Chapter 13.
Il diluvio lasció spazio ad un arcobaleno vivido e colorato.
Dalla finestra dei dormitori, Natasha guardava sconsolata il paesaggio di fronte a se, pensando ad un libro che, insieme a Mia, aveva letto pochi mesi prima; citava questa frase: Se vuoi l'arcobaleno, devi prima sopportare la pioggia.
L'autore forse non si sbagliava più di tanto.
La corvina era sicura di poter ritrovare sua sorella, anche a costo di avventurarsi sul Monte Fuji, come era stato comunicato alla squadra poche ore prima.
Alcuni giocatori avevano declinato l'offerta della Signorina Schiller, scopritasi la 'sorella' dei membri dell'Alius Academy.
Troppe informazioni le erano arrivate in testa freneticamente, ad un ritmo incontrollabile che a Natasha aveva soltanto provocato alcuni capogiri.
A destarla da questi suoi pensieri, fu il rumore di nocche contro la porta della sua camera.
«Nat?» la voce di Blaze fece capolino attraverso il legno e la corvina sussultó. Adorava il modo in cui abbreviava il suo nome, in modo affettivo e amichevole.
«Entra pure.» disse a voce alta così da farsi sentire.
La maniglia si abbassó e pochi secondi dopo il platinato entró in stanza, serio e autoritario come sempre.
La corvina rimase seduta sul letto, a gambe incrociate, ignorando di essere impresentabile, coi capelli arruffati e sciolti, un paio di leggins neri e una canotta bordeaux.
In quella stanza vi erano a malapena venti gradi, ma nei pensieri del capo cannoniere si convinse che, vivendo in Hokkaido, per la ragazza quella temperatura fosse fin troppo elevata.
«Come mai qui?» chiese lei, spostandosi i capelli che le ricadevano sul viso all'indietro.
«Volevo sapere come stessi...» vagó lui, sedendosi al bordo del letto. «E se partirai con noi.» aggiunse, dopo una breve pausa. Guardó in quegli occhi celesti, quasi colore dell'oceano, e quasi riuscii a scrutare nelle sue iridi uno scintillio di imbarazzo e vergogna. Il rossore accentuato sulle sue guance poi affermó i suoi dubbi e il ragazzo sorrise inconsciamente.
«c-certo che verró! Devo salvare Mia.» rispose con decisione la corvina, alzandosi in piedi e cominciando a camminare avanti e indietro per quella minuscola stanza.
Farfugliava cose come 'io li distruggo', 'quel tulipano arrogante', o ancora 'Mia è in pericolo.' L'unica cosa sensata di quel discorso era quest'ultima frase, ma Axel non ci fece poi più di tanto caso, visto che non riusciva a distinguere bene tutte le parole che uscivano dalla bocca della Collins.
Rimase sul letto, immobile, seguendo con lo sguardo i suoi movimenti ed aspettando che Natasha riprendesse controllo di sé.
A lui non dispiaceva rimanere a guardare quella minuta figura camminare indispettita e in preda ad una crisi nervosa, anzi, l'osservó perso.
Notó le sue labbra, che continuavano a muoversi freneticamente, rosee e carnose; i suoi lineamenti perfetti, il suo fisico magro ma con le sue forme -risaltate anche dagli indumenti attilati-; i suoi capelli, lucenti anche se scompigliati e mossi; la sua carnagione, pallida, che risaltava sotto la sua chioma corvina, ma delineata sul viso dalle gote rosse.
Poteva rimanere a guardarla per ore, ma non lo avrebbe mai ammesso.
Forse poteva risultare alquanto pazza, mentre parlava da sola, nervosa e frenetica, ma il carattere della piccola Collins a lui era sempre piaciuto.
Ma anche questo, non lo avrebbe mai ammesso.
«Natasha.» ammonii con la sua voce profonda.
«Dimmi!» squittii lei, per poi rendersi conto della situazione. Saettó lo sguardo al platinato e poi verso il pavimento, mordendosi le labbra, e Blaze non potette che trovarla adorabile. E forse anche sensuale. «Sembro una pazza, vero?» sibiló, quasi sussurrando appena, ma alle orecchie del capo-cannoniere quella voce arrivó forte e chiara.
«Solo un pó.» ammise ridacchiando per poi alzarsi dal letto e raggiungerla. «Non dovresti preoccuparti così tanto, Mia sta bene, vedrai.»
«Non siamo mai state separate.»
«So cosa provi.»
«Non credo.»
«Dovresti farlo, anche io ho una sorella. È più piccola di me, ma fidati, è difficile tenerla calma.» rise.
Nella mente Axel non riuscii a ricordarsi l'ultima volta che si sentii così libero di parlare con qualcuno, tranquillo e sereno. Non gli era mai capitato.
Cosa gli stesse facendo questa ragazza, non lo sapeva e in quel momento i suoi occhi cerulei lo imploravano di continuare. «Si chiama Julia. L'ho sempre protetta, fin da quando è nata...» questa volta fu lui a prendere a camminare per la stanza, mentre Natasha lo guardava. I ruoli si erano invertiti. «Ovunque andavo, Lei era sempre qualche passo dietro di me. Assisteva alle mie partite insieme ai miei genitori, compravamo insieme quei vecchi giocattoli in un negozio sotto casa nostra, insomma eravamo inseparabili, proprio come te e Mia.»
«E cosa è successo?» La Collins sentiva malinconia e tristezza nella voce del ragazzo. Un velo di oscurità in quel suo carattere così introverso e ben educato, quasi come se un passato maledetto avesse segnato quel biondo per sempre.
«Poco più di un anno fa fu investita. Rimase in coma per tutto questo tempo, e per me fu come una tortura. Potevo averla affianco a me, anche se lei...non lo era...capisci cosa-»
«Si, ti capisco.» non lo lasció neanche finire.
Natasha eccome se sapeva cosa intendesse. Quante volte aveva assistito al padre in quelle condizioni, in uno stato vegetativo e privo di alcun segnale di vita. «Direi che non siamo molto fortunati, a quanto pare...» la buttó sul ridere, girando la testa di lato.
Sentii dei passi avvicinarsi e non fece in tempo a voltarsi, che il ragazzo era a pochi centimetri da lei, la fissava, con la bocca schiusa e gli occhi lucidi dal desiderio.
«E se io ora ti baciassi, cosa diresti?» sussurró.
Natasha rimase impietrita, subito, ma poi si ricompose.
Distolse lo sguardo dai suoi occhi, facendoli saettare sulle sue labbra e poi tornó a sorridere.
«Non direi nulla.»
E in meno di un secondo, entrambi ritrovarono ad assaporare quelle labbra che tanto avevano desiderato fin dal primo momento.
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