Una scomparsa improvvisa

Due settimane erano ormai trascorse dalla festa di fidanzamento tra Angelica e Gian Giacomo.

La vita procedeva tranquillamente – o per lo meno come ci si aspettava che procedesse – a Casale Monferrato. Ognuno svolgeva, come al solito, le sue occupazioni.

Bruto, dopo aver scontato la sua punizione, era stato riammesso nella Fratellanza. Poteva non essere il migliore tra le persone, ma non si poteva negare che fosse un ottimo assassino. E Facino Cane aveva bisogno di uomini come lui, soprattutto in quel momento dato che era in corso la guerra tra Teodoro II e Amedeo VIII.

Il lavoro era molto e un ricco guadagno garantito.

Per il momento la compagnia di ventura si limitava ad alcune sortite, ma nessuno dubitava che presto avrebbero ricevuto compiti più importanti.

Giovanni, Andrea e Ruggero stavano proprio tornando da una di quelle missioni, quando nella piazza centrale arrivarono il conte Federico e i suoi uomini scuri in volto.

Ben presto si formò una piccola folla intorno a loro, spinta un po' dalla curiosità un po' dalle spade puntate contro la schiena.

«Canaglie che non siete altro! Chi è stato? Chi di voi è stato?» tuonò Federico di Saluzzo.

«Chi è stato a fare cosa?» chiese un'anima coraggiosa.

«Mio figlio Gian Giacomo è scomparso! Questa mattina è andato a caccia e non è più tornato. Gli uomini che erano con lui dicono che è sparito all'improvviso. Pensano a qualche stregoneria, ma io non credo che sia così. Io credo che qualcuno di voi canaglie abbia fatto qualcosa».

La folla cominciò a rumoreggiare, indignata.

«Chi sarebbe così pazzo da rapire il figlio del conte? Andiamo, quello è capace di sguinzagliarti un intero esercito addosso» notò, con una lieve punta di ironia, Ruggero.

Ad Andrea non sfuggì lo strano sorriso di Giovanni.

«Sarà caduto in qualche dirupo» disse Bruto alle loro spalle. «Questi nobili da strapazzo non sono in grado di vedere un palmo dal loro naso».

«Questa volta sono d'accordo con te!» rise il giovane Fortebraccio.

«Vedo che non sei particolarmente scosso per la sparizione del fidanzato di tua sorella» notò Andrea.

«Che vuoi che ti dica. Non lo conoscevo bene. Sarà per questo».

«E perché cos'altro dovrebbe essere?» gli batté sulla spalla Bruto, ironicamente.

Poco a poco la folla cominciò a disperdersi. Gli uomini del conte furono mandati a pattugliare la zona circostante e con loro furono costretti ad andare anche i membri della Fratellanza.

Facino Cane non era per niente contento: i suoi uomini avevano faccende più importanti da sbrigare, tuttavia non poteva rifiutare il suo aiuto a Federico di Saluzzo.

Dopo tre giorni di intense ricerche, tutti fecero ritorno a casa.

Quando Giovanni entrò, subito suo padre gli corse incontro gridando: «Allora? Allora?».

«Niente, non si trova».

«Accidenti, accidenti. I miei affari rovinati da un cretino che non è neanche capace ad andare a caccia. Accidenti!».

«Il contratto è comunque stato stipulato, per cui non dovreste rimetterci tanto, padre».

L'uomo scosse la testa, arrabbiato. «No, no. Non sono sposati, capisci? Perché il contratto sia vincolante dovrebbero essere maritati e invece... Accidenti! Non poteva sparire dopo il matrimonio, quel cretino?».

Una voce alle loro spalle richiamò la loro attenzione: era la signora madre.

«C'è qui il conte. Vuole parlarti» disse rivolgendosi a suo padre.

Quest'ultimo si sistemò e si avviò tranquillamente nella sala in cui lo aspettava Federico di Saluzzo.

Giovanni ne approfittò per allontanarsi e raggiungere sua sorella.

«Non sei stato tu, vero?» gli corse incontro Angelica vedendolo entrare nella sua stanza.

«No, io non c'entro. Ricordi? Ero in missione quando è scomparso».

«Non mi stai mentendo?».

«Non ti fidi di me?».

«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda».

Lui si avvicinò lentamente a lei, le sollevò il mento con la mano e sorridendo disse: «Te lo giuro sul mio onore, non sono stato io».

Angelica rise divertita. «L'onore di un membro della Fratellanza...».

«Potrei offendermi».

Lei gli fece una linguaccia.

Lui, ridendo, la attirò a sé e la baciò con passione.

«Ti credo» affermò lei dopo un po', sdraiandosi sul letto.

«Ti dispiace che Gian Giacomo sia sparito?» domandò sistemandosi accanto a sua sorella.

«So che non dovrei parlare in questo modo, ma no. Non mi dispiace».

«Neanche a me».

Fuori da casa Fortebraccio, un cane vagava per le vie di Casale in cerca di cibo. Si incamminò su per una stretta stradina dove si trovavano le latrine. Annusò tutto intorno fino a quando sentì un forte odore. Seguì la pista e poi lo vide. Appoggiato al muro, con la testa ciondolante da un lato e il petto squarciato, c'era il cadavere di un uomo.

Aveva fame, ma la carne in putrefazione lo fece allontanare. Avrebbe dovuto trovarsi qualcos'altro da mangiare. Avrebbe dovuto, se fosse stato un uomo, andare dal conte di Saluzzo e dirgli di aver trovato suo figlio Gian Giacomo.


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