Rinaldo
Il sole era alto nel cielo e i suoi raggi illuminavano le corolle dei fiori.
Non si udiva alcun rumore, eccetto il trotto dei cavalli della Fratellanza.
Questi ultimi cavalcavano ormai da una settimana per raggiungere l'abbazia in cui si trovava Rinaldo, un giovane orfano allevato dai monaci, in quanto il committente, un grasso signore dallo sguardo bonario, si era presentato alla Gilda come il nonno del ragazzo e, in quanto tale, lo rivoleva con sé. Essendo un uomo facoltoso e molto ricco, Facino Cane aveva accettato l'incarico e aveva subito organizzato una spedizione capitanata da Antonio Balestrazzo.
La compagnia di ventura attraversò campi d'erba dal colore smorto, punteggiati di trigonella, di poligala celeste e di spighe cremisi di orchidee prima di giungere finalmente all'abbazia.
Antonio Balestrazzo era un omone barbuto con un principio di calvizie e gesti misurati e risoluti. Non appena l'abate venne ad accoglierli, fece un rispettoso inchino e comunicò il messaggio di cui era latore con la fredda determinazione di chi svolgeva il proprio incarico senza assumersi alcuna responsabilità.
Forse era proprio per questo motivo che Facino l'aveva scelto, pensò Giovanni scendendo da cavallo.
«Padre, il signor Vialardi di Villanova vi porge per mezzo mio e dei miei uomini i suoi più devoti omaggi e vi prega di rimandargli suo nipote Rinaldo perché abbia a occupare il proprio legittimo posto di signore di Villanova quale successore di suo padre» disse sorridendo Antonio.
L'abate fissò tutti loro con viso impassibile.
«Il signor Vialardi ritiene di essere la persona più adatta per avere cura di lui, adesso che sta per entrare in possesso della propria eredità» continuò Giovanni visto il silenzio dell'uomo di chiesa.
«Credo di non poter soddisfare la vostra richiesta» affermò dopo un po' l'abate. «Il ragazzo mi è stato affidato tempo addietro dal padre ed era suo desiderio che Rinaldo venisse convenientemente istruito perché potesse amministrare bene le proprie terre quando le avesse ereditate. E io intendo assolvere il compito che mi sono assunto. Rinaldo resterà qui finché non avrà l'età per controllare i propri affari. Fino ad allora, ne sono certo, il signor Vialardi farà fruttare al meglio le sue terre».
«Certamente, padre» rispose Antonio con maggior calore di quanto ne avesse mostrato nel riferire il messaggio che gli era stato affidato.
«Vedo che capite» sorrise furbamente l'abate. «Dunque noi potremo continuare qui a cuor sereno e aver cura dell'istruzione e del benessere del giovane Rinaldo come farete voi con la sua proprietà».
«E quale risposta dovrò portare al signor Vialardi?» domandò Balestrazzo, senza dar segno di alcun disappunto o riluttanza.
«Ditegli che gli mando i miei rispettosi saluti in Cristo e che Rinaldo è stato affidato a me fino alla sua maggiore età e io rispetterò il volere di suo padre» sottolineò con una lieve enfasi ammonitrice.
Antonio sospirò e poi estrasse una lunga spada affilata, subito imitato da tutti i suoi uomini.
«Mi rincresce immensamente dover ricorrere a tali mezzi, ma non mi lasciate altra scelta» affermò risoluto.
L'abate lo fissò indignato. «Volete macchiare di sangue un luogo sacro? Volete infierire su un uomo disarmato?».
«Non voglio fare nessuna delle due cose, ma se non sarete ragionevole, temo che non potrò tirarmi indietro».
I monaci si riunirono attorno al loro superiore e incominciarono a discutere.
Giovanni non aveva dubbi su come sarebbe finita e infatti, poco dopo, uno dei sottoposti arrivò con un bambino di dieci anni dai capelli color del grano.
L'abate si chinò e benedisse il fanciullo e poi lo consegnò alla compagnia di ventura.
«Il Signore non dimenticherà» disse con disappunto.
«Vi ringrazio per la collaborazione» si accomiatò Antonio, accennando un sorriso.
Rinaldo fu fatto salire a cavallo insieme a Giovanni e fu portato dal nonno come richiesto.
La ricompensa fu minore del previsto, ma bastante a sufficienza per sfamare per tre settimane più di venti persone.
Quando la Fratellanza tornò a Casale era ormai notte. Tutti erano nelle loro case e, a parte qualche cane o ubriaco che barcollava per le vie, non si vedeva nessuno.
Giovanni salutò i compagni e tornò a casa, decidendo di non andare a festeggiare la missione compiuta a Il Settimo Corvo.
Appena entrò in camera, qualcuno gli buttò le braccia al collo. Capì subito di chi si trattava e, senza esitazione, spinse delicatamente quella persona sul letto baciandola con dolcezza.
«Non potevo desiderare un'accoglienza migliore» sorrise.
Angelica rise e gli accarezzò una guancia.
«Credo, però, che ora dovresti andartene. Altrimenti non penso che riuscirò a controllarmi».
«Beh, non farlo».
Giovanni la guardò accigliato, ma anche divertito. «Ho sentito bene?».
«Hai sentito benissimo».
«Ci potrebbero sentire».
«Dormono tutti e poi le camere dei nostri genitori sono lontane».
Lui sorrise e la baciò con passione.
Quella notte i due fratelli consumarono il loro amore. Quella notte fu l'ultima notte che Rinaldo rimase un bambino. Quella notte una persona aveva pronta la prossima mossa.
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