Chapter 12.2

Cadde rovinosamente a terra, scansando per mezzo metro una pozzanghera torbida e dal fetore impronunciabile; forse uscire di casa con i décolleté e correre per le strade trafficate di Tokyo con un tempo uggioso come quello non era stata una grande idea.
Ma a Mia questo non importava. Si dirigeva alla Raimon a gran passo, coi capelli scompigliati, il cappotto costoso slacciato e la sciarpa a penzoloni sulle spalle.
Dopo la telefonata di Xavier, sembró che il mondo le cadesse addosso tutto d'improvviso, schiacciandola e reprimendola come una fastidiosa zanzara.
Sua figlia era sparita: chiamó a scuola, ma la maestra disse che quella mattina non si fosse presentata, per sicurezza chiamó anche sua madre, nel caso la piccola fossa andatai a casa sua.
Nulla.
Youka non si trovava e il pensiero che ció che le venne detto quella sera da sua sorella fosse divenuto realtà, le provocava brividi fino alla pianta dei piedi.
Le lacrime nervose si unirono alla fredda pioggerellina che ricadeva incessantemente dal cielo coperto di nubi, e il freddo pungente che toccava la pelle fino a renderla un pezzo di gelato e umido ghiaccio.
Varcó la soglia della scuola media ancora col fiatone, le guance rosse dal tempo rigido risaltavano sulla sua pelle candida come porcellana.

«Mia!» era la voce di Nelly, che comparve da una delle uscite d'emergenza del campetto sportivo.
La corvina si giró a guardare la rossa, che subito si stupii di vedere la Collins così distrutta in viso e malconcia.
«Cara, vieni dentro, ti prenderai freddo.» accompagnó l'amica all'interno del campo chiuso, dove incontrarono i rispettivi fidanzati e Jude e Celia.

«Tesoro...» i due genitori si abbracciarono, mentre Mia tentava di non versare ancora lacrime che erano ormai incastonate nelle sue iridi cerulee.
Posó la sua fronte sulla spalla del ragazzo, lasciandosi cingere dalle braccia di lui, senza che lei muovesse un altro muscolo.
Non si dissero nulla e gli altri ragazzi non spiaccicarono parola.
Fu proprio lei, la prima a parlare.

«Vado al Quinto Settore.»

Xavier sgranó gli occhi, lasciando ricadere le braccia dalla schiena di Mia.

«Non ci pensare nemmeno.» la ammonii.

«Mia, non puoi presentarti là come se nulla fosse, rischieresti che...» cercó di intervenire anche Celia, ma lo sguardo adirato della ragazza la fece zittire all'istante.

«Correró il rischio.» disse secca.

Nessuno le disse più nulla; erano tutti consapevoli che più avrebbero cercato di convincerla dell'altro, più lei avrebbe accertato ancora di più le sue idee. Nemmeno il suo fidanzato, spiaccicó parola.

«Vengo con te.» disse solo.

«No.» diretta, Mia lo fissó negli occhi, come mai aveva fatto prima. «È una questione fra me e Natasha, e il resto del Quinto Settore.»

Il rosso serró le labbra in due linee strette; anche se di mezzo c'era Youka, la sua bambina, sapeva di non poter competere con la decisione di quella che, avrebbe voluto, fosse la sua futura moglie.
A proposito di ció, Xavier quel giorno stesso voleva farle la fatidica proposta, ma la situazione non giocó a suo vantaggio. Aveva l'anello chiuso nella tasta di uno dei suoi cappotti, a casa, appeso nell'armadio in modo che Mia non potesse trovarlo.
Eppure, sembrava che il destino non volesse che i due si unissero.

«Ci sarebbe un modo...» Jude finalmente parló, dopo che per minuti era rimasto a guardare e toccacciare un tablet. «...meno pericoloso per entrare.»

Passó la tecnologia alla corvina, scambiandosi uno sguardo compiaciuto con Mark, che nel frattempo teneva stretta a sè Nelly.

«C'è un'entrata sul retro.» aggiunse l'uomo con la fascia sulla fronte. «Puoi entrare da lì, noi faremo tutto il resto...»

«E poi?» chiese curiosa, dopo aver controllato quello che il tablet proiettava sullo schermo touch: una piantina della sede del Quinto Settore.
I due, comprese la sorella del rasta e la moglie di Mark, si guardarono compiaciuti, ammiccando ad un sorriso.

«Ti aiuteremo.» d'istinto, Mia prese in una stretta nervosa e forte la mano di Xavier, che sussultó. E guardando i loro migliori amici, anche lei si lasció scappare una risata, in quei tempi cosi cuoi e bui.





Natasha fissó la bambina in mezzo alla stanza; stava seduta su una sedia senza dire nulla, sul suo viso non c'era preoccupazione, bensì curiositá. Dondolava le gambe mentre gli occhietti dello stesso colore di quelli del padre fissavano incessantemente le quattro mura intorno a loro.

«Mamma!» saltó giù dalla seggiola in legno, convinta che quella che avesse davanti fosse sua madre Mia.
La corvina sussultó e lo stesso fece la bambina, quando arrivo a pochi metri da lei, fissandola senza capire la situazione.

«Tu non sei la mamma...» sibiló. Indietreggió dalla figura di Natasha, mentre questa si accovacciava di fronte a lei, invitandola a fare qualche passo avanti.
Notó i suoi occhi, uguali ai suoi e il viso, pallido, ma segnato da due gote rosse come una mela; i capelli color del fuoco le ricadevano spettinati lungo la schiena, mentre un fiocco celeste le spiccava sul retro della nuca.
La ragazza non potè che notare l'estrema somiglianza del viso con quello di Xavier, ma gli occhi erano quelli della famiglia Collins, azzurro come il mare.

«No piccola, mi dispiace...» in quella stanza dalla luce fioca entró anche Cinquedea. La corvina scattó in piedi, andando a coprire sua nipote.

«Dov'é mio marito?» disse a denti stretti, alzando un braccio e avvicinandosi sempre più alla bambina.

«Anche lui ha fatto la stessa domanda...» rispose, aggiungendo un falso sorriso alla fine della frase.
La piccola Youka si schiacciava contro il fianco della ragazza, che continuava a tenerla stretta a sé.
«Sarebbe stato tutto più facile se lei e suo marito non vi foste messi in mezzo. E lo stesso vale per i genitori di quella bambina...»

«Lasci stare Youka.» ringhió.

«Non farei male a uno scricciolo come quello...» sembrava serio, e ció fece rilassare impercettibilmente la corvina. «Sono anche io un padre.»

«Se anche lei è un padre, faccia un favore ai suoi genitori e la lasci tornare a casa!» sbraitó, allontanandosi un poco dalla bambina, dirigendosi verso Cinquedea.

«Non posso.» lui si allontanó, mentre l'Imperatrice veniva fermata da due servitori. Cinquedea le diede le spalle, camminando verso l'uscita.
Natasha non poteva fare nulla, si sentiva inutile, non era riuscita a proteggere sua sorella e la sua famiglia e adesso ne pagava le conseguenze.
Una lacrima minuscola le bagnó l'occhio e senza forse si lasció scivolare al freddo suolo sulle ginocchia, mentre il capo del Quinto Settore sbatteva la porta d'uscita.
Aveva paura e cominció a tremare, non era a conoscenza di cosa stesse succedendo a Axel e il pensiero che stesse male le contorse lo stomaco un una stretta atroce.
Serró le labbra per non singhiozzare, chiuse gli occhi per non lacrimare e lasció che l'urlo che voleva lanciare rimanesse compatto in gola.
Si porto le mani al ventre, ove i due gemellini riposavano e lo accarezzó, sperando che il dolore che stesse provando non lo provassero anche loro.

«Non piangere.» Youka si inginocchió di fronte a lei; la bruna alzó gli occhi e fissó quelli della bambina specchiandocisi dentro. La piccola le portó le mani minuscole e calde sulle guance cercando di placare l'attacco isterico dell'adulta.
«La mia mamma e il mio papà ci verranno a prendere, vedrai!» sorrise a trantadue denti e rimase per un momento a fissare quella bimba, stupita e malinconica allo stesso tempo.
«Loro sono forti e bravi!» si sedette di fianco alla sua inconsapevole zia, continuando a fissarla e a sorridere. «E poi ci sono io con te, quindi non essere triste!»
Sorrise flebilmente anche lei alla nipote e pensó che, sì, avesse preso l'aspetto dal padre, fiero e raffinato, ma il carattere, quello era tutto di sua madre.

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