I fiori dell'amore


In una tiepida serata, a Vignale Monferrato, due persone erano rannicchiate sotto un tavolo.

Il silenzio era assoluto, tranne per le voci provenienti dalla stanza adiacente.

Giovanni guardò la fanciulla che gli stava accanto e si chiese perché Facino avesse affidato quell'assurda missione proprio a lui. C'erano così tante cose da fare per la guerra che proprio non riusciva a capire perché si trovasse lì.

Facino gli aveva solo detto che la giovane era vittima di un inganno e che questo doveva assolutamente essere svelato.

Mentre pensava questo, nella stanza accanto la conversazione cominciò a farsi interessante. Forse, dopotutto, avrebbe potuto portare a termine la missione celermente.

«Ho saputo da labbra estranee che passa per tua moglie, è vero?» domandò la voce di una donna.

«Si, Caterina. Che male c'è?» rispose un uomo pacatamente.

«E lei acconsente a mentire?».

«Crede che sia vero. Ho cercato di averla senza sposarla, ma lei non voleva e così per accontentarla ho convinto un mio amico a fingersi prete. Bianca non ne sa nulla, si fida ciecamente di me. E prima del tuo arrivo tutto andava per il meglio».

Bianca sussultò a quelle parole. Giovanni le mise una mano sulla spalla per confortarla.

«Povera bambina, povera ragazza infelice! Dio, Ubaldo, non ti perdonerà mai per questo. La punizione giungerà orrenda quando meno te lo aspetti» continuò Caterina.

«Lo stesso spirito insolente, la stessa volontà indomita e la stessa lingua tagliente. Il tempo non ha smorzato il tuo odio, eh? Ma neanche la mia avversione alla catena che mi costringi a portare è diminuita. Non vuoi compiere una buona azione e liberarmi da essa, permettendomi di esercitare l'unica giustizia nei confronti della povera Bianca che è ancora in mio potere?».

«La sposeresti se ti lasciassi libero?».

«Credo di si».

«Allora devi amarla veramente, oppure è uno stratagemma?».

«La amo come non credevo possibile amare un essere umano».

«Mi lascerai nostro figlio se acconsento al divorzio?».

Bianca sussultò a quelle parole. A quanto pareva non sapeva nemmeno dell'esistenza del ragazzo.

«No, non lo farò» si udì la risposta di Ubaldo.

«Allora non rinuncerò all'unica presa che ho su di lui. La legge mi dà il potere di tenere te e lo farò finché non affiderai a me le cure di nostro figlio. Alla ragazza toccherà un destino migliore di quello di tua moglie».

«Come vuoi. Non mi importa nulla della legge o del vangelo e quindi sfido il tuo potere di conquistare l'unica cosa che vuoi da me. Ti accompagno alla carrozza».

Le voci cessarono e i passi attutiti percorsero il corridoio, scesero la scalinata di pietra e si persero in giardino.

Bianca, fredda e cerea in volto, si alzò e uscì sulla terrazza, lasciandosi cadere sul roseto che aveva tanto voluto per ricordare l'amore che legava lei e Ubaldo.

Le rose si spezzarono, così come si era spezzato il suo sentimento per il finto marito.

«Andiamo via» le si avvicinò Giovanni. «Non vale la pena restare».

Lei annuì. Non voleva rimanere una sola ora in più. Nessun pentimento poteva recuperare il passato, nessun amore o pietà, scusa o perdono avrebbe potuto mitigare il dolore pungente causatole dal colpevole.

Andarsene all'istante e per sempre era il suo unico pensiero e questo le diede la forza per accettare la mano che il giovane della Fratellanza le porgeva.

Si alzò, guardò le rose spezzate, morte della fiducia e dell'amore, e con passo svelto si diresse verso l'ingresso.

Salì senza voltarsi su un cavallo e seguì Giovanni lungo uno stretto sentiero che li avrebbe portati a un monastero lì vicino.

Per il momento, quello era il luogo più sicuro in cui poteva stare. Era l'unico luogo in cui avrebbe potuto riflettere e trovare la pace.

«Mi dispiace» le disse il giovane che cavalcava accanto a lei.

«Anche se fa male, è stato meglio scoprirlo ora».

Arrivarono dinanzi a un'imponente costruzione bianca. La madre badessa li stava aspettando con un lume in mano.

«Grazie di tutto» sorrise mesta la fanciulla a Fortebraccio.

«Spero possiate ritrovare la felicità».

«Lo spero anch'io».

Detto ciò le loro strade si divisero. Giovanni cavalcò per tutta la notte e il mattino seguente giunse a Casale. Portò il cavallo nelle scuderie e poi si diresse subito da Facino Cane.

«Ho portato a termine la missione» disse non appena lo vide.

«Non mi aspettavo niente di meno da te».

Gli lanciò un sacchetto con alcune monete.

«Tutto qui?».

«È anche più di quanto ti spetta».

Lui corrucciò la fronte e domandò: «Perché avete affidato a me questo incarico?».

«Perché era un incarico che andava sbrigato velocemente e tu in questo sei il migliore. E poi Bruto ha detto che tu di queste cose te ne intendi».

Sussultò a quelle parole.

Si accorse che Facino lo guardava con aria interrogativa, pertanto si affrettò ad allontanarsi con una scusa.

Perché Bruto aveva suggerito lui? A che cosa si riferiva?

Non sapeva spiegarsi il motivo, ma aveva un brutto presentimento.

Corse a casa e si precipitò nella stanza di sua sorella.

Sorrise, vedendola ancora addormentata.

Le si avvicinò senza fare rumore e le diede un bacio sulla fronte.

Poi uscì e chiuse piano la porta con un ben chiaro proposito: avrebbe scoperto cosa aveva in mente Bruto.


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