Chapter 12.

Il pallone entró in rete con una potenza tale che quasi la squarció completamente, mentre la giocatrice cadde a terra, in ginocchio, con il sudore che colava dalla sua fronte mischiandosi alle lacrime.
Natasha non si era mai sentita così.
Arresa, distrutta, con una rabbia dentro che sarebbe stata capace di distruggere quella porta in soli pochi tiri.
Mia le era stata portata via.
Le due gemelle non erano mai state divise e Natasha stava soffrendo come non mai.
Le ossa delle gambe cominciavano a scricchiolare, alcuni rivoli di sangue le rigavano gli stinchi e le guance erano talmente rosse da richiamare i capelli di quell'individuo che aveva rapito Mia.
Quanta rabbia dovette provare, impietrita com'era davanti a quella scena, con tutti gli arti del corpo bloccati dal dolore e anche dalla paura.
Piccole gocce di pioggia cominciarono a cadere sul freddo sterrato del campo da calcio e sfinita, la Collins si stese a peso morto sul campo.
La testa le girava e non poco.

«Nat! Nat!» la corvina pensava di avere le allucinazioni, quando la testa platinata di Axel fece capolino nel suo campo visivo.
Non sentendo alcuna risposta dalla ragazza, il cannoniere della Raimon la prese da sotto le braccia e la fece così sedere, senza che lei potesse dire altro.
Blaze poteva sentirla a malapena respirare, tanto era forte l'acqua che stava cadendo dal cielo.
«Dobbiamo ripararci!» concluse.
Natasha assottiglió gli occhi a due piccole fessure, quasi a cercare di capire se il ragazzo fosse solo nei suoi sogni oppure reale.
Dovette credere alla seconda opzione.

«Là sotto.» indicó flebilmente un piccolo spazio coperto, sotto la tettoia mezza rotta dell'entrata principale della scuola.
Si alzó aiutatá da Axel e insieme raggiunsero il riparo, dove lui le diede gentilmente la sua felpa vedendola percossa dai tremori.
La Collins arrossì a quel gesto. Era così bello averlo tutto per sè e non circondato da quel gruppetto di ragazzi come agli allenamenti. Seduti lontano dall'acqua e all'asciutto, la ragazza mise la testa sulla sua spalla e non permise al biondo di dire nulla.
Rimasero così, accoccolati l'uno all'altro, nel silenzio assoluto percosso semplicemente dallo scrosciare della pioggia.
Dal canto suo, il giocatore non si era mai sentito così...a casa?
Si, la parola giusta era casa.
Confortevole, accogliente e tranquillo.
Era così che Natasha rendeva quel piccolo spazio all'aperto dove si stavano riparando dall'acquazzone.

«Come mai ti stavi allenando da sola?» uscii dalla bocca del biondo a un certo punto.

«Non lo so...» rispose lei, stringendosi nella felpa posata sulle spalle e staccandosi dal ragazzo.

«Come non lo sai?»

«Volevo stare da sola e pensare. E il calcio è l'unica cosa che mi permette di esprimere i miei sentimenti.» la gemella non guardó più negli occhi il suo interlocutore, sicura di perdersi in quelle due iridi color cioccolato.
Era arrivata ad unica soluzione: Axel Blaze, il bomber di fuoco, il più famoso cannoniere di tutto il Giappone, era il ragazzo per cui si era presa una bella cotta.
Decise di immedesimarsi in Mia, nascondendo quel sentimento come era abituata a fare lei, senza far trapelare nulla da quei suoi occhi cerulei; il rossore sulle gote peró la incastravano.

«Sarà meglio che torni ai dormitori...» disse alzandosi e porgendo la felpa ormai asciutta al platinato ancora seduto.

«Tienila, ti servirà per ripararti.» rispose lui, ammiccando ad un sorrisetto e guardando dal basso Natasha, che intanto aveva accennato anche lei ad un sorriso sulle sue labbra.

«Ok.» sibiló soltanto, prima di mettersi l'indumento sopra la testa e camminare verso la scuola.

—-

«Pinguino Imperatore N.1!»
Era la terza volta che Mia tirava in porta con la sua tecnica, dopo aver dribblato uno dopo uno i giocatori della Genesis, ora diventati i suoi nuovi compagni.
Doveva abituarsi alla nuova -e strettissima- divisa, le impediva di muoversi correttamente e ció portava alla minor potenza della sua tecnica.
Si guardó intorno, con il fiatone, mentre gli altri erano ancora in perfetta forma. Aggrottó le sopracciglia e guardó a terra, in preda della sua mente che continuava a formulare troppe domande.

«Devi ancora adattarti alla Pietra di Alius.» al suono di quella voce si giró.
La ragazza che parló, dai capelli celesti come gli occhi e delineati da alcuni ciuffi bianchi, guardava la Collins a braccia conserte e con fare saccente.
Aveva imparato a sopportarla la gemella, in fondo lei non era altro che la sorella di Xene, Bellatrix, ed era stata costretta a conviverci.

«Mi ci sono già abituata.» rispose secca la corvina.

«Bhe io non direi.»

«Bhe, ti sbagli.»
Se fosse stato possibile, si sarebbe potuto chiaramente vedere un fulmine di odio partire dalle due ragazze e scaricarsi su entrambe.
Andare d'accordo, forse, era completamente un'altra cosa.

«Suvvia, smettetela.» entrambe le ragazze sussultarono quando videro il Sig. Schiller muoversi verso di loro. Si ricomposero immediatamente, come più le permetteva dopo un estenuante allenamento.

«Mi dispiace, padre.» sibiló l'azzurra.

«Dovete imparare ad andare d'accordo.» le ammonii.
Mia non disse nulla, non conosceva ancora bene quell'uomo da potersi permettere di interferire. «Ma in fondo, un pizzico di rivalità non è un malanno.» continuó con uno strano sorriso sul volto, che alla Collins provocó qualche brivido lungo la schiena.
L'uomo poi si rivolse a lei, mantenendo la stessa espressione. «Mia, vieni un momento con me. Abbiamo molte cose di cui parlare...»
Si voltó, riprendendo a camminare e la corvina rimase per un momento imperterrita ed immobile.
Si rigiró le maniche della divisa tra le dita e poi, con passo svelto, seguii il Sig. Schiller.

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