Verità
Candele.
Ombre nella tenue oscurità.
Voci di uomini.
«Sapete tutti cosa dovete fare. Ora andate» disse qualcuno.
Gli interessati si allontanarono e si dispersero rapidamente.
Una porta venne aperta.
Giovanni entrò nella carrozza.
«Sei in ritardo» lo ammonì suo padre da fuori.
«Scusate. Non era mia intenzione».
«Ne sono convinto. Cocchiere, partite!».
Detto questo suo padre salì in un'altra carrozza insieme a sua moglie.
Il giovane sospirò.
Notò che sua sorella lo stava fissando.
Era molto bella.
Indossava un abito blu con ricami d'oro sulle maniche. I capelli erano raccolti in una treccia ornata con delle perline e arrotolata intorno a uno chignon.
«Sono sicura che sarà una bella serata» sorrise Angelica.
Lui non disse niente.
Da quando il giorno prima l'aveva sentita chiedere perdono per quello che stavano per fare, aveva cercato di evitarla in tutti i modi.
Si sentiva ferito, tradito, deluso.
«Ho sentito dire che la marchesa Giovanna di Bar permetterà ad alcune dame di vedere il suo prezioso diadema. Spero di essere tra le fortunate! Tra l'altro» continuò sua sorella cambiando discorso «sai che al ballo ci sarà anche Gian Galeazzo Visconti?».
Lui non rispose.
«Ho fatto qualcosa?».
Silenzio.
«Guardami Giovanni!».
Lui alzò il suo sguardo su di lei.
La vide deglutire e poi dire: «Se ti ho fatto qualcosa, non so cosa sia».
«Davvero non lo sai?» domandò stancamente.
«No, non lo so. Fino a ieri prima di cena andava tutto bene, poi...».
«Poi?».
«Poi non mi hai più rivolto la parola! Perché?».
«È così importante che parli con te?».
Un velo di tristezza si dipinse sul volto di Angelica.
Lui si voltò da un'altra parte.
Gli faceva male vederla triste, gli faceva male tutta quella situazione.
Strinse i pugni.
Una mano gli accarezzò una guancia.
Si girò e incontrò gli occhi di sua sorella.
«Perdonami. Qualunque cosa abbia fatto, perdonami» gli disse.
Giovanni scacciò la sua mano.
Gli veniva quasi da ridere.
Come poteva comportarsi in quel modo?
«Risparmiati le tue scuse, Angelica».
La carrozza si fermò e lui scese.
Aspettò che sua sorella facesse altrettanto e poi la prese sotto braccio dirigendosi all'entrata del palazzo di Teodoro II.
«Non mi aspetto che tu capisca. D'altro canto come potresti? In fondo io sono solo uno sbaglio» le sussurrò.
Lei lo guardò accigliata.
«Giovanni, tu hai...».
«Si, ti ho sentita».
«Non è...».
Il loro discorso fu interrotto dall'arrivo di Teodoro II con la moglie Giovanna di Bar.
«Marchese, marchesa» si inchinarono entrambi.
«I fratelli Fortebraccio! Qual magnifica visione» sorrise cordialmente la marchesa «Siete così belli, così aggraziati».
«Perdonate mia moglie. È sempre così quando vede persone più giovani e graziose di lei» spiegò Teodoro II.
«No, stavolta non è questo. Io penso che loro...».
Fu interrotta dall'entrata in scena di Gian Galeazzo Visconti.
I marchesi del Monferrato, quindi, si accomiatarono da loro e si diressero a omaggiare il loro protettore.
Giovanni si staccò da sua sorella.
«Dove vai?» gli domandò Angelica.
«Non ti riguarda».
«Non cacciarti nei guai!».
«So quel che faccio».
Si allontanò con passo rapido e raggiunse il suo amico Andrea.
«Come procede?» gli domandò.
«Tutto come previsto».
La sala da ballo si riempì rapidamente e ben presto la grande festa ebbe inizio.
Per l'occasione erano stati chiamati i migliori musicisti e cantori della penisola italica.
Dame e cavalieri volteggiavano al suono di armoniose melodie [1].
Tutti parevano felici e dimentichi delle fatiche e degli intrighi di ogni giorno.
Sembrava quasi che in quel momento le antiche inimicizie potessero dissolversi.
Giovanni si lasciò trascinare dall'allegria generale.
Come prevedeva il ballo, cambiò partner più volte.
In un certo qual modo era una cosa positiva visto che poteva conoscere belle fanciulle.
Tuttavia il suo cuore batteva solo per una persona.
Angelica danzava leggiadramente.
A un certo punto i loro occhi si incontrarono.
«È bellissima, non trovi?» affermò Guenda.
Lui distolse lo sguardo da sua sorella per rivolgere l'attenzione sulla sua nuova compagna di ballo.
Quest'ultima gli sorrise.
«Si, lo è» sussurrò.
«Dovresti dirglielo. Secondo me le farebbe piacere».
«Ci avrà già pensato Luca Guareschi».
«È vero, ma non è la stessa cosa. Penso che sarebbe più felice se glielo dicessi tu».
Giovanni guardò interrogativo Guenda.
Lei gli fece l'occhiolino.
Prima che potesse dire qualcosa, cambiò di nuovo partner e si ritrovò a ballare con Angelica.
Le loro dite si incrociarono.
Perché doveva proprio essersi innamorato di sua sorella?
Perché doveva soffrire così tanto?
«Giovanni...» lo chiamò lei.
La guardò.
Com'era bella.
«Sei bellissima» le disse senza rendersene conto.
Sua sorella arrossì.
«G-grazie».
Sorrise.
Poi vide Ruggero toccarsi il labbro con il mignolo.
Era il segnale.
A malincuore lasciò la mano di Angelica e si allontanò tra la folla raggiungendo il suo compagno di ventura.
A poco a poco i membri della Fratellanza, senza essere visti, si spostarono nel giardino del palazzo di Teodoro II.
Lì fuori vi erano due uomini: uno di essi era Facino Cane.
L'altro, invece, era un uomo di bassa statura dai capelli neri e gli occhi furbi.
«Non vincerete. Il mio padrone sa che il marchese vi ha assoldato per combatterlo e per questo si è preparato a dovere. Scoppierà una guerra e sarete voi a perdere» stava dicendo quest'ultimo.
«Per scoppiare una guerra deve essere prima dichiarata» rispose Facino Cane.
«Lo sarà a breve. Il mio padrone ha sufficienti ragioni per dichiararvi guerra».
«E quali, se posso permettermi».
«Campagne e villaggi bruciati e saccheggiati, comandanti uccisi... Vi dice niente tutto questo?».
«Certamente, ma qualsiasi compagnia di ventura potrebbe aver causato tutto ciò».
«Abbiamo dei testimoni che affermano il contrario».
«Ma davvero? E ditemi, quanto li avete pagati per farvi dire ciò che desideravate?».
«Così mi offendete, Facino».
«No, siete voi a offendere me».
«Bene, vedo che non desistete. Allora, temo che sarà guerra e la colpa ricadrà sul marchese».
«Sarà guerra si, ma la colpa ricadrà su Amedeo VIII».
Facino Cane estrasse il pugnale e con rapidità colpì al petto il suo avversario.
Gli altri membri della Fratellanza fecero altrettanto con gli scagnozzi di quest'ultimo, nascosti nell'ombra.
«Tutti sapranno che un sicario degli Acaja ha cercato di attentare alla vita del marchese del Monferrato» sorrise crudelmente il capitano di ventura estraendo l'arma del delitto dal corpo ormai esanime dell'uomo basso.
Gli assassini si avvicinarono al loro comandante.
«Ben fatto» affermò Teodoro II, nascosto dietro un cespuglio.
Poi si ferì a un braccio e si mise ad urlare.
I compagni di ventura si misero in posizione.
La gente, attirata dalle urla, uscì in giardino.
«Che cosa succede?» domandò un paggio andando in soccorso del suo signore.
«Hanno attentato alla mia vita! Gli uomini di Amedeo VIII hanno attentato alla mia vita!» esclamò il marchese.
«Un medico, presto!» ordinò Giovanna di Bar.
«Se non fosse stato per questi uomini» indicò Facino e gli altri della Fratellanza «probabilmente ora sarei morto».
«Amedeo VIII risponderà di questo. Svelti, portatelo dentro» comandò Gian Galeazzo Visconti.
«E voialtri rientrate nella sala. Non daremo soddisfazione agli assalitori del mio protetto di rovinare questa bella festa! Avanti, tutti a ballare!».
Detto questo il duca di Milano si avvicinò agli assassini e, allungando un sacco pieno di denaro, disse: «Ottimo lavoro».
Tutti poi, dopo la riuscita messa in scena, si incamminarono soddisfatti verso la sala da ballo.
*
La festa, come auspicato da Gian Galeazzo Visconti, era ripresa.
I musicisti avevano ricominciato a suonare e gli invitati conversavano amabilmente tra loro o ballavano.
Giovanni era appena rientrato quando una fanciulla gli venne incontro.
Era Lucia.
«Madonna» le disse facendo un inchino.
«Messere» sorrise lei.
«Siete magnifica».
«Come ogni dama presente in questa stanza».
«Vi state divertendo?».
«Adesso che vi ho incontrato si».
Gli si avvicinò e gli posò le mani sul petto.
Dal suo sguardo capì che cosa aveva in mente.
Ma, in fondo, Lucia aveva in mente sempre quello.
Senza sapere bene perché guardò oltre le suo spalle e vide Angelica che li osservava.
Quando i loro occhi si incrociarono, sua sorella girò subito la testa dall'altra parte.
Sembrava arrabbiata.
Arrabbiata e triste.
Perché?
La vide allontanarsi.
Si mosse per seguirla, ma Lucia lo trattenne.
«Non mi vorrete abbandonare proprio ora?».
«Ci sono molti uomini qui. Sono sicuro che non vi sentirete sola. Ora, se non vi dispiace, dovrei andare».
Detto questo si tuffò in mezzo alla folla.
Vide Angelica uscire dalla sala da ballo.
Cercò di starle dietro e di raggiungerla, ma era piuttosto difficile.
Si mise a correre.
Correva pure sua sorella.
«Vattene via!» gli urlò.
Che cosa le era preso?
Era lui che doveva essere arrabbiato, non lei.
Fece uno scatto in avanti e riuscì a entrare in una stanza prima che lei chiudesse la porta.
«Vattene Giovanni! Vattene da Lucia!» ripeté lei.
La vide passarsi le mani sugli occhi, mentre un singhiozzo la faceva sussultare completamente.
Lui aggrottò la fronte e coprì la distanza che li separava con una specie di salto: le si avventò praticamente addosso e le afferrò i polsi, allontanandoglieli dal volto con uno strattone.
Angelica emise un gemito, un gemito che rimase a metà.
Non gli importava se era sbagliato.
Non gli importava se lei era sua sorella.
Non gli importava quello che avrebbero potuto dire gli altri.
In quel momento Giovanni aveva definitivamente deciso di smettere di trattenersi.
Le sollevò il viso con entrambe le mani e premette le labbra sulle sue.
Per un attimo sparì tutto.
Sembrava che il tempo si fosse fermato all'improvviso.
Per quell'unico, singolo attimo, tutto sparì, tranne quell'unico contatto. Solo un contatto.
Invadente, ma esitante.
Assolutamente perfetto.
Poi la ragione lo fece risvegliare.
Cosa stava facendo?
Cosa stavano facendo?
Si allontanò.
Angelica stava piangendo.
«Perdonami» le sussurrò.
«Io... Io non ho resistito...».
Sua sorella si toccò le labbra con un dito.
«Noi... non dovremmo... Però... Questo è...» tentò di dire.
«Sbagliato?» concluse Giovanni per lei. «L'hai detto anche ieri sera».
Chinò la testa.
«Giusto» sorrise Angelica.
Lui alzò il suo sguardo su di lei, stupito.
«L'unica persona con cui mi sento veramente al sicuro e con cui condividerei il resto della mia vita sei tu, Giovanni. Non dovrei provare queste cose per te, per mio fratello. Però, non posso farci niente, io sto bene e mi sento completa solo quando sei con me. Sai dirmi perché un sentimento così naturale e giusto sia... Sia...».
Lui la abbracciò.
Anche lei provava le sue stesse cose.
Anche lei.
Allora perché la sera precedente aveva pronunciato quelle parole?
«Ieri...».
«Ciò che ho detto non era riferito a te. Era riferito a me. Ho avuto una discussione con nostro padre».
Si sentì sollevato per quella rivelazione.
Aveva frainteso tutto.
Avrebbe voluto chiederle il motivo della discussione, ma non voleva rovinare quel magico momento.
La strinse forte a sé e la baciò di nuovo.
Sorrisero entrambi.
Angelica appoggiò la testa sul suo petto e bisbigliò: «Vorrei rimanere così per sempre».
«Anch'io».
Le accarezzò una guancia.
Si sentiva felice. Felice come non lo era mai stato.
Forse era questo l'amore.
Guardò fuori dalla finestra.
La luna era alta nel cielo stellato.
«Andiamo a casa» disse.
[1] Per chi interessa, questo è il link della musica:
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top