Sentimenti inespressi
La luce del sole filtrava dalle finestre illuminando un grande ritratto.
Era stato concluso solo pochi giorni prima e ora si trovava ad adornare una parete del palazzo dei mercanti Fortebraccio.
Giovanni lo fissava pensieroso.
«È magnifico, non trovi?» disse una voce alle sue spalle che riconobbe essere quella di suo padre.
«Si. Il Pincio ha fatto un ottimo lavoro».
«Davvero. Ha davvero superato se stesso questa volta. E meno male, considerando tutto quello che lo abbiamo pagato».
«Ne è valsa la pena».
«Certo. Mancava un ritratto di te e Angelica».
«Siete ironico, padre?».
«No, mi hai frainteso. Intendevo dire che era da molto tempo che non posavate più insieme per un ritratto».
«Avete ragione».
«Siete cresciuti. Siete sbocciati come un fiore in primavera. Avete molti spasimanti, sai?».
Giovanni non poté fare a meno di sorridere.
«Sono molte le persone che sarebbero felici di contrarre matrimonio con...» continuò suo padre.
«Non avrete intenzione di farci sposare? È troppo presto, soprattutto per Angelica».
Il giovane si accorse di essersi quasi messo ad urlare.
«No, non è mia intenzione. Era solo un'osservazione. Non temere Giovanni».
Padre e figlio si guardarono, entrambi per cercare conferma di qualcosa.
«A proposito, mi aspetto che tu faccia bella figura domani sera. Al ballo organizzato da Teodoro II ci saranno molte persone influenti, molti nobili snob pronti a sfruttare ogni minima occasione per distruggerci».
«Non temete padre, non vi deluderò».
Detto questo, Giovanni si incamminò verso il piccolo cortile interno del palazzo.
Solitamente non ci andava mai nessuno e lui aveva bisogno di stare da solo.
Aveva bisogno di pensare.
Da quando era tornato – circa due settimane prima – aveva passato tutto il suo tempo libero con Angelica. Un po' perché dovevano posare per il Pincio, un po' perché voleva recuperare il tempo perduto durante la missione che l'aveva portato via da Casale per quasi un mese.
«Vedo qualcuno camminare con la testa tra le nuvole!» esclamò l'inconfondibile voce di sua sorella.
Lui si girò e se la trovò davanti.
«Cos'è? Volevi farmi un agguato?» le domandò in tono scherzoso.
«Può darsi».
«Ah, è così? Allora vedi adesso che succede!».
Incominciarono a correre, ridendo.
«Non mi prenderai, Giovanni!».
«Non esserne troppo sicura».
I servi li guardarono divertiti mentre passavano correndo lungo i corridoi.
Giunti al piccolo cortile interno, il giovane – con uno scatto da maestro – riuscì ad afferrare Angelica.
«Ti ho preso» le sussurrò.
«Uh, ma che abile inseguitore sei!» sorrise lei, posandogli una mano sul petto.
«Il migliore» le disse lui sfiorandole il naso con il suo.
Sua sorella lo fissò sorridendo e, piano piano, annullò la distanza tra loro e... Lo trascinò a terra.
«Mmm, era questo il tuo piano? Farmi cadere?».
«Geniale, vero?» rise divertita la fanciulla.
«Oh si, Angelica. Peccato che hai fatto male i tuoi conti. Io sono sopra di te, per cui posso farti quello che voglio» le bisbigliò all'orecchio.
La sentì sussultare.
Sorrise.
Le afferrò i polsi per impedirle di muoversi.
«Sei sleale» gli disse lei.
«Tutto è lecito in guerra e in amore».
«E noi cosa siamo, in guerra o in amore?».
Giovanni si bloccò.
Perché?
Perché gli aveva fatto quella domanda?
Perché lo sconvolgeva tanto?
Era una domanda stupida: non gli aveva mica chiesto se provasse qualcosa per lei.
Lì sarebbe stato più difficile rispondere.
Ma adesso...
Si accorse, in quel momento, che i loro corpi erano a stretto contatto.
Angelica era sotto di lui.
Il suo corpo era così meravigliosamente sotto il suo, così meravigliosamente pronto in qualche modo inquietante e misterioso. Lei era così morbida, tenera, tiepida e leggera. Dolce.
La cosa era quasi comica.
«Ma che domande! In amore, ovviamente!» si decise a rispondere.
Sua sorella alzò leggermente il capo e gli diede un bacio vicino all'angolo della bocca.
I battiti del suo cuore cominciarono ad aumentare.
Senza neanche rendersene conto, Giovanni si sporse in avanti, tenendo i polsi di Angelica con una mano sola ed afferrandole – alzandole lievemente il vestito – una gamba con l'altra, tirandole su il ginocchio.
Quelle anche sembravano combaciare con le proprie, l'osso del bacino perfettamente complementare con il suo.
Cosa stava facendo?
Non poteva pensare davvero...
«Giovanni...» disse piano sua sorella.
Le sue gote erano lievemente colorate di rosso.
Quanto adorava quando arrossiva.
Era così bella.
Perso nei suoi pensieri, si accorse solo in quel momento che Angelica aveva liberato i polsi dalle sue mani.
"Ora mi allontanerà" pensò con un nodo allo stomaco.
Ma lei non lo fece.
Anzi, gli mise le mani intorno al collo e avvicinò ancora di più il viso al suo.
Erano vicinissimi, poteva percepire il suo respiro.
Sentiva il suo cuore battere e anche qualcos'altro.
Doveva alzarsi.
Era sua sorella.
Doveva alzarsi.
Ma non voleva.
Le sue labbra erano sempre più vicine a quelle di lei.
Don, don.
Suonarono le campane.
Come risvegliatisi da un incantesimo, i due fratelli si alzarono immediatamente, imbarazzati.
"Maledette campane!" si ritrovò a pensare Giovanni.
Ma, forse, le cose dovevano andare così.
Ma lui non voleva andassero in quel modo.
E gli era sembrato che nemmeno Angelica volesse.
Forse anche lei provava le stesse cose che provava lui.
«Giovanni» sussurrò sua sorella, ancora con le guance rosse.
«Dimmi».
«T-ti va di ballare con me? Nostro padre ha paura che tu abbia dimenticato come si fa e, in verità, lo penso anch'io. Non sei mai stato un gran ballerino».
«A davvero? Vediamo se avete ragione o torto».
Giovanni fece un inchino e prese la mano di sua sorella.
Cominciarono a danzare.
Era incredibile che poco dopo quello che era successo, o meglio che non era successo, stessero ballando.
«Allora, come sto andando?».
«Incredibilmente bene. Sono fiera di te».
«Visto? Sono o non sono il migliore?».
Angelica rise.
Giovanni la fece volteggiare e poi la avvicinò a sé, intrecciando le mani con le sue.
Erano di nuovo vicinissimi.
Ma nel ballo era normale.
Sua sorella l'aveva forse fatto apposta? Aveva proposto di danzare per quel motivo?
Sarebbe stato bello se fosse stato così.
«Oh bene, vedo che vi state esercitando!» esclamò una voce.
«Signora madre» annuirono i due.
«Sono sicura che sarete fantastici domani sera! Comunque, mi spiace interrompere le vostre prove, ma Angelica devi venire con me. Tuo padre vuole vederti».
«Va bene signora madre».
«Ah, Giovanni. C'è il tuo amico Andrea che ti aspetta fuori. Ha detto che deve parlarti urgentemente».
«Allora adesso vado».
Tutti e tre si incamminarono lungo il corridoio.
«Ci vediamo dopo» disse il giovane Fortebraccio scendendo le scale.
«Non fare tardi!».
«No, signora madre».
Prima di uscire si voltò e vide che sua sorella lo stava guardando.
Le sorrise.
Forse non tutto era perduto.
*
Giovanni trovò Andrea ad attenderlo davanti alla porta.
Non poté non notare il suo sguardo abbattuto.
«Che cosa succede?» gli domandò.
«Andiamo alla taverna. Ti spiegherò tutto lì».
I due giovani si incamminarono in silenzio lungo le vie di Casale.
Le strade erano affollate come sempre, ma in quei giorni in particolar modo.
Il ballo organizzato da Teodoro II era un evento importante e doveva essere preparato nei minimi dettagli.
Svoltarono a sinistra e giunsero dinnanzi a un massiccio edificio in legno con un'insegna a forma di corvo.
Il Settimo Corvo era una delle più rinomate taverne del luogo ed era anche la preferita dai membri della Fratellanza tanto che la si poteva considerare quasi un loro secondo quartier generale.
Sulla porta d'ingresso vi erano incise le seguenti parole:
Avete fame? Potrete mangiare.
Avete sete? Potrete bere;
avete freddo? Vi riscalderete;
avete caldo? Vi rinfrescherete.
Nelle taverne, per farla breve,
troverete da mangiare e da bere,
pane, vino, fuoco e buon riposo,
rimestare di bottiglie e di boccali,
di tazze d'argento e vasellame,
e chi se ne va, barcolla,
e a volte ci si sente tanto felici
che le lacrime salgono agli occhi
più grandi di semi di pere.
Ma, infatti, non è altro che bere!
Giovanni e Andrea si sedettero in un tavolino in fondo alla sala.
L'oste portò loro, come sempre, il miglior vino della casa.
Il giovane de' Pozzo si scolò due bicchieri in meno di un minuto.
«Che cosa è successo?» chiese di nuovo Giovanni.
Andrea si versò dell'altro vino e poi disse: «Rosalina... Rosalina mi ha tradito!».
«Non può essere vero».
«Invece lo è! Me l'ha confermato lei stessa!».
In effetti, quando era tornato dalla missione, aveva sentito delle voci al riguardo, ma non ci aveva dato molto peso sapendo che la fanciulla era innamorata del suo amico.
«È stata con Bruto, quella puttana! E poi con Amedeo, Giuliano e il conte Fiesole!».
Giovanni aprì la bocca shockato.
Rosalina non gli era mai sembrata quel tipo di persona che andava a letto con tutti.
Quel tipo di persona come Lucia, per intenderci.
«E io che la volevo sposare! Sono un idiota, un vero idiota!».
«Non dolerti per lei. Non ti merita. Anzi, sai che ti dico? È stato meglio che tu abbia scoperto adesso come è veramente che...».
«Ma io l'amo! Nonostante tutto l'amo!».
Giovanni guardò mesto il suo amico.
Poteva percepire la sua sofferenza anche solo guardandolo negli occhi.
Gli mise una mano sulla spalla e gli disse: «Lo so. Lo so. Ma, per il tuo bene, è meglio che ti dimentichi di lei».
«Come puoi dirmi una cosa simile? Non è così facile!» sbatté con forza il bicchiere sul tavolo.
«È facile per te parlare, Giovanni. Tu non sei mai stato innamorato. Non puoi sapere come ci si sente».
«E invece lo so benissimo!».
Strinse i pugni.
Andrea lo guardò quasi sorpreso.
«Non me lo avevi mai detto...» sussurrò.
«Perché il mio è un amore impossibile. E fa male, molto male. Non puoi capire».
«Aiutami a capire».
La situazione era quasi comica: ora era Andrea che cercava di consolarlo.
«Va bene così, amico mio».
«Se un giorno vorrai parlarmene, io ci sarò».
«Grazie».
Giovanni diede una pacca amichevole sulla spalla del giovane de' Pozzo e poi esclamò: «Smettiamola di fare i sentimentali! Non si addice a due uomini come noi!».
Scoppiarono a ridere.
Al calar del sole uscirono dalla taverna.
Ad Andrea sembrava essere tornato il buon umore. Sembrava aver capito che doveva guardare avanti e dimenticare Rosalina.
«Dille quello che provi, Giovanni» se ne uscì ad un certo punto il suo compagno di scorribande.
Giovanni lo guardò accigliato e poi gli domandò: «Come fai a sapere che non glielo ho già detto?».
«Perché ti conosco troppo bene».
Detto questo, Andrea gli fece un cenno di saluto e si allontanò barcollando.
"Forse ha ragione. Forse dovrei dire ad Angelica quello che provo".
Ripensò a tutti i momenti passati insieme a sua sorella.
Ripensò a quello che stava per succedere solo poche ore prima.
Se le avesse detto quello che provava sarebbe cambiato tutto.
Però non poteva più tenersi nel cuore quello che sentiva.
Doveva dirglielo.
Doveva.
Arrivato a casa si diresse risoluto verso la stanza di Angelica prima di cambiare idea.
La porta era aperta.
Stava per entrare quando sentì sua sorella dire: «Perdonami Signore. Quello che ho fatto è sbagliato. Ma non succederà più. Non può succedere, non deve succedere. È sbagliato, sbagliato».
Stava parlando di lui.
Stava parlando della loro 'relazione'.
Era stato uno sciocco a credere che lei potesse provare per lui le stesse cose.
Si mise una mano sul volto.
"Sono un idiota".
Si allontanò in silenzio con il cuore a pezzi.
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