Partenza

Notte.

In casa Fortebraccio regnava il silenzio.

Giovanni si girava e rigirava nel letto, cercando di prendere sonno.

Ma Morfeo proprio non si decideva ad arrivare.

Sbuffò.

Qualcuno bussò alla porta della sua camera.

Non rispose.

La porta si aprì leggermente.

Giovanni portò la mano sul pugnale che teneva sempre con sé, anche quando andava a letto.

Non si era mai troppo sicuri.

Una figura avanzò nell'ombra.

Il giovane le fu subito addosso.

"Mai lasciare del tempo a un nemico perchè lui non ne lascerà a te".

Questo era ciò che aveva appreso alla Gilda degli Assassini.

Puntò il pugnale alla gola dello sconosciuto.

Poi si fermò.

«A-angelica?».

«S-si. Sono io, stupido!».

«S-scusami. Credevo fossi...».

«Non importa. Se non altro non mi hai ucciso. Anche se c'è mancato poco».

«Non era mia intenzione».

«G-giovanni...» sussurrò sua sorella.

«Si?».

«Potresti... Potresti togliere la mano d-da... da lì?».

Il giovane seguì lo sguardo di Angelica.

Arrossì.

Aveva messo la mano su un suo seno.

«Giovanni...».

«S-si?» rispose con voce un po' roca.

Sentì aumentare i battiti del cuore di sua sorella.

O forse erano i suoi.

«L-la mano...».

«Oh, si certo, la mano. Scusa».

Il ragazzo si alzò.

Sua sorella fece lo stesso.

"Accidenti" pensò Giovanni guardando in basso.

"Ehi amico, non puoi farmi questo. Non ora. Speriamo che lei non se ne sia accorta".

Sospirò.

Accese una candela.

«Posso passare la notte qua?» domandò tutto d'un fiato Angelica.

Il cuore del giovane quasi esplose.

«Allora, posso?».

Giovanni scoppiò a ridere.

«Cosa c'è di divertente?».

«Tutto».

«Eh?».

«É una frase ambigua, sai?».

«Ambigua? Che intendi?».

Sul viso di Giovanni si delineò un sorriso sghembo.

«Oh...» sussurrò Angelica, nascondendosi il volto tra le mani.

«Già».

«N-non intendevo quello».

«Lo immagino».

«Allora, posso?».

«Perché?».

«Perché no?».

«Ti ho detto delle cose orribili, eppure tu vuoi passare la notte con me?».

Sorrise.

Era strano pronunciare quelle parole.

Soprattutto perché non avevano il significato che intendeva lui.

«Non importa. O meglio, importa, ma... Ma tu tra un po' parti e non so tra quanto ti rivedrò, per cui... Per cui, voglio stare qui con te!».

Giovanni l'abbracciò.

«Lo sai che tornerò, vero?».

«S-si».

Si misero a letto.

Si guardarono senza dire niente.

Angelica si avvicinò un po' di più a lui, poggiando le mani sul suo petto.

A quel contatto il giovane sussultò.

La sua forza di volontà era tanta, ma così era difficile.

Difficile riuscire a controllarsi.

Eppure doveva.

Era sua sorella.

Non poteva.

Le diede un bacio sulla fronte e le sussurrò: «Dormi, sorellina».

Angelica sorrise e poi si addormentò.

Rimasero così, abbracciati, per tutta la notte.

Giovanni sarebbe rimasto così per sempre.

E questo lo spaventò.

Sapeva di provare qualcosa per sua sorella, ma non pensava che questo sentimento potesse diventare così forte.

Si stava forse...

No, non doveva neanche pensarlo.

Si alzò delicatamente dal letto.

Era quasi l'alba.

Si tolse la camicia da notte e si vestì.

Guardò un'ultima volta Angelica e si diresse verso la porta.

Si fermò.

Tornò indietro.

Si abbassò lentamente e...

E baciò sulle labbra sua sorella.

«Tornerò presto» sussurrò.


*


Quattrocento uomini.

Quattrocento assassini.

Quattrocento membri della Fratellanza.

Un numero così elevato di persone non passa certo inosservato.

Eppure, non si udiva alcun rumore nel Basso Monferrato.

Non si vedeva nessuno ad eccezione dei contadini al lavoro nei campi.

Tutto sembrava, apparentemente, tranquillo.

Ma quello che sembra, spesso, non è la realtà.

Il vescovo Gregorio, come tutte le mattine, camminava lungo una stradicciola e, breviario alla mano, diceva tranquillamente il suo ufizio.

A dispetto della predicata povertà, portava una tonaca nera per metà coperta da un piviale profusamente ricamato a croci d'oro e spine d'argento. Sul petto aveva una pesante croce d'oro appesa a una catenella e al collo una spessa collana sempre d'oro.

Quando vide avvicinarsi due uomini contrasse il suo viso da topo in una smorfia che voleva essere un sorriso.

«Lor signori. Cosa vi porta nel nostro piccolo paesino?» domandò.

«Eccellenza reverendissima, ci porta qui la necessità» rispose l'uomo dallo sguardo più affabile.

«Di grazia spirituale?».

«Di denaro».

Il vescovo, con fare sdegnato, affermò in tono patetico: «Un uomo in cerca di pesci andrebbe forse in cima a una montagna? Un assetato cercherebbe l'acqua nel deserto? Qui, signori, denaro non ce n'è. Abbiamo fatto voto di povertà e diamo ai bisognosi le magre briciole che il Signore permette ci cadano in grembo».

«Per non esserci denaro, eccellenza reverendissima, la sua tonaca non mi sembra per nulla... Come potrei dire? Sobria?» replicò l'uomo più giovane.

Sua eccellenza congiunse, con grazia, le mani.

«Il Signore...» iniziò a dire.

«Il Signore non ama le persone avide. In questi tempi difficili, tra guerre e pestilenze, tutti sono affamati. Le battaglie sono lunghe, gli uomini tanti. Serve molto cibo e per molto cibo serve denaro. Per evitare che non ci siano incidenti, eccellenza reverendissima, avrete l'onore di farci un prestito» sorrise l'uomo più affabile.

O meglio, quello che gli era parso più a modo.

Gregorio alzò, caparbiamente, gli occhi al cielo.

«Se avessimo anche solo una moneta d'oro sarei lieto di darvela come regalo. Ma siamo poveri».

«Eccellenza reverendissima, immagino che la mia richiesta possa essere dura per voi. Sono consapevole del fatto che dovete proteggere la ricchezza della vostra Chiesa in modo che cresca e rifletta la gloria di Dio misericordioso. Ma so anche che, se non avremo il denaro per combattere i nostri nemici» - qui fece una pausa - «allora quelli o, chissà, magari qualcun altro, verranno qui e non ci sarà più chiesa e il vescovo del tempio sarà solo un mucchietto d'ossa ripulite dai corvi».

Odore di minaccia.

Lo stavano minacciando?

Guardò attentamente i due uomini.

Erano armati.

Questo era poco ma sicuro.

Guardò i loro vestiti.

Che sciocco che era stato.

Come aveva fatto a non capirlo prima?

Erano membri della Fratellanza.

Quindi, secondo quanto dicevano le voci, erano appoggiati dal marchese del Monferrato.

Non poteva rifiutarsi.

Dire di no avrebbe significato scavarsi la fossa con le proprie mani.

«Va bene» acconsentì.

«Seguitemi».

Giunsero dinnanzi a una piccola chiesa.

Essa sorgeva poco lontano da un laghetto.

Il vescovo scomparve per qualche secondo, per poi tornare con in mano un sacchetto.

L'uomo più giovane lo aprì.

«Potete fare di meglio».

«È tutto ciò che abbiamo».

«Ne siete sicuro?».

«Certamente».

L'uomo più affabile fece un segno con la testa.

Dal nulla sbucarono tre individui.

"Come ho fatto a non notarli?" pensò Gregorio.

Uno dei tre si diresse verso il laghetto.

Lo ispezionò.

Non trovò nulla.

Proprio mentre sembrava che stesse per tornare indietro si fermò.

Si avvicinò a un cumulo di pietre.

Le spostò con delicatezza.

Il vescovo impallidì.

L'uomo tornò indietro con un sacchetto pieno di monete d'oro.

«E così non avevate altro denaro, eh?» domandò, ironicamente, il ragazzo più giovane.

«È il denaro di Dio!».

«Io direi piuttosto che è il vostro».

Il vescovo si gettò per terra e, teatralmente, disse che avrebbe sacrificato la vita per il denaro del Signore.

«Volete veramente sacrificare la vostra vita?».

«Signore misericordioso, il Tuo servo giunge a Te, massacrato da uomini malvagi! Non ho fatto altro che ubbidire alla Tua parola. Accoglimi, Signore! Accogli il Tuo umile servo!».

Dopo l'ultima frase, il vescovo, lanciò un urlo, convinto di essere stato colpito a morte.

Gli uomini risero.

L'individuo con il volto affabile lo aveva afferrato per la collottola.

Quasi con gentilezza, lo sollevò di peso , lo portò verso la riva del laghetto e lo lasciò cadere nell'acqua bassa e fangosa.

«Annego, Signore!» gridò Gregorio.

«Gettato nelle acque! Morirò da martire. Così come Paolo e Pietro furono martirizzati, Signore, così adesso io vengo a Te!».

Sputò in fretta alcune bollicine.

«Sapete» - gli disse l'uomo che l'aveva gettato nel laghetto - «non sopporto le persone come voi. Siete fortunato che non vi uccida per davvero».

«Sarebbe un grave peccato. Dio non...».

«Vi conviene tacere se non volete che cambi idea».

Il volto affabile dell'uomo si era tramutato in uno sguardo carico d'odio e crudeltà.

"Altro che il più gentile. Questo è il peggiore!".

«Non vi conviene farlo arrabbiare, eccellenza» lo consigliò l'uomo più giovane.

«Facino Cane non perdona» continuò.

"Facino Cane?".

Dove aveva già sentito quel nome?

«Giovanni, andiamo. Non abbiamo più nulla da fare qui» esclamò, a un certo punto, Facino Cane.

Gli uomini si allontanarono e ben presto sparirono all'orizzonte.

Il vescovo Gregorio trasalì.

Ora si ricordava dove aveva già sentito quel nome.

Quell'uomo era un vero e proprio demonio.

Rabbrividì.

«Perdonali, Signore!» disse cadendo in ginocchio e scrutando il cielo.

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