Una vittoria infelice

Tre candele illuminavano il volto pallido del comandante della fortezza.

Questo, seduto davanti a una piccola scrivania, leggeva con rabbia un foglio.

«No,no,no,no» continuava a mormorare portandosi le mani nei capelli.

«Signore» lo chiamò garbatamente il monaco.

«Che c'è? Non vedete che sono occupato?».

«Perdonatemi, ma sono venuto a conoscenza di un fatto che potrebbe essere di vostro interesse».

«Allora parlate su, non ho tempo da perdere».

«Qualcuno sta progettando di uccidervi».

Il comandante spostò il suo sguardo dal foglio al monaco, poi con stizza disse: «E immagino che voi non sappiate di chi si tratta».

«Temo di no».

«Allora non è di mio interesse. Potete andare».

L'uomo tirò su il cappuccio del saio, fece un lieve inchino di commiato e si avviò verso la porta.

Quando passò vicino al punto in cui si era nascosto Giovanni fece un segno di croce con la mano e poi uscì.

Il monaco aveva forse intuito qualcosa?

Non aveva importanza. Ora doveva concentrarsi solo sulla missione.

Prima di entrare aveva notato che non c'erano guardie nelle vicinanze. Probabilmente il comandante si sentiva al sicuro in casa propria. Non poteva esserci cosa migliore.

Giovanni scattò repentinamente e prima che il comandante potesse fare qualsiasi cosa gli puntò il pugnale alla gola.

L'uomo sussultò per la sorpresa.

«Non uccidetemi, ve ne prego. Ho famiglia e la loro sopravvivenza dipende da me».

«Non temete, non vi farò alcun male se farete come vi dirò».

Mentre diceva al comandante quello che doveva fare arrivarono Andrea e Ruggero.

«La solita fortuna sfacciata!» esclamò quest'ultimo.

«Anche quella serve».

«Certo, però sarebbe bello se toccasse anche noi non solo te».

«Non è il momento di parlare di queste cose. Pensiamo a completare la missione» li rimproverò Andrea.

La mattina seguente la fortezza era liberata dalle truppe degli Acaja.

Il comandante aveva fatto tutto quello che i tre compagni di ventura gli avevano detto: aveva fatto sgomberare i suoi uomini dicendo loro che erano disposizioni di Amedeo VIII e poi lui stesso se n'era andato. Su consiglio degli assassini si era diretto nel suo paese a prendere la moglie e i figli e insieme a loro era fuggito da qualche parte. Un tradimento, benché sotto la lama di un coltello, restava pur sempre un tradimento e non si poteva dubitare di una punizione.

Giovanni, Andrea e Ruggero cavalcarono per tutto il giorno e nel tardo pomeriggio arrivarono a Casale. Si diressero subito alla gilda dove trovarono ad attenderli Facino Cane e Federico II di Saluzzo.

«Ben fatto» sorrise il primo.

Il conte allungò a ciascuno di loro un sacco pieno di monete.

«Le storie sull'efficienza della Fratellanza, a quanto vedo, sono vere. Molto bene, ora posso confermare la mia alleanza a Teodoro» disse.

«Se mi permettete, vi consiglierei di mandare i vostri uomini a difendere la fortezza. Non ci vorrà molto prima che Amedeo VIII scopra tutto e mandi le sue truppe a riconquistarla» gli suggerì Giovanni.

Federico sorrise. «I miei uomini, a quest'ora, avranno già occupato la fortezza. Non lascio mai nulla al caso».

Notevole, quell'uomo aveva già predisposto tutto.

Facino Cane li congedò e disse loro che potevano andare a casa o dovunque volessero.

Giovanni non aveva dubbi su dove volesse andare.

Si incamminò in fretta verso casa.

«Siete veloce» lo lodò una voce alle sue spalle.

Era il conte di Saluzzo.

«È un problema se faccio un pezzo di strada con voi?» domandò quest'ultimo.

«La strada è di tutti. Potete fare quello che volete».

«Facino mi ha detto che siete uno tra i suoi uomini migliori».

Giovanni non poté non sorridere. Raramente il suo capitano lodava qualcuno e il fatto che avesse parlato bene di lui al conte lo rese felice.

«E, a quanto ho visto, diceva la verità».

«Lui non mente mai».

«Su questo non ci conterei».

«Che cosa volete dire?».

«Che il capo di una compagnia di ventura non può mai essere completamente sincero. Ma suvvia, non pensiamo a questo. Oh, io devo andare da questa parte. Non dubito che ci rivedremo presto, ormai sei uno di famiglia».

Di famiglia?

«Che cosa intendete?» gridò all'uomo che ormai si era già allontanato.

Un triste pensiero si formò nella sua mente.

Si mise a correre.

"No, non può essere".

Corse con tutte le forze che aveva come se da ciò ne andasse della sua vita.

Arrivato a casa andò quasi a sbattere contro alcuni servi.

Si scusò e poi si diresse nello studiolo di suo padre.

Quest'ultimo era seduto dinanzi a uno scrittoio ed era intento a firmare delle carte.

«Non voglio sposarmi, padre! Ve l'ho ripetuto innumerevoli volte!» gli urlò.

«Sposarti? E perché mai dovresti?».

Il giovane rimase accigliato.

«Non volete farmi sposare alla figlia del conte di Saluzzo?».

«Certo che no. È più importante e remunerativo averti come membro della Fratellanza che non farti maritare».

«Allora perché il conte mi ha detto che 'sono uno di famiglia?'».

«Perché lo diventerai. Tua sorella sposerà il figlio cadetto di Federico».

A Giovanni sembrò che il mondo gli fosse caduto addosso.

Non poteva essere vero, non poteva.

«È troppo giovane...» riuscì solo a dire.

«Non direi. Normalmente ci si sposa intorno ai tredici o quattordici anni».

«Ma perché? Non c'è bisogno che lei si sposi!».

«Invece si. Gian Giacomo, pur essendo il secondogenito, possiede notevoli ricchezze nonché solidi contatti con i più importanti banchieri e mercanti di Venezia. Capisci anche tu che il matrimonio è nel nostro interesse».

«Volete quindi vendere Angelica per qualche sbocco commerciale?».

Suo padre si alzò bruscamente dalla sedia.

«Non intendo discutere con te di queste cose. Le cose stanno così che a te o a tua sorella vada bene o no! E adesso vattene che devo lavorare!».

Giovanni lo guardò con astio e poi uscì sbattendo violentemente la porta.

Sembrava che tutto stesse andando per il meglio, invece ora non era più così.

Angelica, la sua Angelica, sposata a un uomo. Un uomo che non era lui.

Se lo avesse saputo non avrebbe mai liberato la fortezza per Federico di Saluzzo, mai.

Stava tutto andando a rotoli per colpa sua e di suo padre.

Aprì con foga la porta della stanza di sua sorella.

Lei era china sul letto e stava piangendo.

Appena lo vide cercò di coprirsi il volto con le mani.

Lui gliele prese e la baciò con passione.

«Non puoi... Non puoi sposarti» le disse reprimendo le lacrime.

«Oh Giovanni, ho provato a convincere nostro padre, ma non c'è stato verso» disse lei tra i singhiozzi.

«È per questo che hai litigato con lui?».

«Si, è per questo. Quando mi ha parlato delle sue intenzioni, mi sono arrabbiata molto e gli ho detto delle parole terribili. Forse sono egoista, ma io non voglio sposare nessuno. Nessuno che non sia tu!».

Giovanni la strinse forte a sé.

«Ci deve pur essere una soluzione».

Angelica tristemente scosse la testa.

Lui nascose la sua testa tra le sue spalle. Questa volta non riuscì a reprimere le lacrime.

Non potevano dividerli.

Non voleva che accadesse.

Doveva fare qualcosa.

Era vero, erano fratelli ma si amavano. Si amavano davvero.

Non poteva finire tutto così. No.

In fondo spes ultima dea.

La speranza è l'ultima a morire.



ANGOLO AUTRICE.

Questa sono due link di alcune immagine di Giovanni e Angelica (fate finta che i capelli della fanciulla siano castani e non biondi...xD):

https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/236x/62/9e/fd/629efddcad9e974db4db8da73850ead2.jpg

http://i39.tinypic.com/fko08y.jpg





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