affiancato al ragazzo dalla chioma argentea e con la benda sull'occhio.

«Tua sorella? E che ne dovrei sapere io, non è colpa mia se è così stupida da perdersi!» ribatte quell'altro fra una risata e l'altra.
Natasha al sentir di quelle parole si lanció verso il rasato a pugni chiusi, pronta a sferrargli un colpo in pieno viso così da togliergli quel sorrisetto magnanimo sul volto.
Un braccio la bloccó, prima che potesse arrivare alla giusta distanza da Stonewall.

«Fermati, non farai altro che peggiorare la situazione.» era Frost, mentre anche Mark la acchiappava per la felpa.

«Lasciatemi andare.» disse stringendo i denti.

«Calmati, Nat.» intervenne anche il rasta, che appena due passi davanti a lei, rimase impassibile alle parole dell'inquietante avversario.

«Parla ancora di mia sorella e nè Shawn, nè Mark, nè qualsiasi altro giocatore sarà in grado di tenermi nel tirarti un pugno.» disse tutto d'un fiato Natasha che con uno strattone non troppo delicato si slacció dalla presa dei due compagni.

«Bhe, vediamo se sarà capace a fermarti questo!» Stonewall alzó la gamba e con tutta la forza che aveva in corpo, tiró il pallone sotto ai suoi piedi in direzione dello stomaco della Collins.
Per alcuni giocatori, il tempo sembró fermarsi mentre osservavano senza poter far nulla, la palla era troppo veloce.
Neanche Jude, che era famoso per i suoi riflessi repentini, riuscì a fermare la palla in tempo.
Quando quella sfera bianca e nera arrivó a pochi metri di distanza dalla ragazza bruna, alcuni ragazzi della Raimon le urlarono di spostarsi.
Eppure, con lo stupore di tutti, Natasha scattó in avanti e con un potente calcio, tiró il pallone nella direzione in cui era venuto, sfiorando di qualche centimetro Caleb e gli altri due ragazzi e andando poi a scagliarsi in porta in una vortigine di fuoco e fiamme color rubino.
Nessuno riusciva a credere a quello che aveva appena visto, ma non era altro che la super tecnica di una delle gemelle Collins. Persino sul viso di Stonewall si riuscii a percepire un pizzico di stupore.

«Ti ringrazio, Stonewall.» disse Natasha con un sorrisetto furbo dipinto sul volto. «Era da tanto che non calciavo un pallone.»

-

Quando Mia riaprii gli occhi, la testa le doleva a tal punto da provocarle le vertigini e la vista era quasi completamente annebbiata.
Ricordava soltanto di star girovagando senza sapere dove andare e poi un improvvisa botta alla tempia le fece perdere conoscenza.
Ancora stesa al suolo, cercó di capire dove si trovava.
Il luogo, come il resto della struttura, era buio e freddo e ci mise un paio di minuti prima di riuscire a distinguere le pareti della stanza color cenere e le cose all'interno.

«Ah, ti sei svegliata finalmente.» i brividi che Mia provó quando quella voce risuonó nei suoi timpani non riuscii a spiegarselo. Si alzó a sedere di scatto, ignorando il dolore che si protraeva dalle tempie fino agli occhi, che ancora non riuscivano a distinguere i contorni degli oggetti.
O delle persone, in questo caso.
Difatti, la corvina impiegó qualche secondo per vedere la figura di Dark, seduto e rivolto verso dei pannelli che proiettavano una partita calcistica.
"Ma quella è la Raimon!" Pensó sorpresa e timorosa allo stesso tempo, quando vide i giocatori giallo-azzurri inquadrati in uno dei tanti schermi. Tra questi c'era anche Natasha.
«Mi dispiace se i miei uomini ci abbiano messo troppa forza, non volevo ti facessero del male.» disse con un'amara risata a concludere la frase.

«Perchè non mi sembra poi così strano, non riuscire a crederti?» sibiló acida e a denti stretti, mentre barcollando si alzó in piedi, cercando di non cadere.

«Io non ti ho mai fatto del male, Mia. E neanche a Natasha.» per qualche secondo, a Mia sembró di tornare bambina. Quando quell'uomo davanti a lei veniva a trovarle quasi ogni pomeriggio e, dall'alto della sua esperienza, insegnava alle ragazze quel gioco che tanto le affascinava quanto le intimoriva.
Essere le figlie di genitori che fin da sempre hanno cercato di dare alle due gemelle un'educazione degna di nota, tra modi di fare e galateo, la loro passione al calcio non era tra le opinioni più accettate dai due adulti.
E così, entrambe le bambine strette nei loro vestitini pastellati, si ritrovavano a seguire i consigli di quell'uomo che sembrava onesto, fin quasi gentile, alla scoperta del gioco. Molte volte le seguiva una bambina dai capelli biondi, di qualche anno più piccola -anzi, molto piccola-, una certa Lucy, una loro lontana parente che faceva qualche volta visita a casa Collins.
Quando divennero più grandi, circa un anno prima di questi avvenimenti, le ragazze persero quei pomeriggi insieme a "Zio Ray", dovuto più al suo 'lavoro', che consisteva nell'allenare una squadra.
Pochi mesi dopo, le gemelle capirono quanto la verità possa fare male, distruggere le anime e le passioni legate a quel ricordo.
Ray Dark, il loro padrino, "Zio Ray", non era altro che un criminale accecato dalla luce della vendetta e che in verità non amava il cacio.
Lo odiava, e ben presto, quel sentimento si fece largo nei cuori delle due sorelle Collins, un odio indirizzato tutto a quell'uomo.
Di fronte a Dark e a questi pensieri, Mia si morse le labbra e pensó a quanto avrebbe voluto tirargli uno schiaffo in pieno viso, o un pugno, o un calcio, o insomma, riempirlo di botte.

«Non mi prendere per i fondelli, Zi...Dark.» si maledii inconsciamente per aver soltanto pensato di poterlo chiamare in quel modo.

«Dove sono finite le buona maniere? Un tempo eri così rigida e perfettina al riguardo...»

«I tempi sono cambiati. E anch'io.»

«Non lo metto in dubbio.» facendo scivolare la sedia sul lucido pavimento color pece come il resto della stanza, Dark si alzó e si avvicinó a Mia, che indietreggió intimorita.
Fra le sue mani, aveva una pietra color porpora, atccata ad un cordino a formare una collana, emanava una luce intensa e quasi accecante se si guardava per molto tempo.
Eppure, la Collins non riusciva a staccare lo sguardo da quella pietra così attraente per il suo sguardo.

«Non ti avvicinare.» disse lei, e stranamente Dark si fermó, ma non distogliendo lo sguardo dagli occhi celesti della corvina.

«Non farla cadere.» la ammonii, e subito Mia non capii, ma si ritrovó a dover balzare in avanti quando l'uomo le lanció quella collana.

«Cos'è?» chiese repentina, prima che il suo sguardo si riposasse sulla pietra a ciondolo.
Ci passó le dita, questa sembró illuminarsi al suo tocco e Mia fu rapita dall'energia che emanava.

«Come immaginavo» rise sommossamente Dark, alla vista dello sguardo perso della Collins.

«Cosa?» con la stessa acidità che non l'aveva affatto abbandonata quando si era ritrovata stesa in quella stanza con quell'uomo, Mia spostó lo sguardo verso di lui.

«Mettila al collo. E vedrai.»
Non fu molto sicura di eseguire l'ordine di Dark.
Eppure, quella pietra l'attraeva così tanto, la incuriosiva a tal punto che, dopo essersela rigirata per le mani, se la porto alla testa, facendola scivolare sui capelli ormai spettinati.
All'inizio, non sentii niente, e non ne fu tanto sorpresa, ma quando stava per ribattere, una scossa la fece destare completamente.
Sentii il respiro mancarle e cadde a terra priva di forze, nuovamente.
Perse completamente conoscenza, ma non prima di sentire un'ultima frase di Dark:

«Questo è quello che succede quando si entra in contatto la prima volta con la Pietra di Alius, cara Mia.»

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